TOCCATECI TUTTO MA NON I SUPERSTIPENDI - DIPENDENTI DELLE CAMERE IN RIVOLTA CONTRO I TAGLI- LETTERA ALLA BOLDRINI: “ANDREMO IN MASSA DAI GIUDICI” - M5S E SCIOLTA CIVICA PROTESTANO: “IL TETTO DEI 240MILA € È FALSO”
Tommaso Ciriaco per “la Repubblica”
Una rivolta senza precedenti. I dipendenti delle Camere respingono sdegnati la ghigliottina agli stipendi e si preparano a dare battaglia contro il tetto ai salari. Troppo punitivo, sostengono, il “massimo” di 240 mila euro, troppo aggressivi gli altri “sottotetti”. Il più basso dei quali — è utile ricordare — è fissato a 99 mila euro.
E così, con un gesto clamoroso 465 lavoratori (su un totale di 1.400) firmano una lettera indirizzata alla Presidenza di Montecitorio, agitando «contenziosi legali» e denunciando atteggiamenti «antisindacali » messi in atto con «assoluta noncuranza dei diritti dei lavoratori». Le conclusioni, poi, promettono fuoco e fiamme: «A nessuno — affermano — può essere consentito posporre gli interessi della nazione a non meglio precisate istanze individuali o di parte politica. A questo gioco al massacro io non ci sto!».
Capannelli, summit improvvisati e un’assemblea infuocata fanno da cornice alla protesta dei dipendenti, letteralmente sul piede di guerra. Oltre ai dubbi di natura costituzionale, promettono mosse legali che «inaspriranno inevitabilmente i rapporti con la parte datoriale».
E siccome ormai è lotta senza quartiere, i firmatari definiscono «grave» la condotta del Comitato per gli Affari del Personale e ironizzano sul «solerte supporto tecnico dei vertici amministrativi ». E questo, rilevano, nonostante i dipendenti abbiano già «accettato tagli agli stipendi» e proposto «seri e proficui provvedimenti di risparmio ». Così, invece, a loro avviso sarà inevitabile un «decadimento qualitativo dell’istituzione».
Nessun fulmine a ciel sereno, in realtà, perché la tagliola dell’ufficio di Presidenza era annunciata da mesi. L’intervento è significativo, ma gli standard retributivi superano comunque il tetto fissato per il pubblico impiego. Il tetto massimo è infatti di 240 mila euro, al netto però delle indennità di funzione e degli oneri previdenziali. Come gli altri sottotetti: i consiglieri passano da 358 mila a 240 mila euro, i documentaristi da 238 a 166 mila, i segretari da 156 a 115 mila, i collaboratori tecnici da 152 a 106 mila e, infine, gli operatori e gli assistenti (cioè i commessi) da 136 a 99 mila euro. Per chi già supera la soglia, il ridimensionamento entrerà in vigore entro quattro anni, gradualmente.
E i risparmi? Dal 2015 al 2018 le Camere calcolano un taglio complessivo di quasi 97 milioni di euro, undici solo nel primo anno. Esultano, naturalmente, le Presidenze. In particolare Laura Boldrini: «È una decisione senza precedenti», sostiene. Eppure non mancano resistenze, anche tra le forze politiche: il tetto di 240 mila euro è «falso», giurano i cinquestelle, mentre il questore di Scelta civica Stefano Dambruoso, che non ha votato il testo, sostiene che i tagli non soddisfano la «richiesta forte degli elettori che vogliono l’eliminazione degli sperperi».
Il vero regista dell’operazione è però Marina Sereni, vicepresidente di Montecitorio. Non è stupita dalla veemente reazione, né dalla missiva ricevuta: «Indipendentemente da chi ha firmato, penso che nei prossimi mesi sarà possibile dialogare su alcuni punti. Certo, la decisione è presa».
Un percorso «lungo e faticoso», sospira, escludendo però che i dipendenti possano adire le vie legali ordinarie: «C’è un protocollo delle relazioni sindacali, per noi è la legge perché siamo in regime di autodichia». I lavoratori, però, sperano che la Consulta bocci il tetto agli stipendi della pubblica amministrazione. Così, assicurano, si incepperà anche la ghigliottina in Parlamento.