IL METODO DRAGHI – BELPIETRO GODE PER LE NOMINE BY SUPERMARIO: “STA CADENDO TUTTO IL SISTEMA DI POTERE CHE GIUSEPPE CONTE AVEVA SCHIERATO IN DUE ANNI E MEZZO A PALAZZO CHIGI. VIA ARCURI, VIA VECCHIONE, VIA FABRIZIO PALERMO. IL PREMIER FA SECCHI UNO A UNO I DIECI PICCOLI INDIANI DEL PRECEDENTE GOVERNO” – LA STRATEGIA DI MARIOPIO NON È IL TRADIZIONALE ESERCIZIO DI POTERE, MA HA COME OBIETTIVO LA MESSA IN SICUREZZA DEL “SISTEMA ITALIA” PER NON FARE PASSI FALSI CON IL RECOVERY PLAN
1 - METODO DRAGHI: SMANTELLATO IL SISTEMA DI POTERE DI CONTE
Maurizio Belpietro per “la Verità”
Il giorno in cui Mario Draghi ha deciso di sostituire Gennaro Vecchione, mettendo Elisabetta Belloni ai vertici del Dipartimento per la sicurezza, pare che, prima di dare il benservito al generale per rimpiazzarlo con la zarina della Farnesina, il premier abbia alzato la cornetta e chiamato Giuseppe Conte.
DOMENICO ARCURI GIUSEPPE CONTE
L' ex presidente del Consiglio era ritenuto, a torto o a ragione, il grande sponsor del capo del Dis, prova ne sia che quando Matteo Renzi aveva tentato di troncare il rapporto tra i due, chiedendo all' avvocato del popolo di rinunciare alla delega sui servizi segreti, lui si era impuntato fino alla morte. Tuttavia, per licenziare Vecchione, a Draghi è bastata una telefonata. Da quello che hanno ricostruito i cronisti, le parole non sono state molte.
maurizio belpietro sulla terrazza dell atlante star hotel (2)
Nello stile dell' ex governatore della Bce, la sua è stata una comunicazione, non una negoziazione. Del resto, era stato così anche per Angelo Borrelli, capo della Protezione civile, e per Domenico Arcuri, super commissario all' emergenza Covid. Appena arrivato a Palazzo Chigi, Draghi sembrava intenzionato a lasciarli al proprio posto, tanto che anche noi lo avevamo sollecitato a fare piazza pulita di persone che durante la pandemia non si erano rivelate all' altezza del compito.
giuseppe conte gennaro vecchione
Ma il premier aveva tirato dritto per la sua strada, sorprendendo tutti, anche coloro che ne conoscono la determinazione. La riconferma degli specialisti in disastri, invece, è durata solo alcune settimane, giusto il tempo di consentire al nuovo presidente del Consiglio di ambientarsi.
Nessuno è riuscito a sapere con precisione che cosa abbia detto Draghi per far sloggiare Arcuri, ma di sicuro il colloquio è stato ridotto al minimo necessario: un ringraziamento formale e poi l' invito a sloggiare in fretta. Le cose devono essere andate più o meno allo stesso modo anche nei giorni scorsi, quando l' ex presidente della Bce ha deciso di sostituire i vertici di alcune partecipate dello Stato. Le scelte non sono state oggetto di una discussione con i capi della maggioranza che appoggia il governo.
Giuseppe Conte Fabrizio Palermo
Draghi ha deciso di sostituire gli amministratori della Cassa depositi e prestiti, delle Ferrovie e basta. Al posto di uomini nominati dai partiti con una rigorosa assegnazione di incarichi in base al manuale Cencelli della lottizzazione, ha messo persone di sua fiducia, funzionari in arrivo da Banca d' Italia o da alcune grandi aziende. Punto.
In un colpo, ha liquidato i riti della Prima e della Seconda Repubblica, che prevedevano mesi di discussione tra le parti, per contrattare ogni strapuntino. A ogni giravolta di governo, infatti, la faccenda più complicata non era assegnare i posti di ministro e nemmeno quelli di sottosegretario.
Il vero problema era distribuire le poltrone di sottogoverno, perché quelli sono gli incarichi che contano davvero. Sedersi ai vertici di una partecipata significa avere soldi da spendere, assunzioni da fare, potere vero da amministrare. Mentre se si finisce a fare il sottosegretario senza portafogli, al massimo ne è gratificato l' ego, ma nulla di più.
Infatti, nel passato, ogni volta che si avvicinava la scadenza dei consiglieri di amministrazione delle partecipate, la lotta si faceva scivolosa. Nel passato, gli sgambetti per far cascare un candidato e agevolarne un altro erano all' ordine del giorno. E con l' avvento dei 5 stelle non era cambiato nulla, se non la corsa ad accreditarsi fra i seguaci di Grillo. Manager pubblici, professionisti, aspiranti amministratori dello Stato, tutti in fila per una poltroncina.
Ma poi, ecco arrivare un tizio che non discute con nessuno. Altro che risiko delle nomine pubbliche, gran ballo dei posti a disposizione. Draghi fa da sé, consultandosi al massimo con il ministro dell' Economia, Daniele Franco, che poi è una specie di suo segretario, nel senso che fa esattamente ciò che il presidente del Consiglio gli dice di fare.
La tecnica è sempre la stessa. All' inizio il presidente del Consiglio fa finta di niente, anzi lascia intendere che ha intenzione di riconfermare gli incarichi.
