ABBIAMO SCHERZATO! BIDEN INVIA 1 MILIARDO DI DOLLARI DI ARMI A ISRAELE: IL PRESIDENTE AMERICANO SA CHE NON PUÒ FARE A MENO DELLO STATO EBRAICO NEL MEDIORIENTE, NONOSTANTE L’OSTILITÀ USA ALL’OPERAZIONE SU RAFAH E LA MINACCIA DI SOSPENDERE I RIFORNIMENTI MILITARI – ERDOGAN NE SPARA UN’ALTRA DELLE SUE: “NETANYAHU MORIRÀ IN CARCERE COME MLADIC” – L’ESERCITO ISRAELIANO HA ACCERCHIATO GAZA ED È PRONTO A ENTRARE, E DALLA STRISCIA CONTINUANO I LANCI DI RAZZI – CRESCE LA TENSIONE CON L’EGITTO, CHE NON VUOLE RIAPRIRE IL VALICO DI RAFAH PERCHÉ TEME L’AFFLUSSO DI UN MILIONE DI PALESTINESI…
1. WSJ, 'BIDEN PROCEDE CON PACCHETTO ARMI A ISRAELE DA 1 MLD'
(ANSA) - L'amministrazione Biden ha notificato al Congresso che intende procede con la vendita di armi per un miliardo di dollari a Israele.
Lo riporta il Wall Street Journal citando alcune fonti, secondo le quali la decisione di procedere mette in evidenza la riluttanza dell'amministrazione a ampliare ancora di più il divario con il premier israeliano Benyamin Netanyahu. Il pacchetto dovrebbe includere 700 milioni di dollari di munizioni per carri armati, 500 milioni di dollari di veicoli tattici e 60 milioni di colpi di mortaio. Il pacchetto di armi arriva una settimana dopo la pausa alle spedizioni delle bombe ad alta carica.
2. UE CHIEDE A ISRAELE STOP IMMEDIATO A OPERAZIONI A RAFAH
TANK ISRAELIANI AMMASSATI VICINO AL VALICO DI RAFAH
(ANSA) - L'Ue chiede a Israele di porre fine "immediatamente" alle operazioni militari in corso a Rafah perchè queste stanno ulteriormente peggiorando una situazione umanitaria già molto difficile e porteranno "inevitabilmente" nuove tensioni nei rapporti tra l'Unione e Israele. E' quanto scrive in una nota l'Alto rappresentante Ue per l'azione esterna Josep Borrell.
3. ERDOGAN, NETANYAHU MORIRÀ IN CARCERE COME MLADIC
(ANSA) - Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha affermato che il premier israeliano Benjamin Netanyahu è destinato a morire in carcere come Ratko Mladic, condannato all'ergastolo per il genocidio di Srebrenica.
PROTESTE CONTRO BENJAMIN NETANYAHU
"Prima o poi il macellaio di Gaza, (Benjamin) Netanyahu e coloro che prendono parte al genocidio di Gaza attenderanno la stessa fine", ha detto Erdogan, durante un discorso al suo gruppo parlamentare Akp trasmesso dalla tv di Stato Trt, dopo avere citato i responsabili del genocidio di Srebrenica che "attendono di morire in prigione".
4. ERDOGAN, SE ISRAELE NON SARÀ FERMATO PUNTERÀ ALLA TURCHIA
(ANSA) - "Non pensate che Israele si fermerà a Gaza, se questo Stato terrorista non viene fermato, prima o poi metterà gli occhi sull'Anatolia con l'illusione che sia una terra promessa". Lo ha affermato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, come riporta Anadolu.
proteste contro il governo di benjamin netanyahu in israele 19
"Continueremo a stare dalla parte di Hamas che lotta per l'indipendenza del suo territorio e difende l'Anatolia", ha aggiunto Erdogan, durante un discorso al gruppo parlamentare del suo partito Erdogan, dopo avere ribadito che non considera il gruppo palestinese un'organizzazione terroristica.
5. ISRAELE AVANZA, TENSIONE CON L’EGITTO
Estratto dell’articolo di Davide Frattini per il “Corriere della Sera”
[…] L’operazione d’assedio a Rafah va avanti — fonti americane dicono alla Cnn che le truppe dispiegate sono ormai sufficienti per l’invasione — anche se quelli sul confine con l’Egitto non sono più gli «ultimi» chilometri nell’offensiva ordinata oltre sette mesi fa dopo i massacri perpetrati dai terroristi di Hamas. I paramilitari si rafforzano anche in altre aree. È il risultato delle sue indecisioni, dell’aver voluto tenersi stretti gli oltranzisti messianici nella coalizione al potere come Itamar Ben-Gvir, che ieri ha rilanciato: «Bisogna incoraggiare l’emigrazione volontaria dei palestinesi e ricostruire le colonie», svuotate nel 2005 dall’allora premier Ariel Sharon.
