AGCA, LO SPARABALLE TURCO - “VOGLIO INCONTRARE PAPA FRANCESCO A LUI DIRÒ LA VERITÀ SULL’ATTENTATO” - NESSUNO ASCOLTA PIÙ LE SUE TROPPE BUGIE SU QUELL’ATTENTATO – PERCHE WOJTYLA NON VOLLE MAI RACCONTARE DEL SUO INCONTRO A REBIBBIA CON AGCA?

1. “VOGLIO INCONTRARE FRANCESCO A LUI DIRÒ LA VERITÀ SULL’ATTENTATO”

Marco Ansaldo per La Repubblica

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Mehmet Ali Agca, perché lei è tornato in Vaticano, piombando a piazza San Pietro più di 33 anni dopo il suo attentato a Karol Wojtyla?

«Perché dovevo farlo. Lo pensavo da tempo. E poi, glielo dovevo ».

 

A chi?

«Al Santo Giovanni Paolo II. Lui mi aveva perdonato. Difatti, che giorno è oggi?».

 

Il 27 dicembre, anniversario della visita che il pontefice polacco le fece in carcere a Rebibbia nel 1983.

«Appunto. E io sono qui per pregare sulla sua tomba».

 

Emozionato in Basilica?

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«Molto. Ma era un gesto necessario. Wojtyla è stato un grande Papa. E il miracolo, ora, continua ».

 

Quale miracolo?

«In questa piazza si è compiuto il Terzo segreto di Fatima. Io con l’attentato al Papa l’ho realizzato, ne sono stato lo strumento. E ora sono felicissimo di essere in questo luogo. Viva Gelavoro, sù Cristo, l’unico Redentore dell’umanità ».

 

Anche Caino cambia. A vederlo oggi, Mehmet Ali Agca sembra diverso dal killer spietato che militava nelle file dei Lupi grigi. L’attentatore di Giovanni Paolo II è adesso un signore un po’ ingrassato, i capelli corti interamente bianchi, e legge molto. Agca si aggiorna, sfoglia i giornali, naviga sui siti. Il suo italiano, da sempre buono, oggi è persino migliorato.

 

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La voce è la stessa, cavernosa, come proveniente da un’altra sfera. Vive a Istanbul, nel quartiere di Bakirkoy sulla sponda europea. Ma si mantiene con l’aiuto di parenti e amici. Progetta però libri e documentari. Tema: Fatima, il Vaticano, l’attentato.

 

Agca, come è arrivato in Italia? Le autorità le hanno sempre negato il visto nonostante le sue richieste.

«Da qualche tempo ho ottenuto il passaporto. Sono un uomo libero ormai. Ho pagato il mio debito con la giustizia. Dopo 20 anni di carcere in Italia, e altri 9 in Turchia, posso fare quello che voglio. Anche viaggiare. Mi farebbe piacere tornare a vedere l’Europa, visitare l’America, conoscere la Russia».

 

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E Roma è la tappa più importante?

«Era una promessa. L’ho mantenuta. Non posso scordare il mio colloquio in carcere a Rebibbia con Giovanni Paolo II, quello è stato il momento più importante della mia vita».

 

Il suo doppio mazzo di rose bianche depositato sulla tomba di Wojtyla?

«Un gesto del cuore. Non ho potuto partecipare ai suoi funerali e ho voluto rendergli omaggio come a un fratello spirituale».

 

Con chi era in Basilica?

«Con degli amici poliziotti. Ho avuto un permesso speciale vaticano per andare dove stanno le tombe dei Papi. Loro mi hanno aiutato per entrare».

 

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Un permesso vaticano? Non millanti. Chi glielo ha dato?

«Ricordiamoci che il cardinale Turkson aveva detto che potevo andare a pregare sulla tomba di Wojtyla, e che se il primo a perdonarmi era stato Giovanni Paolo II, allora anche lui mi perdonava. Per tanto tempo ho cercato contatti con il vertice del Vaticano, e con i cardinali».

 

Che cosa vuole fare ora?

«Vorrei vedere papa Francesco ».

 

(Alla richiesta di Agca, padre Federico Lombardi, il portavoce del Pontefice, dice a Repubblica: «Ha messo i fiori sulla tomba di Giovanni Paolo II. Penso che basti », ndr .).

 

E che cosa gli chiederebbe?

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«Vorrei ringraziarlo, innanzitutto per la sua predica di pace e fratellanza, di libertà e giustizia per tutti popoli del mondo. Desidero vederlo anche per pochi minuti. Infatti, ho incontrato Giovanni Paolo II, poi con papa Benedetto mi sono scambiato delle lettere. Adesso, dopo che non è stato possibile vedere papa Francesco nella sua visita di fine novembre in Turchia, vorrei parlargli. Magari anche allo stesso Joseph Ratzinger. E alcuni cardinali. Le sembra ipotizzabile?».

 

Non è semplice. E poi molti si aspettano che lei faccia un passo chiaro, e spieghi definitivamente e senza ombre di dubbio chi le armò la mano per l’attentato del 13 maggio 1981. Come andò?

«Adesso è impossibile spiegare tutto. Ogni mia parola viene strumentalizzata. Ritengo perciò opportuno aspettare il tempo migliore per dimostrare tutta la verità al mondo su quell’evento, con delle prove documentali».

 

Ma perché non in questa occasione? Potrebbe essere il momento ideale, invece.

