spread giuseppe conte matteo renzi

CRISI DI GOVERNO, QUANTO CI COSTI? GABANELLI: "I 209 MILIARDI DEL RECOVERY, TRE MILIARDI PER LE POLITICHE ATTIVE PER IL LAVORO, IL DECRETO RISTORI, IL FONDO PER RICAPITALIZZARE LE PICCOLE MEDIE IMPRESE E LO SPREAD CHE SCHIZZA. È IL CONTO DI UNA PARALISI CHE PUÒ DURARE FINO A 5 MESI" - "NEI 75 ANNI DELLA REPUBBLICA SI SONO SUCCEDUTI 66 ESECUTIVI E 29 PRESIDENTI DEL CONSIGLIO: CHI STRAPPA, DA BOSSI A BERTINOTTI FINO A MASTELLA, DI SOLITO NON FA UNA BELLA FINE"...

Milena Gabanelli: Crisi di governo 66 esecutivi in 75 anni. Quanto ci costa l'instabilita?

Milena Gabanelli e Simona Ravizza per il “Corriere della Sera

 

MILENA GABANELLI

La patologia è cronica: dalla nascita della Repubblica a oggi, solo Alcide De Gasperi e Silvio Berlusconi sono rimasti in carica per i cinque anni previsti dalla Costituzione, ma entrambi hanno dovuto dimettersi almeno una volta e rifare il governo. La domanda è d'obbligo: quanto costa al Paese la nostra atavica instabilità politica?

 

ALCIDE DE GASPERI

Nei 75 anni di storia repubblicana abbiamo avuto 66 governi e 29 presidenti del Consiglio. Dal 1994, con la seconda Repubblica, si succedono 16 governi con 10 premier, durata media 617 giorni. Tre crisi di governo portano a elezioni anticipate, sei rimpasti all'interno della stessa maggioranza, tre nuove alleanze con cambio di maggioranza senza andare a elezioni, tre alleanze per arrivare a elezioni alla scadenza della legislatura. Poi c'è la crisi in corso innescata da Renzi. Nello stesso periodo, ovvero negli ultimi 26 anni, in Francia ci sono 5 presidenti, 5 in Spagna, 3 cancellieri in Germania.

 

umberto bossi con silvio berlusconi

La storia ci dice che chi innesca la crisi di solito non fa una bella fine. Umberto Bossi dopo aver fatto saltare il governo Berlusconi: la Lega - alle elezioni del 1996 - passa dall'8,4 al 10%, ma andando all'opposizione e fuori dal centrodestra dimezza i seggi in Parlamento. Fausto Bertinotti, dopo aver fatto saltare Prodi nel '98: Rifondazione Comunista passa dall'8,5 al 5% e perde i 2/3 dei seggi. Clemente Mastella manda di nuovo a casa Prodi nel 2008, e la sua Udeur sparisce. Nel 2014 Matteo Renzi fa cadere il governo Letta.

 

salvini renzi

Incassa subito diventando premier e raccogliendo il 40% dei voti alle Europee. Ma tempo due anni ed è costretto a dimettersi, dopo il fallimento del referendum costituzionale contro il quale si schiera anche parte del suo partito. Matteo Salvini, che fa cadere il Conte I, secondo i sondaggi perde in un anno quasi 10 punti. Cosa succederà all'Iv di Renzi ancora non lo sappiamo. In compenso i continui cambiamenti hanno un costo «inquantificabile» per il sistema-Paese.

 

MILENA GABANELLI DATAROOM

Quando si va alle elezioni, per formare un governo ci vuole circa un mese. Il primo presieduto da Conte richiede 70 giorni. Quando c'è una crisi, per mettere in piedi una nuova maggioranza ci vogliono in media 10 giorni. Ma prima che la macchina torni operativa occorre ben altro tempo. Con il cambio dei 23 ministri cadono anche i loro uomini-chiave: capo gabinetto, capo dipartimento, capo legislativo, capo segreteria tecnica, tutti i vice e funzionari. Conseguenza: con un passaggio di consegne che riguarda in pratica oltre mille persone, l'attività si paralizza per un periodo che può durare fino a 5 mesi.

