DATA-GATE – I COLOSSI DELLA SILICON VALLEY FUGGONO DALLE ACCUSE: “VOGLIAMO PUBBLICARE LE RICHIESTE DA PARTE DEL GOVERNO”

Massimo Gaggi per il "Corriere della Sera"

Le grandi imprese dell'economia digitale, da Google a Facebook a Microsoft, non ci stanno a essere considerate collaboratrici del governo Usa nella sua azione di sorveglianza e spionaggio informatico a fini antiterrorismo.

Hanno negato di aver concesso libero accesso ai loro server alla Nsa, l'agenzia federale di intelligence, ma, visto che le loro spiegazioni non sono state prese troppo sul serio da diversi organi d'informazione, tornano alla carica con un'iniziativa senza precedenti: chiedono all'Amministrazione Obama di essere autorizzati a rivelare le reali dimensioni del trasferimento di dati dei loro utenti ad organi dello Stato, effettuato sulla base di precise richieste degli organi di sicurezza. Vogliono dimostrare che si tratta di un fenomeno limitato: risposte a richieste specifiche e circoscritte di inquirenti e servizi segreti alle quali, a termini di legge, queste imprese non potrebbero sottrarsi.

A muoversi per prima è stata Google che l'altra sera ha scritto al ministro della Giustizia Eric Holder e al direttore dell'Fbi, Robert Mueller III, chiedendo che le venga riconosciuto il diritto di riferire pubblicamente numeri e i motivi delle richieste di dati ricevute dagli organi di sicurezza. Informazioni che consentirebbero alla società fondata da Larry Page e Sergey Brin di espandere considerevolmente il suo «Rapporto sulla trasparenza»: un documento redatto due volte l'anno che Google è stata la prima a introdurre e col quale cerca di tranquillizzare i suoi utenti circa l'utilizzo dei dati che affluiscono in rete.

Una lettera in alcune parti addirittura accorata nella quale il capo dell'ufficio legale di Google, David Drummond, assicura che la società non ha nulla da nascondere. Subito dopo si sono mosse nella stesa direzione anche Microsoft e Facebook.

La grande rete sociale creata da Mark Zuckerberg, che ha fin qui rinunciato a pubblicare un «transparency report» ritenendo che fosse meglio astenersi piuttosto che tirare fuori un documento «amputato» per gli obblighi di segretezza imposti dall'intelligence, ora cambia rotta: in una lettera scritta dal consigliere generale della società californiana, Ted Ullyot, Fecebook chiede al governo Usa di consentirle di riferire al pubblico su dimensioni e obiettivi delle richieste di informazioni sul suo traffico di dati che riceve periodicamente dagli organi di sicurezza.

Tra questi apparati dello Stato e le società tecnologiche più avanzati ci sono sempre stati incroci più o meno pericolosi, come abbiamo scritto ieri. E molti dei giganti della rete non nascondono i loro rapporti con l'intelligence, anzi si contendono i suoi lucrosi appalti. È quello che sta avvenendo, ad esempio, tra Ibm e Amazon, impegnate in una sfida per conquistare un contratto da 600 milioni di dollari per creare un sistema integrato di «cloud computing» alla Nsa, l'agenzia federale di intelligence.

L'Agenzia ha replicato senza scomporsi alle accuse di questi giorni, mentre le società di Internet sono state molto più febbrili nelle loro ripetute smentite alle ricostruzioni della stampa che considerano false o fuorvianti: «Non abbiamo dato libero accesso ai nostri server, né abbiamo creato una "back-door" per gli analisti dell'intelligence», continuano a ripetere.

La loro determinazione è comprensibile, spiega Chris Soghoian, esperto della Lega per i Diritti civili: «La Nsa non ha un marchio commerciale da proteggere, mentre le società di Internet, soprattutto le reti sociali il cui business è basato sulla fiducia degli utenti che affidano loro una montagna di dati personali, sono molto più sensibili».

«È un problema di rapporti con gli utenti, ma anche qualcosa che tocca profondamente la stessa vita interna di queste imprese», aggiunge il futurologo californiano Paul Saffo: «Da giorni la Silicon Valley è completamente assorbita da questa storia. Geni tecnologici di cultura libertaria, difensori della privacy e tanti altri si chiedono se le grandi aziende tecnologiche sono cadute nella rete del governo. E, ovviamente, si danno una risposta negativa».

 

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