FORZA ITALICUM - UNO DEI PALETTI SU CUI IL BANANA NON E’ DISPOSTO A CEDERE E’ L’ELEZIONE “BLINDATA” DEI CAPILISTA NEI 120 COLLEGI ELETTORALI - IN QUESTO MODO L’EX CAV POTRA’ DECIDERE CHI FAR ELEGGERE E GESTIRE MEGLIO LE TRUPPE
Fabio Martini per “la Stampa”
Qualcuno la chiama già la «clausola dei 120». Potrebbe essere decisiva per sigillare in un unico patto bipartisan - da Berlusconi a Vendola, passando da Alfano - sia la riforma del Senato che quella elettorale. I preliminari si sono già consumati nei giorni scorsi lungo l’asse toscano e riservatissimo che collega Matteo Renzi e Denis Verdini e ora i dettagli saranno perfezionati nell’incontro tra il presidente del Consiglio e Silvio Berlusconi, che si svolgerà in settimana.
Il Cavaliere già lo ha detto a Renzi e glielo ripeterà nelle prossime ore: di tutte le riforme in corso, a lui interessa veramente un solo punto. Poter controllare i futuri gruppi parlamentari di Forza Italia. E proprio partendo da questa pregiudiziale che è venuta l’idea della clausola.
Tutto parte dall’Italicum. La legge elettorale, approvata alla Camera e che deve essere vagliata dal Senato, divide il territorio nazionale in centoventi «collegi». In ognuno di questi collegi un partito delle prevedibili dimensioni di Forza Italia (attorno al 20%) riuscirà ad eleggere un deputato, dunque il primo della lista. E allora ecco l’escamotage studiato da Forza Italia: se proprio volete reintrodurre le preferenze, fate pure, ma i capolista devono essere «bloccati». In questo modo Berlusconi sarebbe sicuro di poter eleggere un drappello di oltre cento fedelissimi.
Naturalmente la «clausola dei 120» incontra resistenze, a cominciare dal vertice del Pd, l’unico partito nel quale la reintroduzione delle preferenze potrebbe aprire una contesa interna, perché una forza che oscillasse tra il 30 e il 40% potrebbe eleggere in ogni «collegio» altri deputati, oltre al capolista bloccato. Naturalmente il presidente del Consiglio, che ha puntato tutta la politica delle riforme istituzionali nel patto con Berlusconi, non perde occasione per rassicurare il Cavaliere.
Nell’aereo della presidenza del Consiglio che ieri pomeriggio lo riportava dal Cairo a Roma, Matteo Renzi si è lasciato avvicinare dai giornalisti delle agenzie e ha dichiarato: «È importante che Berlusconi stia al tavolo della riforma elettorale, come è stato a quello della riforma costituzionale. Questo è un elemento di serietà del sistema». Renzi ne approfitta per enfatizzare lo sblocco delle votazioni al Senato: «Si va avanti più spediti di quanto si potesse immaginare». Conclusione in stile renziano: «Questa è una riforma seria, è una grande riforma».
LA CONDANNA DI BERLUSCONI PELLEGRINAGGIO A PALAZZO GRAZIOLI RENATO SCHIFANI
Lo sblocco dell’ostruzionismo al Senato si è determinato dopo la ripresa di dialogo tra Pd e Sel. Il partito di Vendola punta nelle prossime ore ad un’apertura sul ddl costituzionale ma soprattutto ad incassare una concessione importante sulla riforma elettorale. Sel, come anche Ncd, Fratelli d’Italia e la Lega, ha un interesse vitale in gioco, puntando ad abbassare la soglia di sbarramento (attualmente al 4,5%), anche se pubblicamente il partito di Vendola continuerà a fare la «faccia feroce», perseverando nell’opposizione al ddl costituzionale.
Lo fa capire il senatore di Sel Peppe De Cristofaro: «La nostra non è una trattativa che può far cambiare orientamento a Sel sul voto finale negativo che daremo sul provvedimento». Tira aria di accordo a tutto campo e anche il Nuovo Centrodestra manda messaggi al presidente del Consiglio, ottenere qualche beneficio: «Senza il contributo decisivo di Ncd - dice Renato Schifani - non sarebbero stati superati i nodi più delicati della riforma.
Ora ci attendiamo altrettanta attenzione dal presidente del Consiglio», in particolare sulla legge elettorale, riguardo alla quale «sarebbe impensabile procedere attraverso uno schema di maggioranze variabili». In parole povere, anche Ncd bussa alla porta della soglia di sbarramento: se sarà abbassata il partito di Alfano potrà nutrire qualche speranza in più di poter rientrare in Parlamento.