1. DAL BALTICO ALLA SICILIA, UNA SOLA GRANDE GERMANIA! (LE SOLE ELEZIONI CHE CONTANO) 2. IERI IN GERMANIA SI SONO FINALMENTE SVOLTE LE ELEZIONI ITALIANE. HA VINTO A TETTE BASSE LA C.I. MERKEL, QUELLA SIMPATICA SIGNORA CON LA FACCIA DA PRESIDE CHE OGNI ANNO, A PASQUA, VIENE A ISCHIA PER L’ISPEZIONE DEI BANCHI E DELLE CUCINE ITALIOTE 3. IL SUO SEGRETO, GLI USA DOCET, È TUTTO LÌ: AUMENTARE COSTANTEMENTE IL TASSO DI NON VOTANTI (STAVOLTA DOVREBBE AVER SFONDATO IL RECORD DEL 30%, MA SUI GIORNALI ITALIANI NON SE NE PARLA) E GOVERNARE CON UNA MAGGIORANZA DI HAPPY FEW 4. ADESSO ANGELA DEVE SOLO SCEGLIERE CHE ITALIA VUOLE: COME IL PAREGGIO DI BILANCIO, VUOLE CHE METTIAMO ANCHE L’OBBLIGO DI LARGHE INTESE NELLA COSTITUZIONE?

a cura di Colin Ward (Special Guest: Pippo il Patriota)

1. DAL BALTICO ALLA SICILIA, UNA SOLA GRANDE GERMANIA
Ieri in Germania si sono finalmente svolte le elezioni italiane. Ha vinto a tette basse la C.I. Merkel, quella simpatica signora con la faccia da preside che ogni anno, a Pasqua, viene a Ischia per l'ispezione dei banchi e delle cucine italiote. La C.I., grande estimatrice de nostro preclaro statista B., ha difeso con forza il benessere e la crescita del suo Paese, vigilando sull'inflazione continentale e sulla moneta unica.

Ha speso 300 miliardi di euro pubblici (il 20% del Pil) per risanare le banche tedesche, s'è persa per strada il benessere di quasi un terzo dei compatrioti mentre si è assicurata che altri due terzi si arricchissero e quindi ha tranquillamente vinto un nuovo mandato.

Del resto il segreto, come insegnano gli Usa, è tutto lì: aumentare costantemente il tasso di non votanti (questa volta dovrebbe aver sfondato il record del 30%, ma sui giornali italiani non se ne parla) e governare con una ‘maggioranza' di happy few.

Con il cappello in mano, e all'insegna della sudditanza culturale più idiota, le reazioni italiane al voto di ieri. Il dogma sedicente "europeista" traspare in tutta la sua follia da questo stralcio del pezzo di Massimo Nava sul Corriere ("In Europa non è tempo di illusioni", p. 1): "Dipende dagli europei, soprattutto da francesi e da italiani, dimostrare di volere finalmente mettere mano a profonde riforme strutturali (...) Altrimenti, la direzione della Germania ‘low profile' - tendenzialmente neutrale, attore economico globale, politicamente stabile, disimpegnata nella politica estera continentale - rischia di diventare sempre più quella di una grande Svizzera".

Ovviamente le suddette "riforme strutturali" non saranno mai lo shock keynesiano o di riduzione fiscale che servono per uscire da quella palude stagnante che i Dogi di Francoforte chiamano "stabilità", ma solo e unicamente quella debolezza dell'euro e quella bassa inflazione che servono alla Germania per arricchire la propria bilancia commerciale. E davvero non si capisce come mai, per un giornale italiano, la metafora di una nazione che aspiri a diventare una "grande Svizzera" debba essere tanto negativa.

A noi del Governatorato del Sud non ci molleranno tanto facilmente. "E' vero, c'è grande preoccupazione per Italia, Francia e Spagna, e sulla prosecuzione delle riforme e del consolidamento dei conti pubblici, perché la Grecia è piccola, ma senza l'Italia nell'euro si scatenerebbe una grande depressione, anche in Germania", ammette l'economista Marcel Fratzscher, consulente della Merkel (Corriere, p. 5).

Per l'ex banchiere della Bce, Lorenzo Bini Smaghi, "L'abolizione dell'Imu rischia di portare il deficit italiano di nuovo sopra al 35. Ma soprattutto, quella scelta va in direzione opposta alle raccomandazioni europee, che l'Italia aveva accettato. Si chiedeva all'Italia di ridurre la tassazione sul lavoro e aumentarla sui fattori improduttivi, come la casa. La cosa è stata interpretata, non solo a Berlino, come un arretramento rispetto agli impegni presi" (Repubblica, p. 4).

