CELLI DI ROVO - ''SALINI DOVREBBE DIMETTERSI DALLA RAI. A CHE TITOLO SALVINI GLI PARLA DEL PIANO EDITORIALE? UNA PREPOTENZA GRAVE. DOVREBBE PARLARE AL MASSIMO COL MINISTRO DEL TESORO, IL SUO AZIONISTA'' - MA COME! A CHE TITOLO D'ALEMA E VELARDI FECERO ''UN PRESSING MICIDIALE'' PER RIPORTARE CELLI IN RAI NEL 1998? LE INGERENZE POLITICHE DEGLI ALTRI PUZZANO SEMPRE DI PIÙ…
1. CELLI: ''FUI SOTTOPOSTO A UN PRESSING DA VELARDI E D'ALEMA PER ANDARE IN RAI''
Dall'intervista di Antonello Piroso a Pier Lugi Celli su ''La Verità'' del 22 novembre 2018
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Brutalmente fottuto, e mi scusi la volgarità, ma avendo lei scritto un pamphlet intitolato Comandare è fottere...Ma se sapeva che bell' ambientino è la Rai, perché ha accettato di tornarci nel 1998?
«In realtà a offrirmi l' incarico di direttore generale una prima volta fu nel 1996 Luciano Violante, che da presidente della Camera aveva per legge, insieme al presidente del Senato, Nicola Mancino, l' onere di nominare i vertici della Rai. Gli chiesi chi fossero i componenti del consiglio di amministrazione, e sentiti i nomi risposi: no, grazie. Non mi sembravano tutti attrezzati per il compito che li aspettava».
Vabbè, un nome lo faccio io: era la Rai del presidente Enzo Siciliano. Cosa le fece cambiare idea due anni dopo?
«Quel cda era decaduto, e fui sottoposto a un vero e proprio pressing, iniziato da Claudio Velardi e continuato da Massimo D' Alema e Franco Marini. Ma io stavo tanto bene all' Enel, e dicevo a Franco Tatò: "Tu li conosci, diglielo tu, mi lascino in pace", tanto più che lì, da capo del personale, ero strapagato. Quanto? Non ricordo».
Le rinfresco la memoria: 574 milioni di lire l' anno.
«Sì, mi pare la cifra fosse quella, in Rai mi davano la metà. Ma la moral suasion fu tale (mi dicevano: "Se lei non accetta il risiko delle caselle del nuovo CdA non lo completiamo") che alla fine dissi sì».
2. OGGI: "LA POLITICA È PREPOTENTE E L' AD DOVREBBE DIMETTERSI"
Aldo Fontanarosa per ''la Repubblica''
«Il ministro Salvini che, senza averne titolo, incontra l' ad della Rai Salini. Anzi, lo convoca. Questa è una prepotenza grave. E bene farebbe Salini, che è persona preparata, a prendere il cappotto e ad andare via. Gli suggerisco di dimettersi».
Pier Luigi Celli, lei ha guidato l' azienda forse più difficile del Paese, la Rai, dal 1998 al 2001 e poi ha gettato la spugna con le dimissioni da direttore generale, l' 8 febbraio.
massimo d'ALEMA rondolino VELARDI
«La mia, mi scusi, non fu una resa. Semmai fu un atto di coerenza. L' Italia andava verso le elezioni politiche del 2001 - Berlusconi contro Rutelli - e la pressione dei partiti si faceva ogni giorno più forte. Anche ad opera delle forze del centrosinistra. Io questo non lo accettavo e me ne andai».
Pressioni forti, dunque.
«Volevano orientare i programmi, mettere dentro persone loro. Cose pesanti, certo, anche se non si arrivava ai livelli ora ridicoli ora vergognosi di questi giorni. Salvini, chi è?».
È pur sempre il ministro dell' Interno e vicepremier.
«Esatto. Dunque non ha alcun titolo per chiamare Salini e discutere il piano industriale della Rai. Salini può esporre il piano, al massimo, al ministero dell' Economia, che è l' azionista della tv di Stato».
Quindi siamo messi peggio oggi del 2001.
«Domenica Fabio Fazio realizza un grande colpo giornalistico con l' intervista a Macron e la Rai neanche la promuove. Anzi: sul conduttore arriva il fuoco amico del Tg2. Tutto questo non è professionale. La Rai non è proprietà della Lega o del governo».
La Rai è dello Stato.
«La Rai è delle famiglie che pagano il canone. Sono loro i veri azionisti del servizio pubblico tv. E questi italiani votano Fratelli d' Italia e Pd, Forza Italia e Liberi e Uguali.
Non sono tutti leghisti o grillini».
Se dovesse suggerire un norma di legge, un assetto organizzativo in grado di mettere la Rai in un territorio neutro.
«La mia Rai aveva sopra la testa l' Iri, che funzionava da holding, da capogruppo. Era uno scudo notevole. Io non parlavo con un ministro e neanche con il presidente del Consiglio. Se c' era un problema, io andavo al massimo dall' ad dell' Iri».
Che oggi sarebbe complicato resuscitare
«E allora resuscitiamo l' idea di Bruno Pellegrino».
Dottor Celli: lei mette a dura prova la nostra memoria. Parliamo dell' ex senatore socialista, ed ex consigliere Rai dell' era Manca. Che cosa propose?
«Di mettere la Rai sotto una Fondazione, al riparo dai partiti invasivi e famelici. Semplice, se solo ci fosse la volontà politica. Ottima persona, Pellegrino, come peraltro l' ad della Rai Salini».
Il primo amministratore delegato nella storia della Rai. Il capo azienda che dispone dei poteri più forti che nessuno mai, a Viale Mazzini.
«Poteri molto maggiori dei miei. Li faccia valere. Ricordi ai politici che la Rai, anche se di proprietà dello Stato, resta una Spa di diritto privato che deve poter agire come qualsiasi altra impresa. Sottoposta al solo Codice civile. E se non dovesse riuscire in questa affermazione di autonomia, allora prenda l' unica strada possibile».
Le dimissioni.
«Non ha altra scelta».