 

il parlamento ai tempi del coronavirus 4

Restano invece in carica fino alla scadenza dell'incarico (3 o 5 anni) i direttori generali. Vuol dire che un direttore generale nominato da un ministro di centrodestra può remare contro il nuovo ministro del Pd. E questo può provocare ulteriori impedimenti.

 

Nel 2018 il nuovo ministro dello Sviluppo si prende due mesi per leggere le carte dell'accordo di vendita dell'Ilva, che era già pronto. È un suo diritto, ma quel ritardo ci costa 80 milioni di euro. Si ferma il Tap in Puglia. Poi viene fatto, e senza cambiare nulla. Il continuo «andiamo avanti, no ci fermiamo» con la Tav, ha un prezzo: 600 milioni in tre anni.

 

ROBERTO GUALTIERI GIUSEPPE CONTE STEFANO PATUANELLI - DECRETO RISTORI

Prendiamo il decreto Ristori: lo deve firmare il ministro dell'Economia, ma a redigerlo è il capo del legislativo, che è decaduto. Occorre nominarne un altro, che ha bisogno di tempo per studiare le carte, intanto il ristoratore che deve avere il bonifico, aspetta e spera.

 

Il fondo per ricapitalizzare le piccole medie imprese va su un binario morto. I tre miliardi per le politiche attive per il lavoro sono stanziati, bisogna decidere in fretta come spenderli. La crisi frenerà anche questo, mentre i disoccupati si avvicinano ai 3 milioni. Ricominciare da capo con i 209 miliardi del Recovery, dove il fattore tempo è sostanza, ci espone al rischio di perdere soldi. I rallentamenti sono inevitabili al temine di ogni legislatura, ma se capitano ogni uno o due anni sono devastanti, perché pesano sulla produttività, sul Pil, sul debito.

 

spread

Le variazioni dello spread, il principale indicatore per misurare il rischio-Paese, sono influenzate dall'instabilità politica e dal tipo di politiche in campo. I 70 giorni di gestazione per dar vita al primo governo Conte fanno impennare lo spread di 100 punti, con un costo per il sistema Paese stimato in 10 miliardi.

 

Lo studio «Populismo, Rischio politico e economia», pubblicato lo scorso 28 aprile, mostra un aumento dello spread durante il Conte 1 di 120 punti rispetto al periodo settembre 2014-maggio 2018. Settanta punti base sono ricondotti al rischio politico, che si traducono in un aumento del debito pubblico di quasi 5 miliardi di euro. I maggiori fondi globali (come Macquarie, BlackRock, Blackstone, Brookfield) stanno facendo piani per investire di più nelle infrastrutture italiane nei prossimi 12 mesi. Per il 79% c'è un ostacolo: l'instabilità politica e regolatoria. Un fattore che impatta anche sugli investimenti esteri in imprese italiane.

 

giuseppe conte alla camera

Le continue alternanze impediscono di costruire una direzione di marcia e rafforzare le relazioni. Negli ultimi 10 anni nelle 87 riunioni del Consiglio europeo, l'Italia partecipa con 6 diversi premier. Francia e Spagna con 3, la Germania con 1. Nelle 10 riunioni del G7, il numero di riunioni massime a cui partecipa lo stesso premier italiano sono 3, contro 10 di Germania, 7 di Usa, Giappone e Regno Unito, e 5 di Canada e Francia.

 

Senza continuità è più difficile incidere sugli scenari internazionali, come in Libia. Fino al 2018 le uniche interlocuzioni sono con l'Italia, poi smettiamo di occuparcene. E così la Turchia prende il controllo della Tripolitania, e oggi se vogliamo trattare sui flussi migratori dobbiamo pagare Erdogan.

 

SELFIE CON CONTE

Ma perché siamo messi così? Per tre ragioni, e tutte con il nobile scopo di concentrare il potere nelle mani del Parlamento, ma che nella pratica consentono di trasformare ogni oscillazione in un terremoto. Il primo punto sta dentro l'articolo 70 della Costituzione: ogni legge deve essere approvata da Camera e Senato, e questo raddoppia il potere di veto dei partiti. Il secondo dentro l'articolo 67: è possibile essere eletti con un partito e durante la legislatura passare a un altro. Questo rende possibile ogni forma di ribaltone, financo la corruzione.