Ne approfitta bassamente anche l'eurocrate Franco Frattini, un tempo ministro della Repubblica: "Una lezione per l'Italia, le riforme sono obbligate" (Messaggero, p. 5). Le vere "riforme", se sono politiche, non sono mai "obbligate". Neppure nei cda delle grandi banche, per dire, le svalutazioni o i tagli di personale sono mai veramente obbligati.
Il Rigor Montis, che in un anno e mezzo di governo applicò ottusamente all'Italia i dettami dell'ortodossia di Francoforte, oggi approfitta della vittoria di Angelona per imbrodarsi: "Se l'Italia, dopo molti sforzi fiscali, dopo che è rimasto l'unico Paese del Sudeuropa a non essere finito sotto Troika e l'unico uscito dalla procedura per deficit, tornasse agli antichi costumi sarebbe deleterio, e non solo per la Germania. Ecco perché il contratto di coalizione che esiste in Germani sarebbe importante anche per la situazione italiana e andrebbe fatto subito" (Stampa, p. 4).

Ma sì, e magari mettiamo anche l'obbligo di Larghe Intese nella Costituzione, come il pareggio di bilancio. Tanto, appunto, le uniche elezioni che contano sono in Germania.

Chiudiamo questa triste carrellata con il titolo del commento che il Messaggero affida all'economista abusivo Giannino Oscar: "Adesso Angela deve scegliere che Europa vuole" (p. 1). Noi avremmo direttamente scritto: "Adesso Angela deve scegliere che Italia vuole".

2. SIAMO SOLO UNO STATO DI NECESSITA'
Mentre Aspenio Letta parte per un tour in Nord America dove tenterà di vendere quel che resta dell'Italia, a Roma se le danno di santa ragione e Saccomanno Saccomanni fa i capricci, nel tentativo di difendere la sullodata ortodossia rigorista. "Saccomanni minaccia: lascio. Bufera del Pdl. Letta lo blinda. Brunetta attacca: faccia il tecnico. Gasparri: Enrico prenda l'interim" (Messaggero, p. 6). "Aumento Iva ‘inevitabile', il premier fa asse con il Colle" (Messaggero, p. 7).

"Saccomanni: ‘Ora verità e non slogan'. Il responsabile dell'Economia stanco della doppiezza del Pdl: in privato dice una cosa e in pubblico il contrario" (Stampa, p. 6). Su Repubblica, "Il premier ferma il Pdl: ‘Sto con il ministro'. ‘Non accetto aut aut'. Epifani: no ai Robin Hood al contrario". "L'ultima trincea dell'Economia: ‘Basta che non si superi il deficit al 3%'. Il piano del Tesoro: privatizzazioni e cessione di immobili" (p. 11).

Il Corriere delle Larghe Intese gioca pesante per difendere Saccomanno, buon amico di don Flebuccio de Bortoli, e anche oggi terrorizza i suoi lettori: "Spread a quota 100 e più stabilità valgono 10 miliardi'. I vantaggi del risanamento calcolati dal ministero. Ma entro dicembre servono nuove risorse. La ‘tassa nascosta' degli interessi sul debito pubblico sarà quest'anno di 84 miliardi, pari a 1.450 euro per ogni cittadino" (p. 11).

Il quadro partitico che c'è dietro alla partita sui conti è ben riassunto da Stefano Lepri per la Stampa: "Lo sguardo al voto dietro agli attacchi alle scelte del Tesoro. Il centrodestra già pronto a giocarsi la carta ‘no alle tasse'. I democratici preoccupati di passare come i responsabili dell'aumento delle imposte" (p. 6).

3. NANO DECADENCE
Retroscena davvero allarmante (per l'avvocato Coppi) sul Corriere: "Timore per i processi. Berlusconi pensa di ‘tornare' in tv. L'idea di una nuova autodifesa. Il Cavaliere ai suoi: se chiederanno la carcerazione cautelare come farò? Al momento l'ex premier sembra aver accantonato l'ipotesi del voto anticipato" (Corriere, p. 15).

4. SPOSTANDO RENZI SEMPRE PIU' IN LA'
Renziani, veltroniani, cuperliani, bindiani, bersaniani e lettiani. Sono almeno sei le bande che stanno tentando di affossare il Piddimenoelle, lasciando fuori dal conteggio i "gruppi d'interesse" tipo Coop e sindacato. Dopo il macello dell'Assemblea, il 27 si ricomincia con l'autoflagellazione della Direzione. "La trincea di Renzi (e di Cuperlo): non possono rinviare, sarebbe una figuraccia. D'Alema e Veltroni bocciano l'assemblea del partito: uno spettacolo triste" (Corriere, p. 13).

