1- CACCIARI, SIPARIO SULLA SECONDA REPUBBLICA: “ERA GIÀ SCRITTO DA TEMPO: DOPO BERLUSCONI DOVEVA CADERE ANCHE UMBERTO BOSSI. LA QUESTIONE ERA: IN CHE MODO?” 2- “TUTTI SANNO CHE UMBERTO HA UN'AUTONOMIA LIMITATA”. IL BANANA LO DIFENDE, EVOCANDO CON UMANA PIETAS L'OFFESA INFERTA DALL’ICTUS, SI SCAGLIA CONTRO “AVVOLTOI E BENPENSANTI”, CONTRO CHI “NON VEDEVA L'ORA” DI VEDERLO NELLA POLVERE 3- QUELLA PROFEZIA/PRESENTIMENTO TRA I DUE VECCHI ALLEATI. IL RICORDO DELLE CENE DEL LUNEDÌ AD ARCORE, DOVE I DUE CONCLUDEVANO SPESSO L'INCONTRO RIPETENDOSI: “QUANDO CADRAI TU, CADRÒ ANCH'IO”. NON SAPEVANO QUANDO NÉ COME SAREBBE SUCCESSO, MA ERANO CONSAPEVOLI CHE QUEL MOMENTO SAREBBE ARRIVATO

1 - CACCIARI: "CON LA CADUTA DI BERLUSCONI DESTINO SEGNATO, MA RESTA LA QUESTIONE SETTENTRIONALE"
Eleonora Vallin per "la Stampa"

«Era già scritto da tempo: dopo Silvio Berlusconi doveva cadere anche Umberto Bossi e ogni persona dotata di intelletto l'aveva capito e se l'aspettava. La questione era: in che modo?». Massimo Cacciari, filosofo, accademico e politico italiano, ex sindaco di Venezia ne è sicuro: «Al di là delle demagogie e delle ideologie bossiste, la questione settentrionale resterà e non finirà qui, perché non è possibile che esista una sperequazione tra Nord e Sud».

«Sicuramente Bossi ha fallito nel modo in cui l'ha posta e l'ha affrontata - precisa -. Il Nord finalmente dovrà avere altri modi di rappresentanza». In realtà, questi «altri modi» sono da creare. «Il Pd esiste solo sulla carta ribatte - e il rischio è che il Nord sia meno rappresentato di prima».

Ci sarà posto in futuro per nuove velleità di secessione? «Le storie dei separatismi nazionali e regionali sono finiti con Bossi. Ora serve una rappresentanza politica seria del Nord perché si tratta di una questione tutta aperta e che va affrontata, sennò prima o poi succederà un'esplosione, perché c'è una parte del Paese che sta meglio della Baviera e il resto è a pezzi, ignorato o non gestito dalla classe politica». E il futuro del Carroccio? «Io mi auguro, per il bene del Paese, che Maroni prenda le redini e ritrovi un'intesa con il Pdl di Alfano».

2 - «UN GIORNO CADREMO ASSIEME» QUELLA PROFEZIA TRA ALLEATI
Francesco Verderami per il "Corriere della Sera"

«Tutti sanno che Umberto ha un'autonomia limitata». È così che Berlusconi difende Bossi. È evocando con umana pietas l'offesa inferta dalla malattia al Senatur, che il Cavaliere si scaglia contro «avvoltoi e benpensanti», contro chi «non vedeva l'ora» di vederlo nella polvere.

Ma ricordando le difficoltà fisiche del fondatore della Lega, Berlusconi punta l'indice anche contro «quanti l'hanno circondato in questi anni», e lo hanno «raggirato». Certo, un leader è sempre e in ogni caso responsabile, «ma la prova provata della sua onestà - secondo l'ex presidente del Consiglio - sta nel gesto repentino delle sue dimissioni».

Tuttavia è l'amico, non il politico, che vuole proteggere e difendere, siccome della politica il Cavaliere ormai quasi non si cura, da quando ha lasciato Palazzo Chigi: gli danno noia le riunioni, le folle di postulanti, le telefonate dei dirigenti di partito. E mentre tutti intorno a Berlusconi fremono e si interrogano preoccupati sul futuro, lui - ricordando Bossi - dice che «io e Umberto siamo uomini del passato».

