HUAWEI, GO AWAY - IL 5G NON È PIÙ UN MOTIVO DI CONTRASTO TRA USA E ITALIA E LO DIMOSTRANO LE DICHIARAZIONI DI CONTE E DI MAIO DI IERI CON POMPEO. COME FARANNO A GIUSTIFICARE QUESTA NUOVA ONDATA DI ATLANTISMO AI CARI AMICI CINESI? L’AMBASCIATORE DEL DRAGONE IN ITALIA (QUELLO CHE VA A PRANZO CON GRILLO) MINACCIA: “CHI SEMINA VENTO, RACCOGLIE TEMPESTA. POMPEO CI CALUNIA, METTA PRESTO FINE AL SUO SHOW”
1 – CONTE RASSICURA L'ALLEATO SUL 5G E CHIEDE AIUTO SU LIBIA E TURCHIA
Maurizio Caprara per il “Corriere della Sera”
Nell' incontro tra il Segretario di Stato americano Mike Pompeo e il presidente del Consiglio Giuseppe Conte il 5G - la quinta generazione di telefonia mobile sulla quale la Cina ha il primato mondiale sul piano commerciale - ha occupato meno di un decimo dell' ora e poco più trascorsa insieme.
mike pompeo con la moglie a roma
A Palazzo Chigi era già chiaro che la campagna elettorale in corso per le presidenziali statunitensi imponeva a un rappresentante dell' Amministrazione di Donald Trump di ribadire in pubblico almeno uno degli altolà abituali verso Pechino. Perciò è stato Conte, senza anatemi, a far presente in sostanza nel colloquio che l' Italia sta adottando una linea compatibile con i timori di Washington verso le capacità cinesi di controllare dati e ampliare un' influenza in Europa.
Più tardi alla Farnesina, dopo un incontro con il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, l' ex direttore della Central Intelligence Agency che guida il Dipartimento di Stato ha detto ai giornalisti: «Gli Stati Uniti fanno appello al governo italiano di considerare in maniera attenta la sicurezza nazionale e la riservatezza dei dati dei propri cittadini con le società tecnologiche che fanno parte del sistema di sorveglianza del Partito comunista cinese».
Di Maio aveva appena pronunciato una pubblica rassicurazione destinata a Washington. «Colgo l' occasione di questo incontro - aveva affermato - per veicolare un messaggio: l' Italia è saldamente ancorata agli Stati Uniti e all' Unione Europea a cui ci uniscono valori e interessi comuni».
In entrambi i casi, dichiarazioni preparate, tutt' altro che improvvisate. Ognuno dei due sapeva di dover fare la propria parte perché, in precedenza, divergenze in materia non erano mancate. Ma il 5G, adesso, non è quanto in passato un motivo di contrasto ingombrante con gli Stati Uniti.
È proprio agli interessi che Conte ha fatto riferimento, a porte chiuse, spiegando a Pompeo le misure proposte dall' Italia in sede europea sulla telefonia mobile di ultima generazione. Prima il presidente del Consiglio ha sottolineato che la normativa italiana presta attenzione alla sicurezza più che altrove.
Del resto, il decreto legge 105 del 2019 ha istituito il «perimetro di sicurezza nazionale cibernetica» per «assicurare un livello elevato di sicurezza delle reti, dei sistemi informativi e dei servizi informatici delle amministrazioni pubbliche, degli enti e degli operatori nazionali, pubblici e privati, da cui dipende l' esercizio di una funzione essenziale dello Stato». Ciò ha richiesto e richiede ulteriori atti normativi. E Conte ha messo in evidenza due aspetti.
Il primo: la sicurezza cibernetica di un Paese conta relativamente se uno Stato amico e vicino è poco sicuro. Secondo: le prossime normative europee dovrebbero garantire ai Paesi e alle aziende dell' Ue di non dover affrontare costi alti per le stesse forniture di questo campo che altri (i cinesi) offrono a basso prezzo.
All' ospite, insomma, Conte ha fatto notare che ci si preoccupa di non lasciare falle a una penetrazione estranea a Nato e Ue pronta a farsi largo con prezzi concorrenziali. Il clima ha permesso di trattare altri argomenti. Tra i principali, la Turchia, e come se ne discuterà nel Consiglio europeo di oggi e domani, nonché la Libia.
A Pompeo, arrivato in visita a Roma dalla Grecia, Conte ha spiegato che il suo governo, come la Germania, propone una linea ferma verso le esibizioni muscolari di Ankara verso il mare greco che però lasci una via ben aperta al dialogo con i turchi. Sulla Libia, al governo italiano non piace che il cosiddetto «E3» formato da Germania, Francia e Gran Bretagna, tenda a occuparsene.
Conte a Pompeo ha detto che è meglio continuare a riattivare il« Quint», sede di confronto nella quale con i tre Paesi ci sono anche Stati Uniti e Italia.
Beppe Grillo con l ambasciatore cinese Li Junhua
2 – L’AMBASCIATORE CINESE IN ITALIA SI FA LUPO. E DENUNCIA POMPEO (CON MINACCIA)
Gabriele Carrer per www.formiche.net
“Chi semina vento, raccoglie tempesta”. Citando il noto proverbio italiano il portavoce dell’Ambasciata cinese a Roma ha invitato il “gracchiante” Segretario di Stato americano Mike Pompeo a mettere “fine al suo show il prima possibile”.
Non sembrano essere affatto piaciute alla diplomazia cinese le parole pronunciante dal capo della diplomazia statunitense dopo gli incontri di ieri con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio: “Nella mia discussione con il premier Conte gli ho chiesto di fare attenzione alla privacy dei suoi cittadini”. E ancora: “Il Partito comunista cinese sta cercando di sfruttare la propria presenza in Italia per i propri scopi strategici, non sono qui per fare partenariati sinceri”.
