NETANYAHU “MURA”LA RIELEZIONE - LA COALIZIONE TRA IL SUO LIKUD E GLI ULTRA-NAZIONALISTI DI LIBERMAN AVRÀ LA MAGGIORANZA RELATIVA, MA DOVRÀ FATICARE PER UNA MAGGIORANZA STABILE – ED ARRIVA UN’ALTRA RECINZIONE: 65 KM DI RETICOLATO ELETTRICO SULLE ALTURE DEL GOLAN, PER DIFENDERE IL CONFINE CON LA SIRIA IN GUERRA E CONQUISTARE ALTRI VOTI…
1- ISRAELE: ELEZIONI, APERTE LE URNE, STASERA GLI EXIT POLLS
(ANSA) - Con l' apertura di 10 mila urne, sono iniziate alle ore 7 locali (le 6 in Italia) in tutto il territorio israeliano le elezioni per il rinnovo della Knesset (parlamento). Il voto si concluderà alle ore 22 locali e allora tre reti televisive nazionali renderanno noti i rispettivi exit-polls. Lo spoglio dei voti dovrebbe essere completato nella nottata, o nelle prime ore di domani.
Trentadue liste si contendono i voti di 5 milioni e 650 mila israeliani, ebrei ed arabi. Secondo gli ultimi sondaggi, Likud-Beitenu di Benyamin Netanyahu ed Avigdor Lieberman dovrebbe ottenere la maggioranza relativa; ma, alla luce della grande frammentazione politica, la costituzione di una nuova coalizione di governo appare fin d'ora laboriosa.
2- NETANYAHU AL SEGGIO CON FAMIGLIA, VOTATE PER PAESE PROSPERO (AGI/REUTERS/EFE) - Di buon mattino il primo ministro uscente Benjamin Netanyahu si e' presentato al seggio a Gerusalemme per votare nelle elezioni politiche anticipate israeliane. Con lui la moglie Sara, una psicologa sposata in terze nozze, e i loro due figli, Yair e Avner. Il leader del Likud ha sottolineato come fosse la prima volta che la sua famiglia si recava alle urne al completo. "Chi vuole che Israele prosperi deve votare per un grande partito", e' stato il mini-comizio improvvisato dal premier.
"Noi vogliamo che abbia successo, dunque votiamo per Likud-Beiteinu", ha sottolineato ancora Netanyahu, riferendosi alla lista congiunta presentata dal suo partito insieme agli ultra-nazionalisti di Yisrael Beiteinu dell'ex ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman, e che tutti i sondaggi indicano come vittoriosa, seppure destinata a raccogliere un numero di seggi inferiore a quello che in origine era nelle mire dei promotori.
"Cittadini", ha insistito, "dovete decidere per chi votare, se per un Paese debole e diviso oppure per uno forte e unito". Gli ha fatto eco Yair entrando nel seggio, allestito all'interno dell'istituto scolastico 'Paula Ben-Gurion' a Rehavia, quartiere di Gerusalemme Ovest che si estende non lontano dalla sede della Knesset, il Parlamento monocamerale dello Stato ebraico: "Chiediamo ai giovani di votare per il Likud, anche se risulta meno popolare", e' stato il suo appello. "E lo chiediamo anche ai religiosi moderati", e' stato lesto ad aggiungere il padre, mentre dava una manata amichevole sulla spalla di Avner in kippah d'ordinanza, il tradizionale zucchetto.
3- BIBI, UN MURO SUL GOLAN PER VINCERE LE ELEZIONI
Francesca Paci per "la Stampa"
A prima vista quel baluginio dietro i filari di meli e viti non sembra una recinzione. Bisogna spingersi fino all'ultimo terrazzo di Merom Golan, il primo kibbutz edificato sulle alture occupate dopo il '67, per osservare da vicino la barriera di 4,5 m tirata su in fretta e furia da Israele, 65 km di reticolato elettrico come quello sulla frontiera con l'Egitto per contenere la guerra di Assad al di là dei minareti di Quneitra.
«Se l'hanno fatto a scopo elettorale è una spesa inutile, per quanto il regime di Damasco alzasse la voce gli è sempre mancato il coraggio di attaccarci da solo e nessuno si è mai sentito minacciato da questo confine, neppure ora» sentenzia il 78enne Yehuda Harel, occhi vivaci come la camicia a quadri, pioniere di Merom e del movimento collettivista a cui ha dedicato il saggio «Il nuovo kibbutz».
