CONSIP, L'INCHIESTA ROMANA – PRIMO CONFRONTO ALL’AMERICANA FRA LUIGI MARRONI ED IL GEN. DEI CARABINIERI EMANUELE SALTALAMACCHIA: L’EX AD DI CONSIP AVEVA DETTO CHE IL MILITARE (AMICO DI RENZI) LO AVEVA INFORMATO DELLE CIMICI IN UFFICIO
Edoardo Rizzo per La Stampa
Fuori uno. Si è svolto il primo confronto all’americana del caso Consip: di fronte l’ex ad della Centrale acquisti della pubblica amministrazione, Luigi Marroni e l’ex comandante della Legione Toscana dei carabinieri, Emanuele Saltalamacchia.
A quest’ultimo Il procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, l’aggiunto Paolo Ielo, e il pm Mario Palazzi contestano, nell’ambito di uno dei filoni dell’indagine sulla Consip, i reati di favoreggiamento e violazione del segreto istruttorio a seguito proprio delle dichiarazioni di Marroni che, nel dicembre del 2016, aveva affermato davanti ai carabinieri del Noe e ai pm di Napoli, Henry John Woodcock e Celeste Carrano, di essere stato avvertito da Emanuele Saltalamacchia, oltre che dal ministro allo Sport, Luca Lotti e dal presidente di Publiacqua Firenze, Filippo Vannoni, della presenza di cimici nel suo ufficio.
RICORSO IN CASSAZIONE CONTRO SCAFARTO
Nell’ambito della stessa inchiesta la procura sta preparando in queste ore il ricorso in Cassazione contro il provvedimento del tribunale del Riesame di Roma che ha annullato l’ordinanza sospensiva permettendo al maggiore dei carabinieri, Gianpaolo Scafarto, ex Noe, di tornare in servizio.
Scafarto accusato dai pm romani di rivelazione del segreto istruttorio, depistaggio, e ben cinque episodi di falso è stato ritenuto dai giudici del tribunale del Riesame in buona fede. «Non si può ricavare alcun elemento di convinzione sulla dolosa falsità dell’informativa dalla dichiarazione di Scafarto “questo passaggio è vitale per arrestare Tiziano”. Al contrario l’ufficiale se avesse voluto falsificare non avrebbe sottolineato la cosa ai propri uomini», sottolineano i giudici del riesame nell’ordinanza.
«L’indiziato non ha avuto nessun atteggiamento persecuorio nei confronti di Tiziano Renzi - spiegano ancora i magistrati del riesame - e l’attribuzione della frase incriminata a Bocchino sarebbe emersa in dibattimento», da tutti questi elementi emerge la buona fede di Scafarto anche perché lo stesso ufficiale si preoccupò di correggere altri errori materiali contenuti nell’informativa che potevano avvalorare le tesi accusatorie.
Dunque «l’ufficiale dei carabinieri non aveva la finalità di dimostrare il coinvolgimento, nell’indagine Consip, di Tiziano Renzi, e l’interesse a interferire nelle indagini da parte del figlio Matteo, allora premier», scrivono ancora i giudici del Riesame. Una versione che contrasta totalmente con la ricostruzione della procura di Roma secondo cui Scafarto avrebbe dolosamente falsificato l’informativa sulla Consip attribuendo una frase, pronuncia dall’ex parlamentare Italo Bocchino, ad Alfredo Romeo per «incastrare Tiziano Renzi», e omettendo di riferire l’esito negativo degli accertamenti compiuti su una persona sospetta che per Scafarto era dei Servizi Segreti.
I giudici del Riesame smontano anche l’ipotesi di depistaggio. Per il tribunale infatti «appare singolare che Sessa (Alessandro, colonnello ex Noe) e Scafarto lo abbiano commesso alla presenza di altri ufficiali dei carabinieri che si trovavano come i due indagati in attesa di essere ricevuti dal generale Pascali». E poi «è evidente che la eliminazione della possibilità di effettuare il back up riguarda le conversazioni future tramite whatsapp e non ha nulla a che vedere con la disinstallazione dell’applicazione e quindi con il depistaggio». Adesso si aspetta la decisione dei giudici della Cassazione.