 

conte merkel

Il terzo è dentro alla legge elettorale: se un partito non prende il 51% dei seggi non può governare da solo, ma deve trovarsi degli alleati: anche il mal di pancia di un partito con il 3% può far crollare un governo. Un problema che mai risolto, nonostante negli ultimi 27 anni la legge elettorale sia cambiata quattro volte.

 

Anche in Germania il governo è sostenuto da coalizioni ampie, ma se il Bundestag vuole mandare via la Merkel deve prima eleggere a maggioranza un suo successore, evitando così crisi al buio.

 

In Francia, invece, il presidente è eletto direttamente dal popolo. Le strade per uscirne alla fine sono solo due: una riforma costituzionale che dia al governo più potere e maggiore stabilità, e la deve votare il popolo. O il popolo in Parlamento ci manda onorevoli di miglior qualità. Altrimenti questo abbiamo.

 

(ha collaborato Alessandro Riggio)

Ultimi Dagoreport

andrea orcel gaetano caltagirone carlo messina francesco milleri philippe 
donnet nagel generali

DAGOREPORT - BUM! ECCO LA RISPOSTA DI CALTAGIRONE ALLA MOSSA DI NAGEL CHE GLI HA DISINNESCATO LA CONQUISTA DI GENERALI - L’EX PALAZZINARO STA STUDIANDO UNA CONTROMOSSA LEGALE APPELLANDOSI AL CONFLITTO DI INTERESSI: È LEGITTIMO CHE SIA IL CDA DI GENERALI, APPENA RINNOVATO CON DIECI CONSIGLIERI (SU TREDICI) IN QUOTA MEDIOBANCA, A DECIDERE SULLA CESSIONE, PROPRIO A PIAZZETTA CUCCIA, DI BANCA GENERALI? - LA PROVA CHE IL SANGUE DI CALTARICCONE SI SIA TRASFORMATO IN BILE È NELL’EDITORIALE SUL “GIORNALE” DEL SUO EX DIPENDENTE AL “MESSAGGERO”, OSVALDO DE PAOLINI – ECCO PERCHÉ ORCEL HA VOTATO A FAVORE DI CALTARICCONE: DONNET L’HA INFINOCCHIATO SU BANCA GENERALI. QUANDO I FONDI AZIONISTI DI GENERALI SI SONO SCHIERATI A FAVORE DEL FRANCESE (DETESTANDO IL DECRETO CAPITALI DI CUI CALTA È STATO GRANDE ISPIRATORE CON FAZZOLARI), NON HA AVUTO PIU' BISOGNO DEL CEO DI UNICREDIT – LA BRUCIANTE SCONFITTA DI ASSOGESTIONI: E' SCESO IL GELO TRA I GRANDI FONDI DI INVESTIMENTO E INTESA SANPAOLO? (MAGARI NON SI SENTONO PIÙ TUTELATI DALLA “BANCA DI SISTEMA” CHE NON SI SCHIERERÀ MAI CONTRO IL GOVERNO MELONI)

giorgia meloni intervista corriere della sera

DAGOREPORT - GRAN PARTE DEL GIORNALISMO ITALICO SI PUÒ RIASSUMERE BENE CON L’IMMORTALE FRASE DELL’IMMAGINIFICO GIGI MARZULLO: “SI FACCIA UNA DOMANDA E SI DIA UNA RISPOSTA” -L’INTERVISTA SUL “CORRIERE DELLA SERA” DI OGGI A GIORGIA MELONI, FIRMATA DA PAOLA DI CARO, ENTRA IMPERIOSAMENTE NELLA TOP PARADE DELLE PIU' IMMAGINIFICHE MARZULLATE - PICCATISSIMA DI ESSERE STATA IGNORATA DAI MEDIA ALL’INDOMANI DELLE ESEQUIE PAPALINE, L’EGO ESPANSO DELL’UNDERDOG DELLA GARBATELLA, DIPLOMATA ALL’ISTITUTO PROFESSIONALE ARRIGO VESPUCCI, È ESPLOSO E HA RICHIESTO AL PRIMO QUOTIDIANO ITALIANO DUE PAGINE DI ‘’RIPARAZIONE’’ DOVE SE LA SUONA E SE LA CANTA - IL SUO EGO ESPANSO NON HA PIÙ PARETI QUANDO SI AUTOINCORONA “MEDIATRICE” TRA TRUMP E L'EUROPA: “QUESTO SÌ ME LO CONCEDO: QUALCHE MERITO PENSO DI POTER DIRE CHE LO AVRÒ AVUTO COMUNQUE...” (CIAO CORE!)

