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I 5 MOSCHETTIERI DEL NO - DA DE MITA A MONTI PASSANDO PER DINI, D’ALEMA, E BERLUSCONI, GLI EX PREMIER BOCCIANO LA RIFORMA - RENZI: “SPERANO DI FARE UN ALTRO GIRO DI GIOSTRA”. LE TRE SFINGI PRODI, FORLANI E AMATO: RESTANO ANCORA IN SILENZIO - LETTA L’UNICO A FAVORE

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Carmelo Lopapa per la Repubblica

 

I cinque moschettieri del No al referendum hanno occupato la poltrona di Palazzo Chigi dall’88 di Ciriaco De Mita al 2012 di Mario Monti. In mezzo a quel quarto di secolo, Lamberto Dini e Silvio Berlusconi passando per Massimo D’Alema. Il senatore a vita Monti ancora ieri rassegnava il suo irriducibile No al Financial Times «perché gli svantaggi della riforma costituzionale superano i vantaggi» e poi Renzi ha personalizzato «e se lascia dopo la sconfitta la responsabilità sarà solo colpa sua». Il premier li ha messi nel mirino i «cinque ex che dopo aver teorizzato che bisognava fare le riforme hanno cambiato idea, sognano di arrivare al 4 dicembre e farsi un ultimo giro di giostra, un bel governo tecnico».

 

D ALEMAD ALEMA

Sarà il più inatteso dei paradossi, ma l’unico predecessore che a questo punto annuncia il suo Sì è proprio lui: Enrico Letta. Dem come Renzi, ma pur sempre l’“ex” protagonista del più gelido passaggio di campanella che la storia di Palazzo Chigi ricordi, il bersaglio dell’hashtag divenuto sinonimo di pugnale in politica (#enricostaisereno). Ed Enrico con serenità ci mette la faccia, unico dalla parte di Matteo, tra i “moschettieri”.

 

«Al referendum voterò sì, lo ribadisco con forza perché mi sono impegnato a far nascere il percorso delle riforme e perché ne sono convinto», non si stanca di ripetere in privato come in incontri pubblici. Fermo restando la sua convinzione che sia stato un errore la personalizzazione del referendum. Miele rispetto alle uscite di altri illustri predecessori che non hanno esitato a scendere in trincea.

 

RENZI E MONTI A PALAZZO VECCHIO RENZI E MONTI A PALAZZO VECCHIO

I più agguerriti, sarà un caso, gli over 80. Si prenda il concittadino del premier Lamberto Dini (1995-1996). Il 12 ottobre era all’appuntamento organizzato da Massimo D’Alema a Roma, applauditissimo quando ha preso la parola per ricordare che Renzi è un premier «non eletto». Nelle settimane successive in interviste e incontri ha solo rincarato. Cose del tipo: «Avete presente cosa ha detto la figlia di Celentano? Non capisco molto, ma voto No perché non mi fido di Renzi? Ecco, quello dovrebbe essere lo slogan del No».

 

E ancora: «Non si può cambiare la Costituzione a colpi di maggioranza». E dire, spiega in questi giorni, che Matteo «era l’uomo di punta della Margherita a Firenze, il giovane da lanciare, feci campagna per lui e divenne presidente della Provincia a trent’anni». Più giovane ma non meno motivato il presidente del Consiglio 1998-2000 D’Alema, diventato l’antagonista vero e in fondo preferito da Matteo Renzi, simbolo del “rottamato che non si rassegna”. Ricambiato dal crescendo dalemiano alla nitrogligerina: «Il fronte del Sì è minaccioso», «clima intimidatorio», «se vince il Sì Verdini entra al governo» e «nasce il partito di Renzi», «gli anziani votano la riforma perché non la capiscono».

BERLUSCONI RENZIBERLUSCONI RENZI

 

Poi sul carro del No ci sarebbe anche l’ex premier Silvio Berlusconi. Il cui volto però Renzi non ha inserito nel manifesto della famosa «accozzaglia». «Il mio No è tiepido? Chi lo dice è in assoluta malafede, si tratta di accuse infondate, io ho un no deciso e responsabile da sempre», si difendeva ancora ieri su RaiRadio1. Salvo precisare che se vince il No Renzi dovrebbe restare al suo posto, che subito dopo bisognerebbe sedersi al tavolo della riforma elettorale». Il famoso “Nì” che fa infuriare Salvini.

lamberto dinilamberto dini

 

I cinque No, il Sì di Letta, poi le tre “sfingi”. Ha resistito finora ad ogni pressione per un endorsement Romano Prodi, pur preoccupato per le derive populiste. Chi lo conosce bene è convinto che voti Sì. Ma se lo terrà per sé, deludendo le aspettative di Renzi, il suo voto varrà “uno”. Non può che tacere, «in ragione del ruolo» di giudice costituzionale, Giuliano Amato (1992-1993). E il veterano dei presidenti del Consiglio (1980-1981)? Il novantunenne Arnaldo Forlani? In ripresa dopo un malore estivo, andrà a votare, fa sapere, «per antico costume ». Ma dire come proprio no, non ha la voglia e la tempra per fronteggiare polemiche ed eventuali critiche. Anche qui, marcando le distanze - come sempre da una vita - da De Mita (1988-1989). Il confronto tv da Mentana ad ottobre tra l’88enne sindaco di Nusco e il premier resterà uno dei passaggi cult di questa campagna. «Riforma frettolosa, scritta male, incomprensibile »; «avete detto che bisognava cambiare, non lo avete mai fatto ».

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