1. CHE ABBIAMO FATTO DI MALE PER MERITARCI MINISTRI IMBECILLI COME GIULIANO POLETTI? 2. HA COMINCIATO COL DIRE CHE "SE CENTOMILA GIOVANI SE NE SONO ANDATI DALL'ITALIA, NON È CHE QUI SONO RIMASTI 60 MILIONI DI PISTOLA". PER FINIRE: "È UN BENE CHE CERTA GENTE SE NE SIA ANDATA, SICURAMENTE QUESTO PAESE NON SOFFRIRÀ A NON AVERLI PIÙ TRA I PIEDI"
1. POLETTI: FUGA DI CERVELLI? TANTI È MEGLIO PERDERLI
Francesco Manacorda per la Repubblica
Un’uscita del solito Poletti. Ma non dal governo, come per molti sarebbe opportuno. Un’uscita invece che conferma la fama del più improvvido e stonato dei ministri che furono al fianco di Renzi e adesso rimane accanto a Gentiloni. Dire come ha fatto il ministro del Lavoro, sollecitato dalle domande sulla fuga di cervelli in Italia, che «conosco gente che è andata via e che è bene che stia dove è andata, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averla più fra i piedi», non è solo una battuta infelice e grossolana.
È la prova dell’inadeguatezza culturale di un rappresentante di governo che sembra non capire a fondo come lavoro e istruzione per i propri figli siano l’angoscia perenne e principale di tante famiglie italiane, di un uomo che pare non avere ben precise le coordinate abissali della disoccupazione giovanile nel nostro Paese (36,4% l’ultimo dato di ottobre, se serve un ripasso), di un politico che non si è fermato un attimo a riflettere sul fatto che la boutade potrebbe essere applicata — con garanzia di maggior consenso popolare — alla sua stessa figura.
Certo, il serial-gaffeur Poletti, appena reduce dalla lucida esposizione di un piano per andare a votare al più presto in modo da bloccare i referendum sul lavoro, questa volta si è scusato in diretta. Evidentemente — ha detto — non è stato compreso e di questo si rammarica: «Non mi sono mai sognato di pensare che è un bene per l’Italia il fatto che dei giovani se ne vadano all’estero. Penso, semplicemente, che non è giusto affermare che a lasciare il nostro Paese siano i migliori e che, di conseguenza, tutti gli altri che rimangono hanno meno competenze e qualità degli altri».
Messa in questi termini è un’ovvietà che nessuno si sogna di contestare: nessuno si sogna di pensare che chi lascia l’Italia per studiare o a lavorare sia meglio di chi resta. Ma il dato di fatto è che emigrano non solo i cervelli già formati, ma anche quelli da formare. Tra le famiglie italiane la corsa a mandare la prole a studiare all’estero somiglia ormai a quella di un Paese mediorientale.
Per i figli della buona borghesia italiana l’ora del distacco dalla famiglia e della partenza suona spesso già a quindici anni; nel peggiore dei casi si fanno tre anni di Università e poi si punta oltre frontiera? Esterofilia? Non tanto e non solo. La verità è che da noi è tornata fortissima la distinzione di censo: chi se lo può permettere fa un investimento e manda i figli a studiare all’estero, convinto di dare loro un futuro migliore che difficilmente si identifica con un lavoro in patria. E chi il futuro se lo cerca dopo gli studi lo trova troppo spesso in un altro Paese.
sacconi poletti jobs act in senato
Le polemiche sui ministri senza laurea — tra cui Poletti, che a differenza di sue nuove colleghe di governo non ha mai millantato di averla — sono stucchevoli. Ma stucchevole è anche ridicolizzare chi quella laurea magari se l’è sudata e per trovare uno stipendio dignitoso e un’opportunità di carriera ha scelto di spostarsi all’estero.
sacconi poletti jobs act in senato
C’è un mondo là fuori di cui il ministro non pare rendersi conto. Ma — e qui forse conta anche la sfortuna o la scarsa sensibilità — c’è anche una dimensione acustica della politica che è cambiata, senza che Poletti evidentemente se ne sia accorto. Fino al 4 dicembre il clamore del governo era massimo, la voce di Matteo Renzi inarrestabile. E anche se il suo era il verso incantatore e vano della sirena referendaria e non l’invettiva sopra le righe del titolare del Lavoro, proprio quel suono continuo finiva per nascondere qualsiasi stonatura. Adesso nel silenzio tombale che è la cifra del premier Gentiloni gli acuti di ogni singolo ministro si sentono di più. E somigliano tanto a stecche che giustificherebbero l’ennesima uscita. Magari di scena.
3. “POLETTI SI DIMETTA”
Roberto Giovannini per la Stampa
E due. L' altro giorno il ministro del Lavoro Giuliano Poletti aveva commesso una discreta gaffe istituzionale, sostituendosi al Presidente Mattarella, e annunciando che i referendum della Cgil verranno evitati attraverso lo scioglimento delle Camere e le elezioni anticipare. Ieri il solitamente cauto e poco «chiacchierone» ex presidente della Legacoop ha combinato un' altra discreta «frittata». Pare che 100mila giovani italiani siano dovuti fuggire all'estero? Alcuni di loro, ha detto Poletti, è meglio «non averli più tra i piedi».
Un' espressione tanto infelice quanto incomprensibile per un politico esperto, e che forse supera quel «choosy» (sempre rivolto ai giovani italiani) formulato da un altro titolare del Lavoro, Elsa Fornero. A poco sono valse le scuse per essersi «espresso male» di Poletti; le opposizioni chiedono la sua testa, e c' è da giurare che tra Palazzo Chigi e Nazareno Paolo Gentiloni e Matteo Renzi stiano trattenendo a fatica la loro rabbia.
Se 100mila giovani se ne sono andati dall' Italia, ha detto Poletti, «non è che qui sono rimasti 60 milioni di `pistola´... Conosco gente che è andata via e che è bene che stia dove è andata, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi». Chissà se aveva qualcuno di preciso in mente, il ministro. Fatto sta che a stretto giro arrivano le repliche di Luigi Di Maio («Vada via lui, non i giovani»), Pippo Civati («Giovani votano no e Poletti la fa pagare»), Nichi Vendola («togliamocelo dai piedi), Stefano Fassina («È ora che Poletti si dimetta»), Barbara Saltamartini («È più offensivo di Renzi»).
GIULIANO POLETTI E ROBERTA PINOTTI
La retromarcia del ministro è un po' faticosa: «Evidentemente mi sono espresso male e me ne scuso - dice - Penso, semplicemente, che non è giusto affermare che a lasciare il nostro Paese siano i migliori e che, di conseguenza, tutti gli altri che rimangono hanno meno competenze e qualità degli altri». Mah….