ALTRIMENTI CI ARRABBIAMO: LETTA E NAPOLITANO VOGLIONO LE RIFORME IN 18 MESI (CIAO CORE…)

Francesco Grignetti per "la Stampa"

Uscire dall'agonia della Seconda Repubblica, imboccare con decisione la via per la Terza. Non sono di poco conto, le ambizioni di Enrico Letta. Concede diciotto mesi ai partiti perchè facciano qualcosa di serio attraverso una Convenzione. Altrimenti se ne va. «Se veti e incertezze dovessero minacciare di impantanare tutto per l'ennesima volta, ne trarrò le conseguenze».

Il catalogo delle riforme è mutuato dal documento dei Saggi che hanno lavorato al Quirinale: fine del bicameralismo perfetto, la Camera dei deputati l'unica con i pieni poteri politici, trasformazione della Camera Alta in Senato delle Regioni, perfezionamento del Titolo V della Costituzione (ovvero il federalismo all'italiana), abolizione delle Province e riordino dei residui livelli amministrativi. A tutto ciò va aggiunta la sforbiciata ai costi della politica, con taglio immediato della doppia indennità per i ministri e abolizione annunciata dei rimborsi elettorali. E non poteva mancare un accenno ai temi della giustizia, ponendo l'accento su due emergenze drammatiche: il carcere che scoppia e il processo civile che non garantisce gli investitori.

Fare le riforme costituzionali, però, nel discorso programmatico del premier è molto di più che un'indispensabile revisione della macchina dello Stato. È anche l'occasione per lanciare un dialogo con chi è all'opposizione. Ai grillini dirà esplicitamente: «Resto convinto del mio appello a scongelarvi». Per il momento sembrano lasciar cadere. Non così i vendoliani, che però provocano: «Perché non affidiamo la Convenzione a Rodotà?». È un modo per mettersi di traverso contro Berlusconi, che ambisce lui alla presidenza.

Sa soppesare le parole, Letta. Quindi traccia un percorso che può andare bene a destra, sinistra («Valorizzare Comuni e Regioni in un'ottica di alleanza tra il governo e i territori e le autonomie, ordinarie e speciali») e anche alla Lega («Bisogna altresì chiudere rapidamente la partita del Federalismo fiscale»).

Ma dice anche di più. Sembra quasi parlare a Maroni, che spinge per la macroregione del Nord, quando accenna a una «eventuale riorganizzazione delle Regioni e dei rapporti tra loro». Ma occhieggia anche al centrodestra, che vorrebbe il semipresidenzialismo. «Occorre riformare la forma di governo, e su questo punto bisogna anche prendere in considerazione scelte coraggiose, rifiutando piccole misure cosmetiche e respingendo i pregiudizi del passato».

Fabrizio Cicchitto ne è compiaciuto: «Sul terreno delle riforme istituzionali ritengo che la via maestra sia quella della adozione del sistema francese, dal semipresidenzialismo al doppio turno». Ma riconosce il ministro Gaetano Quagliariello, che la bozza dei Saggi ha contribuito a redigere: «Se il processo di riforma parte, lo capiremo subito».

E poi c'è la legge elettorale. Come hanno già spiegato i Saggi del Quirinale, la modalità del voto non può essere disgiunta dalla forma istituzionale. Lo ripete anche Letta: «La legge elettorale è naturalmente legata alla forma di governo, ma si possono sin da ora delineare gli obiettivi fondamentali». Primo suo impegno, mai più con il pasticcio del Porcellum che assegna premi di maggioranza a casaccio. Secondo impegno, fine dei «nominati» in Parlamento. Fosse per lui, si potrebbe anche ripescare il Mattarellum.

Tutto bene? Fino a un certo punto. I "volemose bene" del primo giorno possono rivelarsi un effetto ottico. E Rosy Bindi è già lì che ironizza. «Non vorrei che si partisse per scalare l'Everest e ci si fermasse ai Castelli romani».

 

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