BO, IL CAIMANO - L’IMPUTATO PIU’ ECCELLENTE DELLA CINA RITRATTA LA CONFESSIONE E LANCIA MESSAGGI IN CODICE

Ilaria Maria Sala per La Stampa


Contro ogni aspettativa, il processo contro Bo Xilai, 64 anni, l'ex segretario di Partito di Chongqing e membro del Politburo caduto in disgrazia, ha riservato molte sorprese: nessun vero colpo di scena, forse, ma chi si aspettava che Bo smettesse di essere l'uomo sicuro di sé che è sempre stato e mesto si dichiarasse colpevole chiedendo clemenza, è stato deluso.

Il processo politico - il più clamoroso in Cina dai tempi dei processi contro i membri della Banda dei Quattro, fra cui la moglie di Mao, Jiang Qing nel 1980 - si è svolto secondo un copione un po' diverso dal solito, lasciando che Bo si difendesse respingendo tutte le accuse e facendo una significativa concessione ai tempi moderni, con un semi live-feed dalla Corte che comunicava all'esterno quanto avveniva in aula, probabilmente dopo averlo ripulito a piacere. Un racconto accessibile a chiunque andasse sull'account Sina Weibo (un tipo di Twitter cinese) del tribunale. Non uno streaming in diretta, certo, ma pur sempre un passo avanti.

Lo stesso, con il filtro degli schermi dei computer, la giornata cinese è trascorsa interrogandosi senza sosta sul significato di ogni gesto, parola, dettaglio. Così, il web ha dato moltissima importanza al fatto che nella fotografia distribuita dalla Corte le mani di Bo Xilai, incrociate davanti a sé, facessero uno strano gesto, come un «ok», o il numero tre, che molti hanno voluto interpretare come un messaggio in codice a chissà chi.

E che dire dei due poliziotti che lo affiancano, probabilmente fra i più alti della Cina intera, dato che per non far svettare il criminale Bo (alto 1,89) misurano circa 1,95 e - mistero dei misteri - portano su una mostrina lo stesso numero di matricola, 372078. Di che appagare gli appassionati di complotto.

Bo Xilai, dunque, per la prima volta in pubblico da 18 mesi, ha respinto tutte le accuse di corruzione rivoltegli da due testimoni e dalla Corte, che citava pertanto la confessione dello stesso imputato. Ma Bo ha dichiarato di averla rilasciata «sotto pressione», e di non reputarla dunque valida.

Per il resto, ha negato di aver accettato bustarelle per circa 3 milioni di euro da Xu Ming e Tang Xiaolin, due uomini d'affari di Dalian, dove Bo era stato sindaco prima di arrivare a Chongqing, e ha gettato sulla moglie, Gu Kailai (in prigione per omicidio) la responsabilità degli ingenti giri di danaro con l'estero.

Secondo Bao Pu, un editore di Hong Kong figlio di un funzionario di Partito caduto in disgrazia per il suo sostegno alle proteste studentesche del 1989, «di sicuro si sono messi d'accordo prima. Hanno deciso che Bo poteva respingere le accuse, rispondere alla Corte, ma non certo lanciarsi in discorsi più generali, sul Partito o sulla giustizia».

Infatti, molti ricordano il processo di Jiang Qing, la moglie di Mao, che lanciò un j'accuse che ancora risuona in Cina, quando, incolpata degli eccessi della Rivoluzione Culturale, dichiarò che se era colpevole lei, lo era anche suo marito, e tutti quelli che la processavano. E in molti, pur aborrendo Jiang Qing, trovarono formidabile la sua combattività, e concordarono sul fatto che il vero responsabile non era alla sbarra.

Lo stesso vale per Bo Xilai, la cui risolutezza anche davanti a una condanna certa ha suscitato una certa ammirazione sul web. Fuori dalla Corte, intanto, gruppetti sparsi di suoi sostenitori hanno cercato di srotolare striscioni e gridare slogan, ma sono stati portati via dalla polizia.

Il processo, a cui non sono stati ammessi giornalisti stranieri, riprenderà oggi, e la sentenza dovrebbe essere pronunciata in settembre.

 

 

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