SUL COLLE IL PROCESSO SBAGLIATO – BELPIETRO: VA BENE CHE BAGARELLA E RIINA NON SALGANO AL QUIRINALE, MA RE GIORGIO DOVREBBE SPIEGARE BEN ALTRO, A COMINCIARE DALLA CADUTA DI BERLUSCONI NEL 2011
Maurizio Belpietro per "Libero Quotidiano"
Toto Riina e Leoluca Bagarella non potranno assistere all’interrogatorio di Giorgio Napolitano durante l’udienza, in trasferta romana, del processo per la trattativa Stato-mafia. La notizia che i due ergastolani non varcheranno il portone del Quirinale è di per sé buona, perché significa che in questo Paese esiste ancora un po’ di dignità e il capo dello Stato, ossia l’istituzione più alta e rappresentativa della Repubblica, non può essere messo sullo stesso piano dei capi delle cosche.
E però, per evitare che il presidente fosse ascoltato dai boss, la Corte d’Assise di Palermo è stata costretta a una forzatura non da poco, perché le regole del processo consentirebbero a tutti gli imputati di assistere all’interrogatorio e dunque non si capisce perché Riina, Bagarella, ma anche l’ex ministro Mancino, che nel procedimento in corso è uno dei massimi imputati, non possano sentire ciò che Napolitano ha da dire sul mistero più controverso degli anni Novanta.
Una forzatura che implicitamente è anche un’ammissione di debolezza, perché se nonno Giorgio non avesse nulla da rimproverarsi, avrebbe da tempo accettato di rispondere alle domande dei pm. Se poi nonno Giorgio avesse avuto il coraggio che gli impone la carica, molto probabilmente avrebbe difeso e sostenuto lo scudo per le alte cariche dello Stato che gli era stato offerto dall’allora Guardasigilli Angelino Alfano. Invece, per timore di offrire una difesa a Silvio Berlusconi, ha evitato di esercitare un’azione di moral suasion e ora è alla mercé della Procura e dei suoi sospetti.
Sarà per questo che il capo dello Stato ha lasciato trapelare in questi giorni la sua disponibilità a mollare la poltrona? Proprio ieri a riferire la voce di possibili rapide dimissioni era un sito internet solitamente ben informato, ossia Dagospia, quotidiano online che tra un gossip e un articolo ripreso dalla grande stampa spesso ci azzecca.
Napolitano vorrebbe lasciare presto, forse a fine anno, con la motivazione che ormai il suo compito è esaurito, perché un governo c’è e perché le tanto attese riforme sono in dirittura d’arrivo. Non importa che nessuna di queste sia stata realmente approvata, né quella elettorale (che pure pareva assolutamente indispensabile e urgente) né quella del Senato (altra modifica da definire in tempi stretti secondo il programma dell’esecutivo). E neppure il Jobs Act, legge delega che sebbene votata in fretta e furia l’altra sera al Senato, deve ancora attraversare le forche caudine dell’altra camera del Parlamento, un po’ come tutti i provvedimenti varati dal governo Renzi, a partire dalla riforma della Giustizia per arrivare a quella della Pubblica amministrazione.
Il Presidente avrebbe fretta di andarsene, forse proprio a causa delle polemiche sorte intorno alla trattativa Stato-mafia, in cui lui non avrebbe una responsabilità diretta ma di cui secondo i pubblici ministeri custodirebbe segrete rivelazioni. Non sappiamo se ciò corrisponda al vero, di certo possiamo dire che il suo appare un addio malinconico, tra accuse e insinuazioni che non contribuiscono di sicuro a illuminare le ombre che gravano sul suo operato.
L’ultima delle quali la riferiamo proprio in queste pagine. Si tratta di una confessione raccolta dal nostro Franco Bechis, il quale ha intervistato un ex deputato assai vicino a Gianfranco Fini. L’onorevole nella conversazione racconta di aver assistito a telefonate del capo dello Stato in cui l’uomo del Colle sollecitava l’allora presidente della Camera a rompere con Berlusconi e far cadere il governo.
Silvio Berlusconi RUDY CAVAGNOLI
Di un intervento diretto del Quirinale per mandare a casa un presidente del Consiglio liberamente eletto dagli italiani molto si è detto e scritto, ma nessuno fino ad ora aveva sostenuto di essere stato testimone diretto delle pressioni del presidente. Ecco, ora c’è un deputato che rivela i retroscena di quella che appare una vera e propria congiura.
Nei mesi scorsi, in un’intervista ad Alan Friedman, Mario Monti aveva ammesso di essere stato contattato da Giorgio Napolitano per avere una disponibilità a sostituire il Cavaliere a Palazzo Chigi molto prima della caduta del governo Berlusconi.
E il suo racconto era stato confermato da due uomini assai vicini alla sinistra, ossia Carlo De Benedetti e Romano Prodi. Il Wall Street Journal, dal canto suo, aveva riferito di una telefonata Napolitano-Merkel in cui la Cancelliera sollecitava l’uomo del Colle a mandare a casa il Cavaliere prima possibile. Infine, l’ex ministro del Tesoro Usa, nel suo libro di memorie, ricordava di come alcuni esponenti della Ue avessero chiesto il benestare per un’operazione destinata a eliminare Berlusconi.
Bene. Anzi: male, perché con la testimonianza dell’onorevole Martini il quadro ora è completo è chiaro. Manca solo la testimonianza di Napolitano. Forse i pm, invece di salire al Quirinale per sapere della trattativa Stato-mafia dovrebbero andarci per chiedergli conto di tutto quello che abbiamo appena elencato.
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Tradire il mandato di fedeltà al popolo italiano (e alle sue decisioni nell’urna) è più grave a parer nostro che aver sentito qualche chiacchiera sulle richieste di Toto Riina e Leoluca Bagarella. O no? maurizio.belpietro@liberoquotidiano.it @BelpietroTweet