Poi all' improvviso arriva la rimozione. Uno dopo l' altro sta cadendo tutto il sistema di potere che Giuseppe Conte aveva schierato in due anni e mezzo a Palazzo Chigi. Via Arcuri, via Vecchione, via Fabrizio Palermo. A guardare le mosse di questi mesi, si capisce che il premier sta sistematicamente liquidando tutti coloro che in qualche modo gli ricordano il predecessore.
Il metodo Draghi è semplice: senza strilli, senza polemiche, l' ex governatore fa secchi uno a uno i dieci piccoli indiani del precedente governo. Nel mirino, a dire il vero, non c' è solo Conte, che voleva farsi un partito, ma non riesce nemmeno a farsi leader. Nell' obbiettivo del premier c' è anche Massimo D' Alema, che da vero ispiratore del governo giallorosso, aveva piazzato le sue pedine. Ma Draghi , lo sminatore, una a una le sta rimuovendo tutte. Per certi versi, è la fine di un' epoca e l' inizio di un' altra.
DOMENICO ARCURI GIUSEPPE CONTE
2 - LE NOMINE PENSANDO AL FUTURO
Francesco Verderami per il “Corriere della Sera”
La scelta sulle nomine rende chiara la strategia di Draghi. Non è solo il tradizionale esercizio di potere che un premier applica per la durata della sua permanenza a Palazzo Chigi, si proietta oltre.
L' obiettivo è mettere in sicurezza il «sistema Italia», attrezzarlo per renderlo efficiente nell' intera fase di realizzazione della grande scommessa sul Recovery plan. Nelle sue mosse non c' è solo l' intenzione di gestire la fase presente ma di assicurarsi che il disegno non s' inceppi nel futuro. Anche dopo l' elezione del prossimo Parlamento.
L' impianto delle riforme e la selezione della classe dirigente sono insomma parte dello stesso piano, servono a Draghi per sgombrare il campo dai timori di chi già prevede che l' Italia finirà prima o poi per impantanarsi nei soliti ritardi. È un modo per tutelare la credibilità del Paese, garantire la parola data all' Europa, assicurare che il percorso del Pnrr verrà ultimato a prescindere da chi sarà nei prossimi anni a Palazzo Chigi. Così i piani del premier mirano ad allargarsi oltre l' orizzonte di questo gabinetto.
franco gabrielli fabrizio curcio
È questo il vero segno di discontinuità rispetto al governo precedente. E il fatto che sia cambiato il quadro di comando non è per vendetta verso Conte e i contiani. Ipotecando di fatto il futuro, Draghi sta applicando lo spoil system con nomine dall' evidente profilo fiduciario che sono funzionali alla sua strategia. E a un cambio di fase, oltre che di passo. È successo con la Protezione civile, con l' Autorità delegata ai servizi, con il capo del Dis. Prosegue ora con la Cassa depositi e prestiti e con le Ferrovie, che non sono organismi neutri nella gestione del Pnrr.
Non si fermerà. Continuerà a fare quanto aveva anticipato ai partiti, che sono sempre stati consultati e ai quali è stata comunque garantita una presenza proporzionale al loro peso nei cda delle aziende partecipate.
MARIO DRAGHI - QUESTION TIME ALLA CAMERA
Ma nulla più: i vertici li deciderà sempre il premier. Ecco l' altro elemento di rottura con i metodi della gestione passata: non c' è discussione in Consiglio dei ministri o nella cabina di regia; non c' è un tavolo di contrattazione sui nomi dei manager pubblici; non ci sono nemmeno accordi separati. Anche in questo caso non c' è una sfida al sistema politico, semmai si certifica il fatto che oggi il sistema politico non è nelle condizioni di negoziare.
E ovviamente nei partiti il nervosismo è latente: i grillini si sentono umiliati, il Pd vede intaccato quel ruolo che si è sempre attribuito, la Lega e Forza Italia trattengono a stento la loro insofferenza. E in modo bipartisan criticano sottovoce i metodi di Draghi, lo ritengono afflitto dalla sindrome di Palazzo Chigi che causa deliri di onnipotenza.
C' è chi avvisa che senza una regia politica l' incidente parlamentare possa essere sempre dietro l' angolo. E chi, molto più prosaicamente, minaccia di rovesciare la rottura del principio di solidarietà nelle votazioni a scrutinio segreto per l' elezione del prossimo capo dello Stato.
Tutti in ogni caso promettono di rivalersi e le nomine Rai rappresenteranno il momento ideale per la rivincita, perché la Tv di Stato è da sempre terreno di caccia dei partiti, perché il suo presidente deve essere votato dalla Commissione parlamentare di vigilanza, perché storicamente nel cda i consiglieri indossano una maglietta. Si vedrà se la maggiore azienda culturale del Paese sarà ancora una volta sottomessa al destino che l' ha segnata. O se anche lì si noterà un segno di discontinuità.
Ma non è accreditata l' idea che i partiti, come per ripicca, possano mettere a repentaglio la stabilità o che possano approfittare del semestre bianco per rallentare il passo di Palazzo Chigi. Più semplicemente le nomine di Draghi sono il trasferimento del suo sistema di governo nella tecno-struttura, che si mette al servizio di un disegno e non è più - come è accaduto in passato - un contraltare. La politica tornerà ad avere un ruolo per la corsa al Quirinale. E in vista di quell' appuntamento il premier cercherà di mettere in sicurezza un piano che va oltre l' orizzonte di questo esecutivo.