Lui che è passato dall'ammirazione per Nenni e Togliatti a votare Netanyahu, seppure per mancanza d'alternative, non si stupisce della svolta a destra del Paese, dell'affermazione dei coloni col fucile a tracolla sui socialisti visionari dei kibbutz: «Dopo il XX congresso del Pcus ho smesso di credere nello Stato forte, i kibbutz esistono ancora ma si sono trasformati in aziende private». Un po' come il vicino Ein Gev, avamposto israeliano nel '48 e oggi resort per fanatici della pesca lacustre.
Lungo la strada che s'arrampica sul Golan costeggiando uno dei confini più minati del mondo (ma finora privo di barriere), i temi di queste elezioni, il raddrizzamento dei conti pubblici e la sicurezza, si sovrappongono come la memoria storica, le caserme della leva siriana del 1973 e i modernissimi tank israeliani schierati due mesi fa dopo i colpi di mortaio sparati ad Alonei Habashan.
«Il problema sicurezza esiste, ma non nei termini isterici della destra di Bibi e degli altri, la vera sicurezza di cui dovremmo preoccuparci è quella dei siriani che stanno vivendo un Olocausto», osserva la 50enne Edith Kimchi seduta al Blueberry caffe di Katzrin, la «capitale» del Golan a 15 km dalla frontiera sui cui muri l'unico manifesto elettorale è quello di Netanayahu.
E' arrivata nel 2006 per dirigere il dipartimento educativo e lavorando con i più piccoli dell'altopiano dove vivono 23 mila israeliani e 20 mila drusi ha rafforzato la convinzione che il welfare conti più del dossier Iran o Siria: «Voterò Am-Shalem, il partito del rabbino che ha lasciato lo Shas per fare campagna contro l'esonero dei religiosi dal militare e dal lavoro. Sono laica ma voglio contribuire a dare due seggi in Parlamento a chi, da ortodosso, denuncia quell'assurdo spreco di risorse pubbliche».
E' il paradosso israeliano: sebbene alla periferia dell'impero come a Tel Aviv l'economia mobiliti gli elettori più della politica estera, la sinistra che la sponsorizza (anche perché disillusa rispetto alla pace con i palestinesi) uscirà probabilmente acciaccata dalle urne a tutto vantaggio della galassia di destra (7 kibbutz del Golan hanno già scelto Bennett).
«Assad era la soluzione più stabile, la migliore per noi, il problema adesso è capire cosa succederà se viene sconfitto perché più che di siriani dall'altra parte s'inizia a parlare di arabi, musulmani, sunniti, sciiti, drusi» ragiona Ramona Bar Lev, coordinatrice del comitato residenti del Golan. Applausi alla recinzione, allora? «Precipitosa».
Annesse nell'81 da Begin con un atto non riconosciuto dalla comunità internazionale, le alture sono un nodo cruciale della politica israeliana interna e estera, fortino strategico nel momento in cui si temono le armi chimiche di Damasco e gli Usa prendono le distanze dal Medioriente ma anche grande risorsa nazionale giacché attirano ogni anno circa 3 milioni di turisti. Così qui Netanyahu, diversamente da quanto fatto in Sinai, fortifica la frontiera senza fare troppa propaganda.
«La differenza rispetto agli insediamenti in Cisgiordania è che noi siamo stati più bravi nelle pubbliche relazioni e abbiamo provato a non essere estremisti come a Hebron» butta là Yehuda Harel. Sul Golan la coabitazione coatta ha evitato la violenza: è l'unico argomento su cui concorda Salman Fakkreem, responsabile del centro per i diritti umani degli arabi nel Golan al Marsad e memoria storica di Majad Shams, la cittadina drusa rimasta in Israele dopo la partizione del â67.
«La barriera non ci riguarda come non ci riguardano queste elezioni, perfino il manifesto di Lapid all'ingresso di Majad Shams è stato affisso a uso dei turisti» afferma Salman. Qui, dove ogni famiglia ha parenti in Siria e tutti i venerdì ci sono manifestazioni pro e contro Assad, nessuno andrà a votare. «E' tanto se si recheranno alle urne 50 dei 10 mila abitanti» calcola l'impiegato comunale Hassan, nell'ufficio affacciato sul reticolato che sorge sulla collina da cui prima di Internet i parenti si gridavano a vicenda saluti e notizie.
Era davvero necessario costruire una nuova barriera che con quella cisgiordana ed egiziana (più quella di separazione con l'amica Giordania) isola anche fisicamente Israele dalla regione? L'esperto di sicurezza e di Siria Meir Elran è convinto di sì: «E' una misura preventiva, servirà ». Intanto Bibi ha blindato la sua rielezione.














