belpietro renzi

BOTTE DA ORBI TRA ''VERITÀ'' E ''RIFORMISTA'' - ''BELPIETRO OGNI GIORNO SCEGLIE DAL MAZZO DELLE CARTE SULLA FONDAZIONE OPEN UNA PAGINA A CASO E LA USA COME BERSAGLIO, PUBBLICANDO NOMI E STORIE DI PERSONE PER BENE CHE SVENTURATAMENTE SI SAREBBERO AVVICINATE, NEGLI ANNI, A UNA ATTIVITÀ DI RENZI. O ADDIRITTURA CHE AVREBBERO PRESO PARTE A UNA CENA CON PARLAMENTARI VICINI A RENZI. NON SI PARLA DI IMPUTATI, NÉ DI INDAGATI. COME NEL CASO DI GRASSO O BORGHERESE CHE…''

Aldo Torchiaro per ''il Riformista''

 

È ormai un caso quello dell’impallinatura quotidiana de La Verità. Il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro ogni giorno sceglie dal mazzo delle contestate carte della vicenda Fondazione Open una pagina a caso e la usa come bersaglio di tiro, pubblicando nomi e storie di persone per bene che sventuratamente si sarebbero avvicinate, negli anni, a una o più attività di Matteo Renzi o della Leopolda. O addirittura che avrebbero preso parte a una cena con parlamentari vicini a Renzi. Non si parla di imputati, né di indagati. Non si tratta quasi più della vicenda processuale, sulla quale gli elementi a discarico hanno fatto perdere mordente.

 

maurizio belpietro direttore del quotidiano la verita (1)

Nel tritacarne oggi finiscono nomi di persone del tutto estranee all’inchiesta, che sul quotidiano di Belpietro figurano con nome e cognome sottolineati in grassetto. I più perché hanno dato un contributo alle spese organizzative della Leopolda, integrando il reato di “renzismo”, sulla cui codificazione penale attendiamo chiarezza dal legislatore. Giovedì su La Verità è stato il turno della mail con cui il presidente della Fondazione Open scrive al responsabile relazioni istituzionali di Pirelli, Filippo Maria Grasso. Grasso è un professionista molto stimato, oggi direttore Public Affairs di Leonardo.

 

E non ha nulla a che fare con le inchieste in corso. Ma una volta in pagina su La Verità, diventa quello che riceve sospette mail, che coltiva chissà quali indicibili accordi. Cosa scrive l’avvocato Bianchi a Grasso? «Questa in allegato è la presentazione dell’agenzia di comunicazione Dot Media. Se la valuta interessante, la potrebbe inserire nell’albo fornitori». Una mail come tante. C’è l’ombra di una notizia in un testo in cui un professionista presenta una azienda ad un altro, nel modo più formale? No. Ma Dot Media è l’agenzia che ha curato la comunicazione della Leopolda, nei primi anni. E quindi qualsiasi mail, qualsiasi cosa va bene.

 

Renzi alla Leopolda

È la lettera scarlatta. Venerdì La Verità prende un’altra carta. E spara nel mucchio. Se la prende con un’altra persona per bene, l’imprenditore pugliese Lelio Borgherese – leader nel mercato dei servizi Bpo e contact center in Italia, azienda da poco visitata dal ministro Gualtieri – per rimproverargli di aver preso parte a una cena renziana, nel 2014. Era una cena dietro al Parlamento – con cento imprenditori, con la politica – chissà che è successo. E si getta un fumogeno acceso. L’imprenditore nel 2019 risulta aver vinto un appalto Inps, guarda caso.

 

E via un altro fumogeno. Andando a verificare si scopre che a quella cena di lavoro Matteo Renzi non c’era, e che Borgherese non lo ha mai incontrato nella vita. Di più: che la gara Inps è stata vinta con l’ultima gestione, quella avversata da Renzi, che del presidente Tridico ha chiesto le dimissioni. Sembra quasi che siccome l’inchiesta della magistratura non convince, si mandano i rinforzi per mestare nel torbido. Ma anche i mestatori falliscono. La Cassazione ha sentenziato a fine ottobre: «Non è provato che Open fosse un’articolazione del partito», condizione necessaria per configurare l’eventuale finanziamento illecito ai partiti.

RENZI ALLA LEOPOLDA 10

 

Ma il metodo della bastonatura mediatica, che accomuna La Verità al Fatto, non tiene conto delle sentenze che non condannano. Un metodo che nelle parole che Giuseppe D’Avanzo aveva dedicato a Travaglio, funziona così: «Si afferra un “fatto” controverso e lo si getta in faccia agli spettatori lasciandosi dietro una secrezione velenosa e con “fatti” ambigui e dubbi, si manipola cinicamente il lettore.

 

Se ne alimenta la collera. È un paradigma professionale che, sulla spinta di motivazioni esclusivamente commerciali (non civiche, non professionali, non politiche), può distruggere chiunque abbia la sventura di essere scelto come target. Il qualunquismo antipolitico è alimentato, per interesse particolare, da un linciaggio continuo e irrefrenabile che può contaminare la credibilità di ogni istituzione e la rispettabilità di chiunque». Sotto a chi tocca, domani è un altro giorno.

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