monti conte dini

AVVISATE CONTE: CHI CERCA IL CENTRO, VIENE CENTRATO IN PIENO – DA "LAMBERTOW" DINI A MONTI FINO A “GIUSEPPI”, TUTTI I TECNICI CHE HANNO PROVATO A FARSI IL LORO PARTITINO HANNO FATTO FLOP ALLE URNE – ECCO PERCHÉ CONTE TENTENNA: SE ANNUNCIASSE ORA IL SUO PARTITO POTREBBE IMBARCARE PIÙ TRANSFUGHI MA PAGHEREBBE UN PREZZO IN TERMINI DI CONSENSO. FINCHÉ UNO E' A PALAZZO CHIGI, I CONSENSI FIOCCANO. MA SE UNO SI SCHIERA…

Antonio Polito per il “Corriere della Sera”

 

lamberto dini

I partiti, come tutti gli organismi viventi, possono nascere in due modi: con la riproduzione sessuata, cioè dall' incontro tra il gamete del voto popolare e l' ovulo di una leadership; oppure per riproduzione asessuata, per partenogenesi, in provetta insomma. Questa seconda modalità si addice ai premier «tecnici», specialità della democrazia italiana, che entrano a Palazzo Chigi senza partito e nella speranza di tornarci dopo il voto se ne fanno uno.

 

Nel caso di Conte, poi, il partito potrebbe diventare necessario anche solo per restare a Palazzo Chigi. E spieghiamo perché. Se io fossi un senatore dell' opposizione, ma centrista e cane sciolto, e venisse da me un prelato, l' amministratore di una società partecipata o un libero costruttore edile a chiedermi in nome e per conto il voto, così da far durare la legislatura, io penserei: ok, mi conviene, ma tanto la legislatura dura comunque, magari è meglio aspettare prima di fare il salto della quaglia.

 

lamberto dini 1

Ma se quell' emissario mi dicesse anche: guarda che Conte farà una lista sua, sta per annunciarla, e se entri adesso sarai capolista ed eletto sicuro nella tua regione, allora sì che ci penserei: oltre a due anni in più in questo Parlamento, l' offerta ne contiene altri cinque anni nel prossimo. D' altra parte Conte è oggi tra i pochi che possano realisticamente promettere scranni nelle future Camere sforbiciate. La lavagna della sua lista è ancora bianca: partendo da zero, non deve fare sottrazioni, non si porta sul groppone decine di eletti da confermare come tutti gli altri, Lega compresa. Può solo aggiungerne di nuovi. Diciamo che rispetto ai soliti taxi elettorali il suo è un noleggio con conducente.

 

giuseppe conte mario monti

Ci sono del resto due illustri precedenti di partiti del premier: quello varato da Lamberto Dini nel 1996, e quello di Mario Monti nel 2013. Però tali esempi dovrebbero funzionare per Conte come la voce che accompagnava gli imperatori romani in trionfo ricordando loro la caducità della gloria politica. Di entrambi i partiti, infatti, Rinnovamento italiano si chiamava quello di Dini e Scelta civica quello di Monti, non c' è più traccia. Né i rispettivi leader sono mai più tornati, almeno per ora, a Palazzo Chigi. Dati per match-winner, ebbero risultati inferiori alle aspettative e vita breve.

 

La cosa non danneggiò affatto Lamberto Dini. Provenendo dalla Banca d' Italia e nominato ministro nel 1994 con Berlusconi, fu promosso premier quando il primo governo del Cavaliere crollò sotto i colpi dell' avviso di garanzia della magistratura di Milano (ancora oggi gli annunci di indagini, del resto, hanno il loro peso nelle crisi).

 

monti pereira e consorti prima alla scala tosca

All' inizio «tecnico» di un governo di scopo, che doveva preparare le elezioni, poi sempre più sostenuto dal centrosinistra, al momento decisivo si schierò dalla parte dell' Ulivo di Prodi con la sua lista. Raggiunse il 4,3%, abbastanza per superare lo sbarramento e ottenere una pattuglia di 28 deputati e 11 senatori. Decisivo comunque per far vincere la coalizione.

 

Al punto che le malelingue sostennero che dietro ci fosse la mano del soccorso rosso del «partitone», il Pds di D' Alema, e che gli elettori pidiessini più fedeli nel triangolo Emilia-Toscana-Umbria avessero fatto convergere un po' di voti sul «compagno di strada». Dini comunque non guidò mai più un governo; ma la sua pagina nella storia della Repubblica se l' era già conquistata con la riforma delle pensioni.

 

ANGELINO ALFANO

La vicenda di Mario Monti è più recente. Il professore entrò a Palazzo Chigi da senatore a vita nel 2011, con la missione di tenere l' Italia agganciata all' Europa dopo l' estate drammatica dello spread. Anche lui dunque, succedette da «tecnico» a Berlusconi, un classico della Seconda Repubblica. Ci riuscì, anche a prezzo dell' impopolarità delle sue misure. Ciò nonostante quel signore milanese con il loden blu che parlava inglese e sembrava tedesco apparve a molti come l' occasione per ricostruire un centro che era andato perso nella faida furibonda tra berlusconiani e antiberlusconiani.

 

I sondaggi gli predicevano successi clamorosi nella urne, se fosse sceso in campo. Più o meno le stesse cifre che oggi danno al partito di Conte, attorno al 15%. Poi nel 2013 si andò a votare, e alla Camera il suo simbolo ottenne l' 8,3%, mentre al Senato una Lista per Monti raggiunse il 9,1%. Non male in termini assoluti. Ma non abbastanza per sommarsi ai voti di Bersani al Senato e far nascere il governo di centro-trattino-sinistra che era già pronto. Basti pensare che pur avendo imbarcato Casini e Fini, protagonisti della legislatura, il professore fece attenzione a che non uscisse mai una sua foto insieme ai due, per non «macchiare» il profilo di tecnico.

 

Probabilmente gli elettori se ne accorsero comunque.

giuseppe conte

Poi ci sarebbe anche la vicenda di un partito fatto di cinque ministri invece che da un premier. Ed è quella che hanno vissuto Alfano&co. Si staccarono da Berlusconi, che nel governo Letta li aveva messi, per salvare la legislatura quando l' espulsione del Cavaliere dal Senato, in seguito alla sua condanna definitiva per frode fiscale, stava per affondarla. Proseguirono poi con Renzi, e poi con Gentiloni, ma si sciolsero prima che potessero misurarsi alle elezioni. Il che deve farci presumere che non fossero destinati a un gran risultato.

L OROLOGIO DI CONTE

 

Si capisce dunque perché Conte tentenna: se annunciasse ora il suo partito guadagnerebbe qualcosa ma perderebbe molto. Potrebbe imbarcare più transfughi.

Ma smetterebbe di essere super partes , diventando la parte di una parte. Finché sei a Palazzo Chigi, i consensi fioccano. Ma se ti schieri, la storia ce lo insegna, paghi un prezzo. D' altra parte metà Cinquestelle e tutto il Pd vorrebbero evitare che una lista Conte rubi loro i voti. E dunque non è detto che lo lascerebbero arrivare alle elezioni in sella al cavallo piumato del premier. Il semestre bianco è sempre a disposizione per agguati e congiure. Ecco perché il nostro, come Dini e Monti prima di lui, si trova di fronte al solito e proverbiale dilemma: meglio un uovo oggi o una gallina domani?

lamberto diniLAMBERTO DINI

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