Su Repubblica, il renziano Paolo Gentiloni attacca: "Un'ossessione perdere tempo per frenare la corsa di Renzi. Matteo potrebbe vincere le elezioni, ma ha molti avversari nel palazzo del Pd romano" (p. 15).

5. TELECOM-MEDIA
Si apre la settimana della verità per Telecom Italia, schiacciata dai debiti contratti nel corso delle varie "privatizzazioni". "Telefonica alla conquista di Telecom, dubbi del governo sugli spagnoli. Soci al bivio: aumento di capitale o cambio di proprietà" (Repubblica, p. 16). Massima preoccupazione sul romanissimo Messaggero: "Un'altra grana per il governo: Telecom e il rischio esuberi". La preoccupazione è per il precedente di Telefonica a Madrid, quando tagliò 12 mila dipendenti del call center (p. 7).

Massimo Mucchetti, presidente piddino della Commissione industria del Senato, si fa intervistare dal suo ex giornale e spara un paio di colpi non male. Il primo è contro Telefonica, ritenuta troppo indebitata - e soprattutto straniera - per prendere il controllo di Telecom "a prezzi da miseria". Il secondo eccolo qui: "La strada maestra resta quella di un aumento di capitale da 5-6 miliardi. Gli azionisti hanno fatto i debiti, gli azionisti provvedano. Il presidente Franco Bernabè deve scegliere: o servire Telco o servire l'impresa proponendo al consiglio l'aumento di capitale, e a prezzi accettabili dal mercato. Anche a costo di perdere la poltrona" (Corriere, p. 23).

6. ULTIME DA TRONCHETTI DOVERA
Dopo esser stato affettato da Alessandro Penati per la sua gestione di Telecom Italia, Tronchetti spedisce a Repubblica una puntigliosa autodifesa che si chiude così: "Penati dimentica Telefonica e il tentativi di avviare una partnership con Murdoch. Tutte opzioni che prevedevano per i partner stranieri solo quote di minoranza , ma che la politica bloccò, Telefonica inclusa, in nome dell'italianità dell'azienda. Oggi il tema pare, giustamente, superato. L'ipocrisia di molti e le ennesime ricostruzioni parziali invece no. Orrore doppio!". (p. 16).

7. LINGOTTI IN FUGA
Affari&Sfiganza di Repubblica rifila un brutto calcione allo spulloverato del cantiere di Zugg con questo titolo in prima pagina: "Fiat-Chrysler separate in Borsa. Bluff americano di Marchionne". Dentro, in realtà, i pezzi di Griseri e Tropea non sono minimamente cattivi. Invece Luciano Gallino smonta, numeri alla mano, il piano del cosiddetto Polo del lusso a Torino: "C'è da chiedersi se la dirigenza Fiat abbia letto con attenzione i rapporti sulle vendite recenti dei gruppi Bmw, Audi e Mercedes.

I brillanti risultati da essi conseguiti tra il 2010 e il 2012, con un balzo avanti spettacoloso nell'ultimo anno, non sono affatto dovuti a un aumento delle vendite delle auto più grandi o dei suv - giusto quelle che Fiat pensa di produrre a Torino. Sono dovuti per la maggior parte alla vendita di auto piccole, con prezzi tra i 20 e i 25.000 euro, che delle maggiori consorelle hanno mantenuto non molto di più del marchio sul cofano e la elevata qualità d'insieme, ma fanno sentire al cliente di essere quasi al volante di un'auto di lusso" (p. 3).

8. FREE MARCHETT CINERARIA
"Addio a Andreina Montà Zegna". Il Corriere dedica un boxino con foto alla scomparsa della mamma Paolo Zegna, presidente dell'omonimo gruppo biellese e vice presidente di Confindustria (p. 25). Siamo proprio il paese del ragionier Fantozzi e della Madre del feroce Cavalier Catellani.

9. FRANCESCO CARO
"Assisi, il Poverello patrono del business". Alessandro Ferrucci del Fatto va in pellegrinaggio nella città del Santo e sono dolori. "Ex conventi adibiti a hotel. Suore che non ospitano disabili. Nessuna mensa per un pasto gratuito, anche per andare in bagno si pagano sessanta centesimi. E' la realtà del piccolo comune umbro, dove per il pellegrino non esiste alcuna forma di accoglienza" (pp. 4-5)

colinward@autistici.org

 

 

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