«Lo farò, ma dopo l’incontro con papa Francesco».

 

Vuole rivelare a lui le origini dell’attentato?

«Certo, se papa Francesco vuole, io parlerò di questo evento con lui. E se il Vaticano è d’accordo, per me sì, va bene».

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Che cosa ne è oggi dei Lupi grigi, suoi antichi sodali?

«I Lupi grigi erano un semplice strumento della Nato, l’Alleanza atlantica, per la Guerra Fredda internazionale. Oggi non esistono più come una volta. Adesso si occupano di mediocre politica conservatrice. Posso fare un esempio per l’Italia? Sono come An, l’Alleanza nazionale di Gianfranco Fini. Io, invece, ero un rivoluzionario».

 

2. NESSUNO ASCOLTA PIÙ LE SUE TROPPE BUGIE SU QUELL’ATTENTATO

Antonio Ferrari per Corriere della sera

 

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Bene ha fatto il Vaticano a riservare gelida accoglienza a Mehmet Alì Agca. L’ineffabile «lupo grigio» ha cercato ancora una volta gratuita pubblicità, portando fiori sulla tomba del Pontefice, nell’anniversario della visita che Wojtyla gli fece a Rebibbia due anni dopo l’attentato.

 

Agca, che aveva preparato per l’occasione l’ultimo vaneggiante proclama sul terzo segreto di Fatima, non si è smentito. Il turco, che sarebbe imbarazzante se non fosse semplicemente ridicolo, non è stato soltanto una pistola in vendita (prima di sparare al Papa aveva ucciso il direttore del quotidiano Milliyet, Abdi Ipecki), ma un bugiardo incallito.

 

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Dopo aver coinvolto la Bulgaria, che c’entrava ben poco con il piano di assassinare il Papa, ha continuato a raccontare menzogne: compresa l’ultima, contenuta in un improbabile libro autobiografico, dove il killer racconta la sua definitiva «verità». Che cioè l’ordine di ammazzare il capo della chiesa cattolica gli venne impartito direttamente, a Teheran, da Khomeini.

 

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Soltanto un ignorante può aver immaginato di diffondere una simile sciocchezza. Che fa sorridere anche coloro che non hanno mai avuto simpatia per la rivoluzione iraniana. Agca non ha ancora capito che il mondo è cambiato, e che le bugie diffuse negli anni ‘80, probabilmente su suggerimento dei servizi segreti, oggi non trovano più chi sia disposto ad ascoltarle. Allora, quando l’Occidente era scatenato nella lotta all’Unione Sovietica, ritenuta l’impero del male, anche le frottole del «lupo grigio» potevano servire. Oggi sembrano spazzatura della storia.

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3. IL CARDINALE POUPARD: “SIAMO SORPRESI MA È UN GESTO POSITIVO”

Paolo Rodari per La Repubblica

 

«Sono contento della visita di Ali Agca sulla tomba di Karol Wojtyla. Anche se soltanto il Padre Eterno sa se in Agca c’è o vi sarà mai pentimento, il fatto che abbia omaggiato le spoglie del nostro caro Papa polacco resta un piccolo segno che personalmente mi fa felice».

 

Il cardinale francese Paul Poupard, esperto diplomatico vaticano ed ex ministro della Cultura e del Dialogo interreligioso, si dice «sorpreso» dell’arrivo dell’ex Lupo Grigio a Roma ma, pur consapevole della ferita che il nome di Agca provoca oltre il Tevere, ritiene che in qualche modo il gesto compiuto ieri sia positivo.

 

In che senso?

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«Non è mia intenzione enfatizzare quanto accaduto. Anche perché occorrerebbe sapere fino in fondo i motivi che hanno spinto Agca a Roma. Sappiamo bene, infatti, che tutto è possibile, che dietro un gesto pubblico ci possono essere anche motivi non del tutto comprensibili. Tuttavia, se c’è in lui in qualche misura la volontà di pregare per Wojtyla, ritengo che la cosa possa essere accettata. E, infatti, ha fatto la cosa giusta il Vaticano a farlo passare».

 

Attentato al Papa Giovanni Paolo II - Ali AgcaAttentato al Papa Giovanni Paolo II - Ali Agca

Ha mai parlato con Giovanni Paolo II dell’attentato e dell’incontro che ebbe successivamente con Agca?

«Ci ho provato una volta, proprio il giorno dopo la sua visita a Rebibbia, il 27 dicembre 1983. Mi trovai a pranzo con lui. Gli chiesi: “Santo Padre, Lei ieri ha visto Agca, come è andata?”. Il Papa non mi ha risposto subito. Ci ha pensato un po’ e poi mi ha detto che preferiva non parlarne. Credo che ritenesse l’attentato, e quanto accaduto dopo, una vicenda sua personale da non mettere in piazza».

 

Dov’era il 13 maggio 1981?

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«In aereo. Stavo tornando da Parigi a Roma. Allora, infatti, mi dividevo fra la curia romana, dove ero pro-presidente del segretariato per i non credenti, e il lavoro nell’arcidiocesi di Parigi. Quando arrivai a Fiumicino capii subito dall’agitazione che c’era che era accaduto qualcosa di grave. Andai a San Luigi dei Francesi, poi in segreteria di Stato dove venni messo al corrente di tutto. Pensai al peggio, ma Wojtyla una volta di più stupì tutti con la sua energia e capacità di risollevarsi ».

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