È difficile che il capo del governo formuli un piano per la gestione del dopo guerra, quando subisce spinte per la rioccupazione della Striscia, contro la legalità internazionale e la posizione degli Stati Uniti, l’alleato principale sempre più irritato.
Sulla la strada per Rafah gli israeliani rischiano di perdere un alleato meno paziente della Casa Bianca. Così 45 anni di pace non bastano a tranquillizzare gli egiziani, che temono l’afflusso degli sfollati palestinesi ammassati sulla frontiera e considerano i carrarmati troppo vicini ai loro, anche per un Paese ormai non più nemico: minacciano di declassare — scrive il Wall Street Journal — le relazioni diplomatiche.
E a Israel Katz, il ministro degli Esteri, che da Gerusalemme predica «il Cairo va persuaso a riaprire il valico», risponde una fonte vicina al presidente Abdel Fattah Al Sissi: «La chiusura è dovuta all’incursione israeliana e non è nostra responsabilità».
In mezzo resta la popolazione sull’orlo della carestia — i palestinesi uccisi superano i 35 mila — mentre i coloni israeliani hanno assaltato i camion di aiuti che passavano attraverso un check point in Cisgiordania e distrutto le merci. «Scioccante», commenta David Cameron, il ministro degli Esteri britannico. […]
6. ISRAELE TRA FESTA E PROTESTE SIT-IN PER GLI OSTAGGI E MARCE PER TORNARE A GAZA
Estratto dell’articolo di Francesca Caferri per “la Repubblica”
La musica parte non appena la sicurezza conferma che l’allarme è rientrato. Le scie dei tre missili lanciati da Gaza verso Sderot si vedono ancora nel cielo quando gli altoparlanti sparano a tutto volume: «La nazione di Israele non si arrende, la nazione di Israele non si piega» e centinaia di persone cominciano a ballare tenendosi per mano.
Tsipora, 46 anni, da Yachimi, uno dei villaggi vicini al confine con Gaza attaccati il 7 ottobre, dice indicando l’orizzonte alle spalle del palco: «Tutto questo finirà quando torneremo lì. Solo così potremo essere sicuri ».
JOE BIDEN SI FA IL SEGNO DELLA CROCE DAVANTI A NETANYAHU
«Lì», è Gaza, Beit Hanoun per essere precisi: cinque km in linea d’aria da Sderot, dove si trovano Tsipora e le migliaia di persone che insieme a lei – 50mila per gli organizzatori, 10mila più realisticamente – hanno scelto di passare qui, alle porte della Striscia, il giorno dell’indipendenza di Israele.
Servisse una rappresentazione visuale delle spaccature nella società, gli ultimi due giorni ne sarebbero l’esempio perfetto. Salutata solitamente da celebrazioni in tutto il Paese, ieri la festa nazionale è stata sottotono: nessun jet nei cieli, contestazioni alle cerimonie ufficiali a Gerusalemme, appuntamenti alternativi organizzati dalle famiglie degli ostaggi nei kibbutz, l’ennesimo blocco dell’autostrada a Tel Aviv da parte di altre famiglie di ostaggi e, al Nord, una “marcia di indipendenza” degli abitanti dei villaggi e della città al confine con il Libano, evacuati da sette mesi e senza soluzioni in vista.
Intorno a Haifa, tremila persone, per la maggior parte arabi-israeliani (il 20% della popolazione), hanno sfilato per ricordare la Nakba, l’allontanamento dalle loro case di 700mila palestinesi in coincidenza con la nascita dello Stato ebraico.
Neanche Tsipora dimentica: nel 2005 era una ragazzina quando con la sua famiglia fu costretta ad evacuare uno dei villaggi di Gush Katif, il gruppo di insediamenti ebraici nella Striscia. Da allora non ha mai smesso di dire che la scommessa dell’allora premier Ariel Sharon era sbagliata: il 7 ottobre, chiusa nella stanza protetta della sua casa, ha pensato che una volta uscita avrebbe lavorato ancora di più all’obiettivo.
JOE BIDEN - BENJAMIN NETANYAHU
«Non sarebbe accaduto se fossimo stati ancora lì – dice – per questo dobbiamo tornare». E i palestinesi di Gaza? «Hanno dozzine di Paesi arabi dove andare, non mi interessa quale scelgono. Ma devono andare via».
Un pensiero condiviso dalle migliaia di persone che ieri insieme a lei hanno sfilato sotto il sole su invito del Nachala settlement movement di Daniela Weiss, la stella del movimento del ritorno. […]