CALTA CANTA - FA SOGNI D’ORO SUL SUO BEL “MATERASSO” DA 2 MILIARDI CASH IL COSTRUTTORE-EDITORE CHE FA SPALLUCCE DI FRONTE ALLA CONDANNA UNIPOL (L’UNICA SECCATURA SONO LE DIMISSIONI DA VICEPRESIDENTE MPS. NESSUN PROBLEMA INVECE PER LA VICEPRESIDENZA DELLE GENERALI E L’ACEA) - VISTO CHE I FATTI RISALGONO AL 2004-2005 LA PENA È RIDOTTA A SEI MESI GRAZIE ALL’INDULTO DEL GOVERNO PRODI E LA PRESCRIZIONE È CERTA - SI RICORDA UN SOLO PERSONAGGIO PUBBLICO CHE GLI HA PUNTATO LA PRUA ADDOSSO, COSSIGA…
Giorgio Meletti per "il Fatto Quotidiano"
Una condanna a tre anni e sei mesi di carcere, nell'Italia di oggi, non fa paura a nessuno. Men che meno a Francesco Gaetano Caltagirone, ingegnere, cavaliere del Lavoro, imprenditore dagli interessi tentacolari ma soprattutto considerato l'uomo più liquido d'Italia. Riposa su un materasso di banconote valutato tra 1,5 e 2 miliardi di euro. Il gruzzolo è la pietra angolare di uno dei più solidi edifici del capitalismo relazionale all'italiana.
E dunque sono facilmente comprensibili le ragioni che consentono al sessantottenne Francesco Gaetano, detto Franco o anche Francolino, di fare spallucce di fronte alla sentenza del Tribunale di Milano che lo ha considerato responsabile di gravi reati nella sciagurata scalata dell'Unipol alla Banca nazionale del Lavoro, assieme ai più bei nomi dell'impresentabile congrega dei "furbetti del quartierino": da Gianni Consorte (ex ad Unipol) all'immobiliarista Stefano Ricucci, dall'ex governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio al raider bresciano Emilio "Chicco" Gnutti.
Trattandosi di fatti risalenti al 2004-2005 la pena si riduce dei tre anni di indulto stabilito dal governo Prodi, quindi a soli sei mesi, e la prescrizione è certa. Sono probabilmente queste le considerazioni che hanno indotto Il Messaggero, quotidiano leader nella Capitale, a relegare la notizia della sentenza di Milano a due colonne di pagina 13, a parte il fatto che tra i condannati figurasse il suo editore.
La seccatura più grossa è che la condanna in primo grado toglie a Caltagirone quei requisiti di onorabilità , fissati da Bankitalia, necessari per essere vicepresidente del Monte dei Paschi di Siena, di cui è azionista con il 4,43 per cento delle azioni. Così il costruttore romano ha già comunicato al presidente Giuseppe Mussari la decisione di autosospendersi.
Nessun problema invece per la vicepresidenza delle Assicurazioni Generali, di cui Caltagirone controlla il 2,27 per cento: l'elegante normativa che governa la moralità del capitalismo italiano tollererebbe anche Jack lo squartatore al vertice della maggiore compagnia assicurativa nazionale. Nessun danno per l'altra società quotata dove Caltagirone siede in consiglio possedendo il 16 per cento delle azioni, la municipalizzata romana per l'acqua e l'elettricità Acea.
E a maggior ragione tutto prosegue senza scosse nell'impero direttamente controllato dalla famiglia: la Cementir, che produce cemento ed è affidata al figlio Francesco, la Vianini Costruzioni, e la Caltagirone Editore, gestita dalla figlia Azzurra (Il Messaggero, Il Mattino, La Gazzetta del Mezzogiorno). Però è la prima volta che la carriera imprenditoriale del suocero di Pier Ferdinando Casini subisce una concreta, percepibile battuta d'arresto. Caltagirone ha superato indenne due arresti durante la stagione di Mani Pulite, e rivendica di essere risultato sempre assolto con formula piena.
E anche oggi resta fedele alla sua tradizionale strategia di comunicazione: basso profilo, nessuna polemica con i giudici, fiducia nell'appello e semmai nella prescrizione, continuare a lavorare in silenzio e in silenzio a coltivare la ragnatela delle sue relazioni d'affari.
Finora i risultati gli danno ragione. Si ricorda un solo personaggio pubblico che gli ha puntato la prua addosso, Francesco Cossiga. L'ex presidente della Repubblica, alcuni anni fa, ricordò ruvidamente i brevi soggiorni del costruttore nelle patrie galere, questi se ne adontò, rivendicando le assoluzioni seriali conseguite, e Cossiga, alludendo da par suo a un'inchiesta della Procura di Perugia sui rapporti tra Caltagirone e alcuni magistrati del "porto delle nebbie" (la Procura di Roma), così lo salutò: "Non considero personalmente colpevoli, secondo il diritto naturale e l'etica, persone che sono state condannate dai giudici del mio Paese (...) e perciò non mi sento costretto a considerare innocente Francesco Gaetano Caltagirone che è stato in galera quanto Enzo Carra ed è stato assolto". Logica più cossighiana che aristotelica, indubbiamente, utile a notare come nessuno abbia mai osato tanto.
Caltagirone è benvoluto a destra e a sinistra , oltre che al centro. Per dire, quando Ricucci disse ai magistrati che Caltagirone conduceva l'operazione Bnl in un dialogo fitto con i politici, in primis con il genero Casini, a parte gli interessati che smentirono e minacciarono querele (ma per l'ex odontotecnico di Zagarolo pioveva sul bagnato, essendo già in galera), fu il sindaco di Roma Walter Veltroni a offendersi come se l'avessero toccato nei più teneri affetti familiari: "Vorrei sapere perché riemergono le dichiarazioni di un personaggio come Ricucci, volte a spargere veleno su persone che onorano la vita istituzionale del nostro Paese, sulla vita economica della mia città e del mio Paese".
Con buona pace di chi ha attribuito a Veltroni un occhio di riguardo per gli interessi di Caltagirone nella cementificazione massiccia della Capitale agevolata dal suo discusso piano regolatore.
Ma la corsa alla benevolenza di Caltagirone è bipartisan. Nel 2008, quando Francesco Rutelli e Gianni Alemanno si batterono per la successione a Veltroni in Campidoglio, iniziarono contendendosi i favori di Caltagirone, che come sempre rimase neutrale, preparandosi a incassare il servile omaggio del vincitore, chiunque fosse.
E infatti, tanto per fare un esempio, ecco che Alemanno, azionista di maggioranza dell'Acea, si affretta a nominare in consiglio Andrea Peruzy, tesoriere della Fondazione Italianieuropei di Massimo D'Alema, l'amico di Consorte. Tutto si tiene nel presepio imprenditoriale di Caltagirone. Quando girò la voce che comprasse la Telecom da Marco Tronchetti Provera, lui spiegò in modo chiaro, come sua abitudine, il fenomeno in corso: "Le banche d'affari a noi portano tutto quello che di rilevante c'è sul mercato. Fanno il loro lavoro, e noi il nostro, cioè esaminiamo".
Ecco che cosa succede quando sei ricchissimo in un sistema economico dove (primo) contano relazioni e amicizie e (secondo) anche i più blasonati industriali e banchieri hanno le pezze al sedere: vengono tutti a chiederti aiuto, o in subordine benevolenza e consiglio. Tu dici sì o no, come Minosse. Ma nessuno ti critica.
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