“GLI EFFETTI DELLA CRISI DEVONO ANCORA ARRIVARE” - CONTE METTE LE MANI AVANTI E FA CAPIRE CHE A SETTEMBRE CI SARÀ LO SHOWDOWN SULL’ECONOMIA - A STRIGLIARLO ARRIVA IL PRESIDENTE DI CONFINDUSTRIA, BONOMI: “IN QUESTA FASE 3 E’ MANCATA QUALUNQUE VISIONE. NON È UNA GRANDE IDEA CHIEDERE ALLE IMPRESE D'INDEBITARSI MENTRE DEVONO CONTINUARE A PAGARE LE IMPOSTE E LO STATO NON RENDE GLI OLTRE 50 MILIARDI DI DEBITI CHE DEVE AI SUOI FORNITORI…”
1 - CROLLO DEI CONSUMI, È ALLARME E CONTE: IL PIANO A SETTEMBRE
Monica Guerzoni per il “Corriere della Sera”
Il peggio deve ancora arrivare. Alle associazioni dei commercianti, tra le categorie più duramente colpite dalla crisi, Giuseppe Conte non lo dice con parole così crude, ma l'introduzione alla terza giornata degli Stati generali concede poco all'ottimismo: «L'Italia sta faticosamente uscendo da uno choc senza precedenti. Gli effetti della crisi devono ancora dispiegarsi nella loro interezza, ce lo dobbiamo dire».
Perché tutti abbiano chiaro che la colpa è del Covid e non delle scelte del governo, il premier si affida agli «autorevoli economisti» ascoltati sabato tra gli stucchi di Villa Pamphilj. E con i rappresentanti del mondo produttivo ammette di non avere la bacchetta magica: «L'incertezza c'è e peserà ancora. Non è sufficiente sbloccare il lockdown , il circuito dei consumi non si riattiva subito». Unica consolazione la «fiducia», espressa dal premier a France Press , che l'Italia reggerebbe una seconda ondata di Covid-19 «senza dover arrivare a misure così radicali».
giuseppe conte e ursula von der leyen a bruxelles
La prima ondata, implora aiuti Confcommercio, ha messo a rischio «un milione di posti di lavoro». E Conte riconosce che gli ultimi dati Istat restituiscono «un'immagine molto preoccupante». Ad aprile le vendite al dettaglio sono calate del 10,5% rispetto a marzo e nel trimestre febbraio-aprile il calo è del 15,8%. «Variazioni negative mai sperimentate negli ultimi decenni».
Il presente è questo. Conte invoca proposte su come «alimentare la fiducia» e suggerisce di «allungare lo sguardo verso obiettivi di medio e lungo periodo», quando nelle casse dello Stato entreranno i tanto sospirati soldi di Bruxelles: «Sta per arrivare il Recovery fund. A settembre presenteremo un piano tutto italiano ed è necessario che le imprese siano partecipi del patto».
Alle parti sociali Conte chiede «uno sforzo corale». Oggi tocca al presidente di Confindustria, le cui critiche intrise di scetticismo il premier ritiene innescate da «una certa ansia da prestazione politica». Dal «dottor Bonomi» lui si aspetta piuttosto «un'ansia da prestazione imprenditoriale» e comunque garantisce che il governo c'é: «Saremo al loro fianco per promuovere il Made in Italy , sostenere l'export, la domanda interna». Se le imprese hanno problemi di liquidità, Conte promette «risposte efficaci alla crisi». Sì, ma quali? E quando arriveranno?
Il presidente assicura di aver «lavorato intensamente» con i ministri a un piano di rilancio che contiene «un totale di 187 progetti». Rivendica gli 80 miliardi già «preventivati», cifre che mettono l'Italia «al secondo posto in Europa per gli impegni finanziari assunti». E intona il leitmotiv dell'«emergenza imprevedibile» e dell'«eccesso di burocrazia» che da decenni ci penalizza.
Al Casino dell'Algardi è stata anche la giornata di Aboubakar Soumahoro, che si è ammanettato davanti ai cancelli di Villa Pamphilj per protestare in favore dei braccianti stranieri «dimenticati dal decreto Rilancio». Sostenuto dal movimento delle Sardine, il sindacalista è stato ricevuto da Conte al quale ha portato «il grido di dolore degli invisibili e degli esclusi». Anche il Pd ha fretta di cambiare i decreti sicurezza di Salvini e Conte, intervistato da Fanpage.it , spera che entro fine mese la riforma approdi in consiglio dei ministri: «La ministra Lamorgese ci sta lavorando, anche se non credo che ce la faremo questa settimana». Ora per Conte è tempo di progettare «una nuova normalità». Tassi di crescita «ben più elevati» del passato e un'Italia «più digitale, più equa, più inclusiva».
