AVANTI, MA SENZA FARSI MALE! – SULL’ARTICOLO 18, RENZIE NON VUOLE BATTAGLIE CAMPALI E PREPARA UN CAMBIAMENTO PER GRADI – VIA PER TRE ANNI AI NUOVI ASSUNTI E POI SI VEDE
M.Gu. per il "Corriere della Sera"
Abbattere il «totem» dell’articolo 18, ma per gradi. E senza lacerare la maggioranza. Dopo la bufera scatenata dal pressing di Angelino Alfano, il governo cerca la strada meno accidentata per riscrivere «tutti insieme» lo Statuto dei lavoratori. La storia recente insegna che il tema delle tutele e dei licenziamenti è tra i più esplosivi, nel rapporto tra i partiti e dentro il Pd, ma l’urgenza di affrontarlo c’è e Matteo Renzi non intende arretrare.
Lo conferma la vicesegretaria democratica Debora Serracchiani quando dice che «non c’è nessuna remora a trattare l’articolo 18» e al tempo stesso avverte: «Dobbiamo avere la consapevolezza che non possiamo farne né una regola ideologica di bandierina, né un totem o un tabù». Avanti, dunque. Ma nel quadro di una riforma «a 360 gradi», il cui obiettivo è creare nuovi posti di lavoro.
Stoppato il Nuovo centrodestra, che voleva cancellare l’articolo 18 entro il 29 agosto approfittando del decreto «sblocca Italia», sulla linea Palazzo Chigi-Nazareno si studia un possibile punto di mediazione. Nelle ultime ore sta prendendo corpo l’ipotesi di un periodo di prova lungo, da sei mesi a tre anni, in cui i neoassunti non godrebbero delle garanzie previste dall’articolo 18, le quali però entrerebbero in gioco con l’assunzione a tempo indeterminato.
Niente apartheid a carico dei giovani e, dall’altra parte, un periodo di importante flessibilità a favore delle aziende. Il compromesso allo studio nasce dalla proposta del «contratto unico di inserimento formativo» presentata in Parlamento da Marianna Madia e sostenuta, tra gli altri, dal democratico Cesare Damiano.
Il quale, non a caso, definisce «interessante» la moratoria di tre anni suggerita dall’azzurro Renato Brunetta: «Ipotesi che va approfondita e che ha un punto di contatto con quella del Pd». Per l’ex ministro che presiede la commissione Lavoro della Camera, ridurre le tutele al solo licenziamento discriminatorio (come propone il centrodestra) «equivarrebbe a introdurre la libertà di licenziare», richiesta che Damiano giudica «irricevibile».
La tensione nella maggioranza, dopo giorni di scontro, ancora non si placa. Il capogruppo di Sel a Montecitorio, Arturo Scotto, provoca il premier: «Quindi l’articolo 18 è un totem ideologico, mentre la libertà di licenziare fa parte della modernità di Renzi...». Il viceministro alle Infrastrutture Riccardo Nencini, leader del Psi, invece attacca Alfano, al quale rimprovera di «ridurre le ragioni del mondo del lavoro a lucido da scarpe», perché mosso solo da ragioni politiche: «Impugna la bandiera per rintuzzare gli attacchi di Berlusconi».
angelino alfano pennarello argento
Contro Alfano anche la senatrice democratica Laura Puppato, che al vicepremier ricorda come la legge Fornero abbia modificato lo Statuto degli anni Settanta. E Brunetta mena fendenti contro un presunto «clan» formato, a suo giudizio, da Cgil e sinistra del Pd: «Se il Totem 18 resiste siamo morti tutti, lo Statuto 18 è diventato un fattore di infezione dell’intero corpo sociale...».
Temperatura rovente, che il fronte renziano prova a raffreddare gettando acqua sul fuoco e rallentando i tempi: la questione si porrà a settembre, quando al Senato si tornerà a discutere dell’articolo 4 della delega al lavoro, dove si parla del contratto a tutele crescenti. È lì che la maggioranza proverà a introdurre qualche elemento che consenta poi, al governo, di intervenire sull’articolo 18, magari eliminandolo per i nuovi assunti. Dopodiché toccherà ai decreti delegati, pagina che il governo affronterà dal gennaio 2015.