CARBONE ARDENTE IN GERMANIA - MENTRE AVVERTIVA CHE "NON POSSIAMO PERMETTERCI UN RINASCIMENTO DEI COMBUSTUBILI FOSSILI" OLAF SCHOLZ SCRIVEVA I DECRETI PER IL RILANCIO DELLE CENTRALI A CARBONE - IL GOVERNO DI BERLINO NON PUO' PIU' CONTARE SUL GAS RUSSO E ORA PUNTA SULLE VECCHIE CENTRALI, CON TANTI SALUTI ALLA VON DER LEYEN CHE CHIEDEVA DI "EVITARE DI REGREDIRE AI COMBUSTIBILI FOSSILI PIU' INQUINANTI"
Raffaele Oriani per “il Venerdì – la Repubblica”
olaf scholz testimonianza su banca warburg
L’immagine più emblematica di quest'estate di crisi energetica ed emergenza climatica ci viene dalla Germania. Come e più di tutti gli europei, i tedeschi sono alle prese con l'incognita del gas russo, che fino all'anno scorso garantiva un ottavo del consumo energetico nazionale.
In attesa di decidere se le ultime tre centrali nucleari del Paese rimarranno in servizio oltre la chiusura programmata il prossimo 31 dicembre, il governo di Berlino punta sugli impianti a carbone, compresi quelli dismessi negli ultimi anni.
OLAF SCHOLZ EMMANUEL MACRON VOLODYMYR ZELENSKY MARIO DRAGHI KLAUS IOHANNIS
Tra tutti i combustibili fossili, il carbone è di gran lunga quello con il maggior tasso di emissioni clima-alteranti.
Come dire che per far fronte alla penuria energetica si tira il freno alla conversione ambientale. Sembra strategia ma è navigazione a vista: tra le centrali a carbone chiamate a supplire alla carenza di gas c'è ad esempio quella di Großkrotzenburg, strategicamente collocata nel bacino del Reno.
Ma il carbone a sua volta è in affanno, perché le chiatte che lo dovrebbero trasportare viaggiano a meno della metà del carico. Complice il clima impazzito, il livello del Reno si avvia infatti a doppiare il record negativo toccato nel 2018. Pur senza pioggia, è una tempesta perfetta. Tanto più che, quando arriveranno, le agognate precipitazioni rilanceranno a pieno carico il combustibile che più alimenta lo squilibrio che le ha fatte mancare.
la nuvola di fumo sopra la centrale a carbone
Per il carbone il 2022 è un anno d'oro.
L'associazione tedesca degli importatori prevede un inverno da favola con un tonnellaggio in aumento dell'11 per cento sull'anno precedente. Ma la prima economia del continente è solo un frammento di una tendenza planetaria: a trent' anni dalla firma della Convenzione di Rio de Janeiro con cui 165 Paesi riconobbero il nesso rovinoso tra combustibili fossili e cambiamento climatico, l'Agenzia internazionale dell'energia (Aie) annuncia che il 2022 eguaglierà il 2013 come anno a maggior consumo di carbone di sempre.
Trent' anni per niente? A parità di energia prodotta, il carbone rilascia più del doppio delle emissioni clima-alteranti rispetto al gas naturale. La desertificazione avanza, gli eventi estremi si moltiplicano, ma grazie alla ripresa postpandemica e alle ripercussioni economiche della guerra in Ucraina, il principale responsabile del degrado climatico non ha mai goduto di salute migliore: una tonnellata di carbone costava 70 dollari a inizio 2021, ne rende 400 oggi.
E a nulla vale l'embargo decretato dall'Unione europea sul carbone russo che fino a un anno fa forniva il 46 per cento del fabbisogno continentale: dalla Colombia all'Indonesia all'Australia il mondo è pieno di miniere pronte a prenderne il posto.
Certo un prezzo si paga: la miniera di El Cerrejón, in Colombia, che con 30 milioni di tonnellate annue è tra le prime dieci del mondo, fa felici i proprietari svizzeri di Glencore che incredibilmente la definiscono «un tassello della nostra strategia climatica», ma convince meno le comunità locali per cui è semplicemente «il mostro».
Un paio di mesi fa la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, esortava a «evitare che questa crisi ci faccia regredire ai combustibili fossili più inquinanti». Non lo stiamo evitando: riaprono miniere nei Balcani, l'Austria riattiva impianti chiusi da anni, l'Olanda fa saltare ogni limite legale alla produzione di energia da petrolio e carbone.
E in Italia? Il carbone è chiamato a supplire a un decimo del gas che fino al 2021 importavamo dalla Russia, tanto che a maggio il governo ha concesso una prima proroga «fino a due anni» all'attività delle centrali a carbone di Civitavecchia, Brindisi, Venezia e Monfalcone.
Se fino all'invasione dell'Ucraina erano tutte avviate a riconversione tecnologica, ora tornano rapidamente al business tradizionale: secondo Doretto Marinazzo di Legambiente Brindisi, la locale megacentrale Federico II in questi mesi sta bruciando carbone a un ritmo di tre, se non quattro milioni di tonnellate annue rispetto alle 900 mila consumate nel 2021.
importazioni di energia dalla russia in europa
È un'evoluzione da paura. Immersi nell'estate più calda che meteorologia ricordi, è logico chiedersi se fosse l'unica possibile: «Questa crisi rischia di essere una grande occasione persa» dice Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente. «Invece di avviare una drastica sburocratizzazione di tutte le energie rinnovabili come auspicato anche dall'associazione confindustriale delle imprese elettriche, si è preferito mantenere la dipendenza dalle fonti fossili recuperando affannosamente nuovi fornitori di gas, o peggio, rilanciando le inquinantissime centrali a carbone».
rincaro energia e aumento delle bollette 11
Questa è la realtà in Italia, in Europa e nel mondo, poi però c'è lo storytelling che ormai intacca anche le mentalità più rocciose. Mentre preparava i decreti per il rilancio delle centrali a carbone, il cancelliere tedesco Olaf Scholz avvertiva che «non possiamo permetterci un rinascimento globale dei combustibili fossili, men che meno del carbone».
Ma il rinascimento è nei fatti, e non solo lungo il Reno. Dopo il picco di quest' anno, secondo l'Aie il consumo globale di carbone crescerà ancora nel 2023. E sì che la stessa Agenzia un anno fa avvertiva che per limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi come da Accordo di Parigi è tassativo non investire più nell'estrazione di combustibili fossili. Men che meno del carbone.