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TRIA, NASCONDITI SOTTO IL TAV - LE DICHIARAZIONI DEL MINISTRO SULL’ALTA VELOCITÀ E GRANDI OPERE FANNO IMBUFALIRE DI MAIO: “PERCHÉ LO HA DETTO? SE VUOLE ANDARE VIA, E VUOLE COSTRINGERCI A CHIEDERE LE SUE DIMISSIONI, LO ACCONTENTIAMO” - IL “CONTROCANTO” DI TRIA SU BANKITALIA E ALITALIA FA SALIRE LA TENSIONE NEL M5S…
Ilario Lombardo per “la Stampa”
«Ma perché lo ha detto? Se vuole andare via, e vuole costringerci a chiedere le sue dimissioni, lo accontentiamo. Ci mettiamo un attimo». Un attimo dura anche la reazione di Luigi Di Maio, furibondo per le dichiarazioni rilasciate da Giovanni Tria alla trasmissione Quarta Repubblica.
Il capo politico del M5S è asserragliato in una riunione non stop con il suo gabinetto di guerra, intenzionato a scacciare l' incubo senza fine delle regionali. Questa volta non vuole rifare lo stesso errore compiuto in Abruzzo, avvitarsi nello sconforto della sconfitta. La Sardegna era un disastro atteso, ennesima prova che tutto deve cambiare a livello locale, perché tutto il M5S possa restare così com' è, saldo al governo.
LUIGI DI MAIO GIOVANNI TRIA GIUSEPPE CONTE
Giovanni Tria è il capro espiatorio perfetto, nella giornata perfetta. Sarà che il ministro dell' Economia non è troppo avvezzo ai tempi della politica, ma sceglie il lunedì sbagliato (o forse proprio quello giusto) per ricordare ai 5 Stelle che buttare nel cestino i contratti della Tav potrebbe avere contraccolpi spiacevoli: «Non mi interessa l' analisi costi-benefici. Il problema è che nessuno verrà mai a investire in Italia se il Paese mostra che un governo che cambia non sta ai patti, cambia i contratti e le leggi e le fa retroattive. Questo è il problema, non la Tav».
Tria sceglie parole appuntite, dirette, poco felpate. E non si ferma. Abbatte la narrazione dei 5 Stelle, e in parte della Lega, risposta dopo risposta. L'oro di Bankitalia? «Nessuno può disporre se non la banca centrale. E la Banca d' Italia non può dare oro al governo italiano perché sarebbe aiuto di Stato».
LUIGI DI MAIO GIOVANNI TRIA GIUSEPPE CONTE
Alitalia? «Non deve essere resa pubblica, si deve trovare una soluzione di mercato, rispettando le norme comunitarie». Tradotto: non gli piace la soluzione del ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio, che prevede il coinvolgimento di Fs, Poste, del Tesoro intorno al 15% e quindi di easyJet e Delta come soci industriali di minoranza.
«Certo, lui preferisce la partnership con Lufthansa» filtra dallo staff ministeriale di Di Maio, mentre si decide di affidare al ministro Danilo Toninelli la risposta sulla Tav: «Tria ha dimenticato che c' è un contratto di governo. Si attenga a quello». Siamo a un passo dallo sfratto. I 5 Stelle ragionano se spingersi fino a chiederne le dimissioni con una nota. Ma qualcuno fa presente a Di Maio le conseguenze sui mercati, il rischio di far schizzare lo spread già alto, verso quota 400. Per ora Toninelli è sufficiente. Tria è avvertito.
Non sono ore semplici per il doppio ministro e leader di partito Di Maio. Sul fronte del governo il capo politico deve fare i conti con l' egemonia conquistata da Matteo Salvini a colpi di elezioni regionali. Se la cava chiedendo all' alleato leghista di spostare più in là la votazione sulla legittima difesa, altro terreno caldo per i dissidenti che vogliono ridiscutere la sua leadership (e che però non si spingono a chiederlo come fa la senatrice Paola Nugnes, ormai a un passo dall' espulsione).
Quella frase «Viva la democrazia», a commento della debacle sarda, pronunciata dal presidente della Camera e punto di riferimento dell' ala movimentista, Roberto Fico, suona beffarda alle orecchie di Di Maio. Ha retto per poche ore la velina notturna in cui il M5S, di fronte agli exit poll, si glorificava di essere il primo partito. Risulterà essere sotto il 10%, terzo partito dopo Pd e Lega. Rispetto al 4 marzo ha perso quasi 300 mila voti.
Salvini solo 4 mila. Il vicepremier è costretto a pensare al Movimento, alla sua mutazione. Oggi sul blog verrà presentata la prima parte del pacchetto dei grandi cambiamenti pianificati da Di Maio con l' ok di Beppe Grillo e Davide Casaleggio.
Nuova struttura e nuove regole. Si parte dalla prima, replicando quanto successe dopo la brutta sconfitta alle Europee del 2014. Nasce un direttorio: dieci membri, divisi per area tematica, il doppio di cinque anni fa. Una sorta di segreteria politica di Di Maio che avrà un rapporto costante con i territori, attraverso tre referenti per ogni regione. Subito dopo sarà discusso e votato il superamento di due divieti aurei. Sulle alleanze e sul doppio mandato. A livello locale saranno possibili apparentamenti con liste civiche e, per evitare fughe verso il più prestigioso Parlamento, chi farà il secondo mandato nei comuni potrà comunque giocarsi una terza chance nazionale, a Roma o a Bruxelles.