CHE DIO PROTEGGA I “GORILLA”-CUSTODI DEL PAPA

CHE DIO PROTEGGA GLI ANGELI CUSTODI DEL PAPA
Andrea Tornielli per "la Stampa"

"Speriamo che dopo 'sti primi giorni se normalizzi, sennò qua ce fa' impazzire tutti quanti». Uno degli uomini addetti alla sicurezza del Papa ha uno sguardo a metà tra il divertito e lo sconcertato. Francesco ha appena terminato di salutare uno a uno tutti i parrocchiani di Sant'Anna, la piccola chiesa dentro le mura vaticane dove ha celebrato la messa domenicale.

E ora sguscia tra prelati e gendarmi per raggiungere la folla assiepata dietro le transenne. Vuole essere libero di avvicinare la gente, non desidera essere ingabbiato né eccessivamente protetto. Cerca il contatto diretto. Fa il vescovo che sorride e benedice le persone, stringe mani, ascolta richieste di preghiere, benedice. E intende fare tutto questo senza eccessi di protocollo, senza che si creino barriere e distanze.

Che succede se il Papa non si «normalizza»? «Guardi, io ricordo il primo periodo di Giovanni Paolo II, che ruppe tutti gli schemi. Ma questo Papa è ancora più difficile da seguire». Gli «angeli custodi» di Bergoglio, i gendarmi vaticani che insieme alle guardie svizzere devono vegliare sulla sicurezza del Pontefice, stanno cercando di adeguarsi al nuovo stile.

Certo, la sicurezza del Papa è importante, c'è da vegliare su di lui, c'è da evitare che qualche squilibrato compia gesti inconsulti, come accadde la notte di Natale del 2009, quando una giovane svizzera saltando la transenna trascinò a terra Papa Ratzinger mentre procedeva con la processione all'inizio della veglia.

Allora fu la prontezza del generale Domenico Giani, che l'agguantò, ad evitare il peggio. Ma non c'è dubbio, d'altra parte, che in nome della sicurezza si è rischiato talvolta di creare una gabbia eccessiva attorno al Papa. Persino Oltretevere: quando doveva passare l'auto del Pontefice, all'interno della stessa città del Vaticano, si bloccava il passaggio, le persone venivano fermate, era tutto un dispiegarsi di forze non sempre giustificato.

Francesco non sembra affatto disposto a vivere blindato in una gabbia protettiva che negli ultimi anni è andata aumentando. Sabato mattina, prima dell'udienza concessa agli oltre seimila giornalisti, davanti all'ingresso della Casa Santa Marta, dove il Pontefice alloggia, è accaduto un episodio illuminante. Francesco è sceso e affacciandosi all'esterno ha trovato ad attenderlo la berlina e un'altra macchina di scorta.

Un gendarme teneva già aperta la portiera posteriore dell'auto con la quale avrebbero percorso poco qualche centinaio di metri per arrivare all'aula Paolo VI. Il Papa ha guardato i gendarmi, ha sorriso, e ha fatto un eloquente gesto con la mano, come per dire: «Ma non crederete mica che io monti in macchina per fare cento metri». Quindi con il suo passo spedito si è avviato da solo verso l'aula Paolo VI, seguito dal Prefetto e dal reggente della Casa Pontificia, nonché dal capo del gendarmi vaticani. Mentre le macchine rimanevano ferme dov'erano e gli sportelli venivano richiusi.

Nei primi quattro giorni del suo pontificato, Francesco ha sottolineato in ogni modo il suo ruolo di vescovo di Roma: ha voluto accanto a sé il cardinale Vicario Agostino Vallini al momento del primo affaccio dalla Loggia di San Pietro; ha celebrato la sua prima messa pubblica fuori dalla Sistina nella parrocchia vaticana di Sant'Anna; nel suo primo Angelus si è espresso soltanto in italiano. C'è da prevedere che il nuovo Papa intensifichi le uscite romane, le visite alle parrocchie, alle mense dei poveri. E a questa normalità di rapporto con la città dovrà adeguarsi il pur necessario apparato di sicurezza.

Il 17 ottobre 1978, il giorno dopo l'elezione, a sorpresa Giovanni Paolo II si recò al Policlinico Gemelli per visitare l'amico vescovo polacco Andrej Deskur. Francesco il giorno dopo l'elezione ha visitato Santa Maria Maggiore (chiedendo ai gendarmi di essere discreti) ed è passato alla casa del clero di via della Scrofa per pagare il conto e ritirare la valigia. Il giorno successivo si è recato a far visita all'amico cardinale Jorge Mejia, colpito da infarto e ricoverato in una clinica sull'Aurelia. Chi conosce il Papa, dice che siamo soltanto all'inizio. Sarà davvero difficile «ingabbiarlo» nel nome della sicurezza.

 

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