È difficile capire se sia la verità o se invece sia solo una posa per sfuggire alle domande e rendersi sfuggente con le risposte. Di certo Berlusconi sapeva già da tempo che l'«asse del Nord» era finito. «Con Bossi è finita», continuavano a ripetergli in questi giorni molti autorevoli esponenti del Pdl. E il Cavaliere, di rimando: «È finita con la Lega, non con Bossi».

È finita l'alleanza, non l'amicizia. Non è un caso se tre giorni fa ha voluto far sentire la sua vicinanza al Senatur, proprio mentre gli dava l'addio: perché quell'elogio del nuovo sistema di voto - fatto al vertice del partito - non era altro che l'epitaffio del sodalizio con il Carroccio.

È vero, di recente si erano sentiti e anche visti in modo riservato, come due amanti che cercano di fare un ultimo tentativo. Ma Berlusconi si era reso conto che non c'era più nulla da fare, «solo parole, qualche promessa, nient'altro».

Così il Cavaliere ha deciso di inoltrarsi nella trattativa per la riforma elettorale, una mossa impregnata del cinismo che marca ogni scelta politica, e che a Berlusconi è servita anche per allontanare da sé il ricordo delle cene del lunedì ad Arcore, dove i due - quasi fosse un presentimento - concludevano spesso l'incontro ripetendosi: «Quando cadrai tu, cadrò anch'io». Non sapevano quando né come sarebbe successo, ma erano consapevoli che quel momento sarebbe arrivato.

Ed è anche su questo punto che le strade del Cavaliere e del Senatur si sono divise, perché Bossi non ha saputo fare ciò che invece Berlusconi ha fatto, affidando per tempo la guida del partito ad Alfano. Il leader della Lega, invece, è parso prigioniero anche di se stesso, e alla fine il cambiamento lo ha subito. L'ex premier osserva rattristato l'epilogo del «più fedele alleato», l'oltraggiosa fortuna che accompagna le sue dimissioni dal movimento che ha fondato e di cui incarna oggi il bene e il male.

La preoccupazione diffusa è che il crollo della Lega si possa trascinare appresso l'intero sistema, «c'è il rischio che venga giù la repubblica dei partiti», spiegano nel Pdl. Un timore diffuso in tutto il Palazzo, altrimenti non si spiega come mai ieri l'ABC della politica abbia attuato una manovra difensiva, preannunciando un'intesa bipartisan per una legge che dia trasparenza all'azione e alla vita (e ai bilanci) dei partiti.

Nel centrodestra c'è poi una preoccupazione ulteriore: capire quali saranno le sorti del Carroccio, quale sarà la linea del partito, se e come saprà reggere al ciclone giudiziario, se saprà evitare una spaccatura che sarebbe drammatica, se saprà tenere il consenso, e quali strade prenderanno i voti di chi non vorrà più votare per il Carroccio. Domande in attesa di risposta, mentre tutti si attrezzano per intercettare i leghisti delusi, mentre il Pdl spera almeno di raccogliere i voti di quella «borghesia del Nord» che metteva la croce su Alberto da Giussano.

Ufficialmente confidano che sia evitata una scelta isolazionista, «ci auguriamo - dice il capogruppo Gasparri - che la futura leadership leghista sappia gestire con saggezza questa fase, e che si possano riannodare tra noi e loro i fili di un rapporto». È ovvio il riferimento a Maroni, che potrebbe rappresentare un punto di caduta positivo, visti i suoi legami con Alfano. Il rapporto tra i due non si è mai interrotto, persino in questi mesi hanno trovato il modo di parlarsi e di incontrarsi, sapendo che una loro intesa darebbe corpo alla linea successoria.

Sarà un'impresa complicata, perché dovranno battersi anche contro le profezie dei loro vecchi leader. «Dopo di me sarà il diluvio», disse una volta Bossi. «Dopo di noi non sarà più la stessa cosa», dice Berlusconi. Eppure entrambi, formalmente, fanno ancora mostra di difendere le loro creature politiche, nonostante il Cavaliere in questi giorni abbia voluto difendere l'amico più che il politico. Perché lui sa, e lo dice, che «io e Umberto siamo uomini del passato». Sono i protagonisti di quella Seconda Repubblica che non c'è più.

 

 

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