norman lear

IL NECROLOGIO DEI GIUSTICON LA SCOMPARSA DI NORMAN LEAR, 101 ANNI, DECANO DELLA TV E DELLA SIT-COM, IL MONDO DELLO SPETTACOLO AMERICANO PERDE UNO DEI SUOI GRANDI VECCHI CHE HANNO MANTENUTO ALTO IL LIVELLO DELLA COMMEDIA AL CINEMA E IN TV, CON SHOW COME “ALL IN THE FAMILY”, “THE JEFFERSONS”, “ONE DAY AT THE TIME”, “SANFORD AND SON”, TUTTI IDEATI, SCRITTI E PRODOTTI DA LUI, IN UN ARCO DI ANNI CHE VA DAGLI ANNI ’50 A OGGI...- VIDEO

Marco Giusti per Dagospia

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Con la scomparsa di Norman Lear, 101 anni, decano della tv e della sit-com, il mondo dello spettacolo americano non perde solo uno dei suoi grandi vecchi, che assieme a Carl Reiner, a Mel Brooks, a Neil Simon hanno mantenuto alto il livello della commedia al cinema e in tv, con show come “All in the Family”, “The Jeffersons”, “One Day at the Time”, “Sanford and Son”, tutti ideati, scritti e prodotti da lui, in un arco di anni che va dagli anni ’50 a oggi.

norman lear

 

Come ben spiega su “Vulture” un dotto articolo di Kathryn Van Arendonk, Norman Lear si inventa la sit-com americana come “trama nazionale condivisa: non solo la finzione della famiglia televisiva americana bianca e felice per impostazione predefinita, ma una televisione che ha reso gli spettatori consapevoli che stavano guardando se stessi, guardando un'idea complicata e capiente di ciò che era questo paese. e avrebbe potuto essere. Quella comprensione della televisione, il nostro concetto moderno di TV come specchio ma anche come forza culturale nella vita americana, è stata creata da Norman Lear”.

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Negli anni ’70 Lear rivoluzione la sit-com inserendo i grandi temi che stavano lacerando il paese, conflitti generazionali, conflitti di razza, patriarcato, in un continuo scontro, che non diventa mai né violenza né pessimismo. “Nella concezione di cultura e democrazia di Lear, la lotta era la cosa che condividevamo. La sua visione, tradotta nella precisione cristallina di una commedia serrata di 25 minuti e poi vista da ben 60 milioni di persone, presentava l'esperienza americana universale come una disputa. Persone che vivono insieme, combattono e continuano a uscire dall'altra parte come famiglia”. Più vicino, per questo ai ragazzini di “South Park”, al quale collaborò, che alla vecchia tv degli anni ’50. Non a caso i Jeffersons, la famiglia nera della tv americana, nasce dalla sit-com bianca “All in the Family”.

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Ma toccò ogni genere di problema. “Good Times” si occupò di povertà e discriminazione, “Maude” di femminismo, anche se il suo capolavoro fu il eprsonaggio di Archie Bunker in “All in the Family”, bigotto insopportabile che se la prende costantemente con le minoranze e con la sua stessa famiglia, ma in grado di dialogare con tutti.

 

Nato nel 1922 a New Haven, Connecticut, da famiglia ebrea, con un padre impossibile, iniziò. Studiare all’Emerson College a Boston, ma lo lasciò per fare il militare. Lo troviamo in guerra radio-operatore e tiratore scelto sui B-17 in ben 52 missioni aeree sulla Germania. Quando torna si sposta presto a Los Angeles, incontra un giovane aspirante autore di commedia, Ed Simmons, e formano una coppia di scrittori per la tv. Scrivono sketch per Rowan e Martin, per Jerry Lewis e Dean Martin in “The Colgate Hour” e gag per uno dei suoi primi film, “Morti di paura”.

 

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Ma scrive anche per una serie incredibile di programma della prima tv americana, “Four Star revue”, “The Martha Raye Show”, “The Deputy”, 76 episodi con Henry Fonda protagonista e Allen Case. Nei primi anni ’60 scrive e produce una serie di film più o meno riusciti diretti dal suo amico e socio Bud Yorkin, “Alle donne ci penso io”, scritto assieme a Neil Simon, con Frank Sinatra, Lee J. Cobb, “Divorzio all’americana”, che gli frutta una nomination agli Oscar, diretto da Yorkin, con Dick Van Dyke, Debbie Reynolds, Jean Simmons, Van Johnson, ma anche i più “moderni” “Fate la rivoluzione senza di me” diretto da Yorkin con Gene Wilder e Donald Sutherland e “Quella notte inventarono lo spogliarello” diretto da William Friedkin con Jason Robards e Britt Ekland.

 

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Fu un esperimento più personale “Cold Turkey”, diretto da Yorkin con Dick Van Dyke e Pippa Scott, mai arrivato in Italia. Ma i veri successi di Norman Lear sono in tv. Nelle sitcom. “Sanford and Son” nel 1968, 135 puntate, “Mary Hartman, Mary Hartman” con Louise Lasser, “Maude” con Bea Arthur. Fino a “All in the Family”, il suo capolavoro, che in Italia si chiamerà “Arcibaldo” con Carroll O’Connor, Jean Stapleton, storia di una famiglia operaia dei Queens, dalla quale nasceranno “I Jeffersons”, 253 puntate, dal 1975 al 1985.

 

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E’ lì che Norman Lear darà vita alla sit-com come conflitto perenne tra personaggi che non la pensano allo stesso modo, ma che possono coesistere sotto lo stesso tetto. Come produttore continua a toccare il cinema, “Pomodori verdi fritti alla fermata del treno”, diretto da Jon Avnet nel 1991, “La storia fantastica”, c’è addirittura un film in lavorazione quest’anno, “I Got a Monster”, su una squadraccia di poliziotti violenti a Baltimore. Per Netflix, pochi anni fa, ideò una nuova serie che avrebbe dovuto essere il suo grande ritorno, “Giorno per giorno” (“One Day at the Time”), 46 episodi tra il 2017 e il 2019. 

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