BANANA SÌ, CETRIOLO NO - CON IL PRETESTO DEL SENATO, IL CAV DISOTTERRA LA POMPETTA DI GUERRA CONTRO RENZI: “NON GLI FARÒ REGALI DA SVENTOLARE ALLE URNE. NON MI FACCIO PRENDERE IN GIRO”

Paola Di Caro per ‘Il Corriere della sera'

Cercano di rassicurarlo: «Non sarà così dura, l'affidamento ai servizi sociali è pressoché scontato, e la libertà di movimento, di azione, di parola sarà ampia». Ci provano a tenerlo tranquillo. Ma mentre il conto alla rovescia verso il 10 aprile avanza inesorabile, Silvio Berlusconi è di umore sempre più nero.

Per lui ieri una giornata ad Arcore, tra studio e parco, con pochi amici e il sempre presente Giovanni Toti, e tanti pensieri ad affollarsi nella sua testa, uno più bellicoso dell'altro. Perché, dicono, nelle ultime ore l'ex Cavaliere si sta convincendo che bisogna invertire la rotta, costi quel che costi. E si perda quel che si perda, che da perdere in fondo non c'è più tanto.

«Umiliato» come si sente per dover scontare una pena che «non merito, perché sono assolutamente innocente, e che mi rifiuto di accettare come se fosse una cosa normale», il leader azzurro fa sentire la sua voce nelle kermesse di partito, torna a denunciare i «quattro golpe della sinistra giudiziaria» contro di lui, alza i toni sul governo, chiama la sua gente all'unità dei «moderati» per la battaglia delle Europee del 25 maggio e addirittura augura a tutti «buona rivoluzione». Perché, come dice Daniela Santanchè, il 10 aprile «cambia la storia di questo Paese, non si potrà farlo passare come un giorno qualunque».

Cosa possa davvero succedere dal momento in cui Berlusconi comincerà a scontare la sua pena - e le modalità con cui lo farà non sono ovviamente indifferenti - è difficile da dire. Già nel partito torna ad affiorare la divisione tra chi vorrebbe fare fuoco e fiamme contro la decisione del tribunale di sorveglianza, e chi cercare di andare avanti con meno danni possibile. Ma lo spartiacque sarà l'atteggiamento sulle riforme.

A ieri, il leader di Forza Italia era durissimo: «Non mi faccio prendere in giro da Renzi, non faccio le riforme a tutti i costi e tantomeno gli regalo una vittoria da sventolare alle Europee dopo che lui, nella sostanza, non ha fatto nulla per me, non ha nemmeno pronunciato una parola sull'ingiustizia immensa che sto per subire». E dunque, «o la riforma cambia davvero e appare chiaro che sono loro che sono venuti dalla nostra parte e non noi a rimorchio loro, o per me non se ne fa niente».

Sono almeno due le richieste dirette: una profonda modifica del ddl di riforma del Senato, e l'inversione dell'esame dei testi: prima la legge elettorale, poi quella costituzionale. E, sostanzialmente, il riconoscimento che Forza Italia è tutt'altro che «accodata» al Pd, ma è motore trainante delle riforme.

«Se possiamo far capire ai nostri elettori che queste sono soprattutto le nostre riforme, possiamo andare avanti. Altrimenti, non daremo il sangue a Renzi», insiste Berlusconi. Tanto più prima del voto per le Europee, che vede Forza Italia con pochi argomenti forti da spendere. Uno è certamente l'esclusione «intollerabile del nostro leader dalle liste», come dice anche Toti. L'altro è un'idea di Europa che, pur senza poter sposare gli slogan antieuro di Grillo, è decisamente diversa «da quella degli euroburocrati».

Un po' poco per contrastare l'avanzata di Renzi «che - si lamenta Berlusconi - occupa tutti i giorni le tv in maniera ossessiva» o dei partiti che possono fare opposizione a tutto campo. Ed è vero che l'idea di puntare sul simbolo con il nome Berlusconi «è per noi un brand forte, che ci serve per resistere», come dicono gli azzurri, ma la preoccupazione è grandissima. Per questo la scelta sulla linea da tenere sulle riforme, dopo il 10 aprile, diventa inevitabile.

Mezze misure servirebbero a poco. Verdini, l'uomo della trattativa, sta tentando di tenere assieme i fili, è stato lui sabato sera a pretendere dall'ex premier la nota con cui si precisava che «non si vogliono far saltare le riforme», ma una vasta area del partito chiede più durezza: «Le modifiche che vorrebbero concederci sono poche. Per noi questo testo resta inaccettabile», insiste Paolo Romani. Serve un vertice, una linea chiara. E serve capire «quanto Renzi è disposto a darci. Suicidarci non possiamo», dicono da Arcore. E ancora una volta le riforme appaiono appese a un filo.

 

 

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