I “PREGIUDIZI” DI POMPEO
Con una nota l’Ambasciata cinese ha accusato Pompeo di aver “nuovamente diffamato il Partito comunista cinese, attaccato senza motivo la politica interna della Cina e tentato di destabilizzare i rapporti tra Italia e Cina. Ci opponiamo fermamente e condanniamo con forza tali atteggiamenti”, si legge. Quelle del capo della diplomazia statunitense sono calunnie che “traboccano di pregiudizi ideologici e di ignoranza sulla Cina”, dice la rappresentanza di Pechino, pronunciate “con la scusa della tutela dei diritti umani, della libertà di religione e della cyber security”.
Ma, si legge ancora, “la valutazione se la situazione dei diritti umani, la libertà religiosa e la cyber security in Cina sia buona o meno spetta a chi ha maggior diritto di parola in merito, ovvero gli 1,4 miliardi di cittadini cinesi e non certo a un qualunque politico straniero”.
Curioso sostenere che sotto un regime i cittadini siano liberi di criticare il regime stesso. Ma l’Ambasciata insiste e probabilmente seguendo la linea di Pechino nel negare la repressione degli uiguri nello Xinjiang dichiara: “I cittadini cinesi, appartenenti a tutti i gruppi etnici, godono oggi di un senso di soddisfazione, felicità e sicurezza senza precedenti”.
UN LUPO GUERRIERO A ROMA
L’aggressività è ormai da diversi mesi un tratto caratteristico della diplomazia cinese a Roma guidata dall’assertiva feluca Li Junhua (recentemente convocato in commissione Esteri della Camera dal presidente Piero Fassino dopo il caso Zenhua). In particolare con la crisi del coronavirus.
All’inizio della pandemia l’Italia era finita nel mirino dei cosiddetti lupi guerrieri cinesi, ossia i diplomatici cinesi che sui social network sfidano (anche a colpi di fake news) l’Occidente, un orgoglio per il presidente Xi Jinping.
il corteo di mike pompeo con 44 veicoli a via del tritone 20
Possiamo ricordare due casi in particolare: quello del video fake, rilanciato anche da Hua Chunyinh, portavoce del ministero degli Esteri cinese, per sostenere che gli italiani fossero usciti sui balconi a ringraziare la Cina e a cantare l’inno cinese; e quello del Global Times, megafono inglese del Partito comunista cinese, che distorcendo le parole del professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto ricerche farmacologiche Mario Negri, aveva sostenuto che il coronavirus sarebbe nato in Italia. Inoltre, non vanno dimenticate le campagne aggressive sui social (portate avanti anche con l’utilizzo di bot, come rivelato da Formiche.net).
Ma a distanza di poco tempo l’immagine della diplomazia cinese era apparsa particolarmente spigolosa e aggressiva. E così a fine maggio l’uomo di Pechino a Roma rilasciò un’intervista al Corriere della Sera per spiegare che l’etichetta di lupi guerrieri, a lui spesso appiccicata, non è “adeguata”: “Forse sarebbe una metafora più azzeccata parlare di ‘Kung Fu Panda’”. Così, su Formiche.net, ci eravamo chiesti se non fosse stato il flop a medio termine di quella strategia aggressiva a suggerire ai funzionari di Pechino in Italia di svestire i panni di lupi guerrieri per indossare quelli di paciosi panda.
IL PRECENDENTE DEL FLASH MOB LEGHISTA…
li junhua gian marco centinaio
Ma poco più tardi, a inizio luglio, alla faccia della non ingerenza a cui Pechino spesso invita gli altri Paesi del mondo (più recentemente su Taiwan, isola considerata parte della Cina) l’Ambasciata cinese a Roma aveva protestato contro il flash mob organizzato dalla Lega per difendere Hong Kong.
In quell’occasione la diplomazia cinese mise nel mirino direttamente il leader della Lega Matteo Salvini: “Tali politici, che avevano denunciato gli atti di violenza e criminalità che hanno avuto luogo sul territorio italiano e avanzato proposte volte a rafforzare le misure legislative in materia di ordine pubblico, di fronte alle deliberate violazioni della legge da parte dei violenti di Hong Kong, che sfociano persino in crimini di separatismo, fingono invece di non vedere e non sentire”, si leggeva nella nota.
JOSHUA WONG IN COLLEGAMENTO CON IL SENATO ITALIANO
A cui risposero così il segretario della Lega e il responsabile del dipartimento Esteri del partito, Giancarlo Giorgetti: “L’ambasciata cinese non si azzardi a paragonare la Cina all’Italia. A Pechino non esistono partiti alternativi a quello comunista, l’opposizione è imbavagliata, a Hong Kong vengono arrestati perfino i ragazzini con inaudita violenza”.
… E QUELLO CON JOSHUA WONG
Un fatto simile era accaduto qualche mese prima, a novembre dell’anno scorso, quando l’Ambasciata protestò per la partecipazione di Joshua Wong, uno dei volti del movimento pro democrazia a Hong Kong, a un evento alla sala stampa del Senato, su invito del Partito radicale e di Fratelli d’Italia.
I parlamentari bi-partisan che hanno preso parte all’iniziativa, aveva dichiarato allora l’Ambasciata cinese a Roma, hanno fornito “una piattaforma per un separatista pro-indipendenza di Hong Kong e supportato ‘la violenza e il crimine'”. Parole a cui rispose duramente il ministro Luigi Di Maio invitando il governo cinese a “rispettare le conferenze che approfondiscono le questioni di livello internazionale”, anche quando non sono di suo gradimento: “I legami commerciali con tanti altri Paesi non possono mettere in discussione il rispetto delle nostre istituzioni, del nostro Parlamento e del nostro governo”.
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