alessandro giuli bruno vespa andrea carandini

DAGOREPORT – CHI MEGLIO DI ANDREA CARANDINI E BRUNO VESPA, GLI INOSSIDABILI DELL’ARCHEOLOGIA E DEL GIORNALISMO, UNA ARCHEOLOGIA LORO STESSI, POTEVANO PRESENTARE UN LIBRO SULL’ANTICO SCRITTO DAL MINISTRO GIULI? – “BRU-NEO” PORTA CON SÉ L’IDEA DI AMOVIBILITÀ DELL’ANTICO MENTRE CARANDINI L’ANTICO L’HA DAVVERO STUDIATO E CERCA ANCORA DI METTERLO A FRUTTO – CON LA SUA PROSTRAZIONE “BACIAPANTOFOLA”, VESPA NELLA PUNTATA DI IERI DI “5 MINUTI” HA INANELLATO DOMANDE FICCANTI COME: “E’ DIFFICILE PER UN UOMO DI DESTRA FARE IL MINISTRO DELLA CULTURA? GIOCA FUORI CASA?”. SIC TRANSIT GLORIA MUNDI – VIDEO

banca generali lovaglio francesco gaetano caltagirone philippe donnet alberto nagel milleri

DAGOREPORT - DA QUESTA MATTINA CALTAGIRONE HA I SUDORI FREDDI: SE L’OPERAZIONE DI ALBERTO NAGEL ANDRÀ IN PORTO (SBARAZZARSI DEL CONCUPITO “TESORETTO” DI MEDIOBANCA ACQUISENDO BANCA GENERALI DAL LEONE DI TRIESTE), L’82ENNE IMPRENDITORE ROMANO AVRÀ BUTTATO UN PACCO DI MILIARDI PER RESTARE SEMPRE FUORI DAL “FORZIERE D’ITALIA’’ - UN FALLIMENTO CHE SAREBBE PIÙ CLAMOROSO DEI PRECEDENTI PERCHÉ ESPLICITAMENTE SOSTENUTO DAL GOVERNO MELONI – A DONNET NON RESTAVA ALTRA VIA DI SALVEZZA: DARE UNA MANO A NAGEL (IL CEO DI GENERALI SBARRÒ I TENTATIVI DI MEDIOBANCA DI ACQUISIRE LA BANCA CONTROLLATA DALLA COMPAGNIA ASSICURATIVA) - PER SVUOTARE MEDIOBANCA SOTTO OPS DI MPS DEL "TESORETTO" DI GENERALI, VA BYPASSATA LA ‘’PASSIVITY RULE’’ CONVOCANDO  UN’ASSEMBLEA STRAORDINARIA CHE RICHIEDE UNA MAGGIORANZA DEL 51% DEI PRESENTI....

volodymyr zelensky donald trump vladimir putin moskva mar nero

DAGOREPORT - UCRAINA, CHE FARE? LA VIA PER ARRIVARE A UNA TREGUA È STRETTISSIMA: TRUMP DEVE TROVARE UN ACCORDO CHE PERMETTA SIA A PUTIN CHE A ZELENSKY DI NON PERDERE LA FACCIA – SI PARTE DALLA CESSIONE DELLA CRIMEA ALLA RUSSIA: SAREBBE UNO SMACCO TROPPO GRANDE PER ZELENSKY, CHE HA SEMPRE DIFESO L’INTEGRITÀ TERRITORIALE UCRAINA. TRA LE IPOTESI IN CAMPO C'E' QUELLA DI ORGANIZZARE UN NUOVO REFERENDUM POPOLARE NELLE ZONE OCCUPATE PER "LEGITTIMARE" LO SCIPPO DI SOVRANITA' - MA SAREBBE UNA VITTORIA TOTALE DI PUTIN, CHE OTTERREBBE TUTTO QUEL CHE CHIEDE SENZA CONCEDERE NIENTE…