Addio tremendino – toh, Bossi non è più contrario a ritoccare l’Iva dal 20 al 21% - Guarda caso, ieri a Roma i capataz delle due correnti legaiole, Calderoli e Maroni, si sono visti (con alfano) e hanno sotterrato tremonti: se si vogliono cancellare i tagli a Comuni e Regioni, da qualche altra parte i soldi devono pur saltar fuori. E a Giulio non resta che… dimettersi…
Ugo Magri per La Stampa
Bossi non è più contrario a ritoccare l'Iva. Autorevoli eminenze governative raccontano che, dai e dai, nel pomeriggio di ieri si è convinto. E dunque lunedì, quando tutti quanti i protagonisti della commedia si vedranno ad Arcore chez Berlusconi per correggere la manovra, non sarà così impossibile raggiungere l'intesa sui numeri. Anzi, Calderoli la dà praticamente per fatta, come se mancasse soltanto la firma in calce dei leader.
Guarda caso, ieri a Roma c'erano proprio Calderoli e Maroni. Hanno visto Alfano, lo stato maggiore Pdl, sindaci e governatori di Regione. E' probabile che la trattativa si sia sbloccata durante questi colloqui proseguiti a sera (i due leghisti sono andati con Alfano a esibirsi nella Bèrghem Fest di Alzano Lombardo).
Molti dettagli dell'intesa debbono ancora essere definiti. La cornice al momento prevede, appunto, l'aumento dell'Iva dal 20 al 21 per cento; quindi un'estensione della cosiddetta Robin Hood Tax, che corrisponde a maggiori introiti per quasi 2 miliardi di euro; a questo punto, i tagli ai Comuni verranno ridotti di 2-3 miliardi rispetto al testo del decreto governativo; verrà infine cancellata, o limitata ai redditi sopra i 150 mila euro, la supertassa di solidarietà che tanto ha fatto discutere.
Quanto alle province, pare vengano tutte soppresse, comprese quelle più grandi, ma con tempi e modi da definire in un apposita riforma costituzionale (campa cavallo). La Lega ha riconosciuto (secondo quando sostengono nel Pdl) che «non si può avere botte piena e moglie ubriaca»: se si vogliono cancellare i tagli a Comuni e Regioni, da qualche altra parte i soldi devono pur saltar fuori nella logica dei saldi invariati.
Poiché il Carroccio considera un tabù le pensioni, eccezion fatta per quelle delle future vedove, il modo più svelto di rastrellare qualche miliardo consiste a questo punto nell'aumento dell'Iva.
L'aspetto paradossale della vicenda è che le parti si sono invertite. Mesi addietro, riservatamente, la Lega aveva suggerito al Cavaliere: «Aumentiamo le imposte indirette, che si spalmano un poco su tutti ma non troppo, e dunque nessuno se ne accorge».
Autore della proposta era stato il solito vulcanico Calderoli. Ma nell'occasione Berlusconi aveva detto con orrore no, «non posso, mi metterei contro tutti i commercianti». Cosicché non se ne era fatto un bel nulla. Ora invece Silvio sull'onda dell'emergenza è diventato improvvisamente favorevole, se dipendesse solo da lui di punti in più sull'Iva ne caricherebbe non uno ma addirittura due.
Le vere riserve erano venute fin qui da Tremonti. Il Professore non è ostile in via di principio a innalzare l'aliquota del 20 per cento, e ieri ha smentito le voci (diffuse da ministri della Repubblica) secondo cui lui era contrario per puntiglio, tanto da farne una scenata telefonica con Cavaliere. Semmai, Tremonti solleva una questione di tempi e modi.
Quel punto in più dell'Iva vale circa 4 miliardi di euro: una carta importante che, nella sua ottica, sarebbe stato meglio giocare nel contesto delle due deleghe su fisco e assistenza, a supporto cioè di una riforma ben pensata che abbia effetto nel 2013, anziché calarla subito, di corsa, per tamponare i conti di Comuni e Regioni dove peraltro gli sprechi tuttora abbondano.
Anticipare l'aumento dell'Iva corrisponde alla filosofia del tirare a campare che senza dubbio, come dice Andreotti, è preferibile al tirare le cuoia; però toglie coerenza a un disegno, e Tremonti non può esserne felice. La Lega fino ad ora gli aveva offerto un puntello; ma sotto la protesta dei sindaci ha smesso di dargli questo sostegno. E a Giulio non resta che prenderne atto.