Per contrastare l'economia sommersa serve un «patto» con i commercianti: «La transizione dal contante ai pagamenti digitali sarà dolce, fair , gentile. Mai pensato di imporre penalizzazioni». Per il Pd è ora di passare ai fatti. E Conte accelera. Alitalia? «La newcom non sarà un carrozzone di Stato». Autostrade? «A questo punto il dossier va chiuso». Quanto a Salvini, che vuole «fermare il delirio anti-italiano di Pd e 5 Stelle», avverte: «Non sarebbe responsabile soffiare sul fuoco e sull'insofferenza di parte della popolazione».
2 - LE CONDIZIONI DI BONOMI: USARE SUBITO 110 MILIARDI, LO STATO PAGHI I SUOI DEBITI FASE 3 SENZA UNA VISIONE
Rita Querzé per il “Corriere della Sera”
Altro che morte dei corpi intermedi. Il presidente di Confindustria Carlo Bonomi accetta la sfida che la politica da oltre un decennio ha rivolto alle rappresentanze di lavoratori e imprese, di fatto mettendone in discussione il ruolo. E rilancia. Auspicando una «democrazia negoziale» in cui il confronto con le parti sociali sia continuo. L'idea è contenuta nella prefazione del saggio «Italia 2030: proposte per lo sviluppo», firmata dallo stesso Bonomi.
Il libro verrà consegnato oggi al premier Giuseppe Conte durante gli Stati generali. Scende nel dettaglio il presidente di Confindustria e spiega che la «democrazia negoziale» - in contrapposizione con le leadership politiche personali e carismatiche - va costruita «su una grande alleanza pubblico-privato su cui il decisore politico non ha delega insindacabile per mandato elettorale, ma con cui esso dialoga incessantemente attraverso le rappresentanze di impresa, lavoro, professioni, terzo settore, ricerca e cultura».
Le proposte degli industriali passano poi dal metodo alle misure. Prima di tutto Bonomi auspica che si utilizzino in modo «rapido e massivo le ingenti risorse che l'Ue ci ha messo a disposizione» perché ci sono «più di 110 miliardi di euro impegnabili a breve». L'impiego dei fondi Mes e Sure implica di per sé un aumento del debito. A questo proposito Bonomi auspica che il Paese si dia «un'immediata ma credibile prospettiva pluriennale di riconduzione del debito entro medie europee».
E non perde l'occasione per far notare che «il recente Def non ci dice nulla in proposito». Per quanto riguarda le misure per la ripartenza, da una parte il leader di Confindustria dice no ai «bonus a tempo» e più in generale «a nuova spesa sociale con improvvisati nuovi strumenti che si sommino confusamente alla congerie esistente». Sì, invece, alla riduzione della quota di cuneo fiscale a carico delle imprese.
giuseppe conte carlo bonomi lorenzo guerini
E alla riforma degli ammortizzatori sociali. Secondo Confindustria l'obiettivo deve essere recuperare entro il 2030 13 punti di Pil: i 10 punti che nelle stime l'Italia perderà quest' anno più i tre che prima dell'emergenza Covid non avevamo ancora recuperato rispetto al 2008. L'obiettivo è ambizioso ma sarebbe a portata di mano attraverso una stagione di riforme «per riequilibrare perimetro ed efficienza della spesa pubblica, riorientare la spesa sociale verso indigenti, giovani e famiglie, affrontare i gap sociali e geografici di reddito e partecipazione al mercato del lavoro che sono diventati esplosivi, riformare il fisco in una prospettiva organica e con tappe pluriennali per renderlo leva e non ostacolo allo sviluppo di imprese e lavoro». Bonomi non ammorbidisce la critica rivolta al governo.
Anzi, scende ancora più nel merito. Prendiamo la Fase 3 della ripartenza. Per il presidente di Confindustria «è mancata una qualunque visione» ed è «stato un errore non avere approfittato dei due mesi di lockdown per definire una metodologia di prevenzione basata sulla raccolta di dati ricavati da tamponi e test sierologici di massa, da convogliare con tecnologie digitali a presidi di medicina territoriale per la diagnostica precoce».
Inoltre «non è una grande idea chiedere alle imprese d'indebitarsi mentre devono continuare a pagare le imposte e lo Stato non rende gli oltre 50 miliardi di debiti che deve ai suoi fornitori». In generale, per Bonomi le misure a favore delle imprese «hanno il grande demerito di essere state decise senza prestare alcun orecchio alle imprese» stesse. Come dire: la «democrazia negoziale» per ora resta un auspicio.