DOPO 8 ANNI DI COMA, È MORTO ARIEL SHARON - L’UOMO DELLA GUERRA CHE PROVÒ DAVVERO A FARE PACE COI PALESTINESI

Ugo Tramballi per www.ilsole24ore.com

L'ex primo ministro israeliano Ariel Sharon è morto. Lo ha riferito la stampa dello Stato ebraico.

È una di quelle notizie sulle quali chi non segue da decenni il filo della vicenda mediorientale, tende a chiedersi: "Chi?". Otto anni dopo la sua discesa in uno stato vegetativo, scomparso dalla scena del conflitto israelo-palestinese, sulla quale di suo è rimasto poco, per i più è legittimo chiedersi chi fosse Ariel Sharon: morto a 86 anni ma in vita artificiale dall'età di 78, colpito da un doppio ictus devastante.

Di "Arik" come lo chiamavano tutti - pochi generali e politici sono senza soprannome, in Israele - è più facile ricordare le provocazioni che il lascito politico. Creatore dell'Unità 101, il reparto costituito per vendicare, anche contro la popolazione araba inerme, le azioni palestinesi dentro Israele; accusato di aver ordinato nel Sinai l'esecuzione dei prigionieri egiziani nella guerra del 1956; uguale trattamento con i palestinesi di Gaza in quella del '67.

Nell'ultima grande guerra arabo-israeliana, quella del Kippur del 1973, con la sua colonna di carri armati Sharon attraversò il canale di Suez. Sarebbe arrivato alle porte del Cairo se non lo avessero fermato i vertici politici che detestava. E dai quali sarebbe stato ripagato con la stessa moneta: non lo hanno mai nominato comandante in capo delle forze armate.

Oltre ai soprannomi, un'altra tradizione d'Israele è la discesa in politica di molti suoi generali. Cambiando divisa, diversi diventano sostenitori del processo di pace. Arik no. Entrò anche lui in politica, mantenendo lo stesso atteggiamento irriverente e aggressivo del militare.

Ministro della Difesa nel 1982, ideatore dell'invasione del Libano e responsabile morale dei massacri palestinesi di Sabra e Chatila. Sharon aveva venduto al premier Menahem Begin l'attacco al Libano come una operazione di polizia. Israele se ne sarebbe districato 18 anni più tardi, e non del tutto. Da politico, Sharon fu evidentemente un attivo sostenitore della colonizzazione ebraica e della moltiplicazione degli insediamenti. «Conquistate le colline e distruggete i villaggi arabi», era la sua esortazione, lui che il nemico lo conosceva bene.

Infine, fu l'uomo che nel settembre 2000, passeggiando fra le moschee della Spianata nella città vecchia di Gerusalemme, provocò la seconda Intifada: anche se quel gesto fu la vera causa della rivolta palestinese quanto il rapimento di Elena della guerra di Troia.
È francamente difficile chiamare Ariel Sharon uomo della pace. Eppure, con molti distinguo, non è una definizione impropria.

Lui, conquistatore di terre arabe, è stato il primo israeliano a ritirarsi da un territorio palestinese: per la destra israeliana alla quale apparteneva, quei territori sono Grande Israele. Nell'estate 2005, da primo ministro, Arik ordinò la distruzione di tutti gli insediamenti ebraici nella striscia di Gaza, e di alcuni nella Cisgiordania. Il suo piano era di continuare un disimpegno unilaterale da quasi tutti i Territori.

Attaccato dalla sua stessa gente del Likud, che chiedeva le sue dimissioni, Sharon fondò un partito chiamato come l'ordine che aveva sempre dato in combattimento, da quando era comandante dl plotone nel 1948: Kadima, cioè avanti. Qualche mese dopo, Arik avrebbe rivinto le elezioni. Guidati da lui, gli israeliani erano pronti a scrollarsi di dosso la questione palestinese. Ma l'ictus fermò tutto.

È evidente che Sharon non fosse un uomo di pace nel senso comune del termine. Il disimpegno non era il frutto di un negoziato con Abu Mazen. Era piuttosto la constatazione di un sionista pragmatico e non ideologico.

La "questione demografica" gli era stata spiegata da Sergio Della Pergola, demografo di fama mondiale: in pochi decenni, in Israele e nei territori palestinesi conquistati ci sarebbero stati più arabi che ebrei. Si avvicinava il giorno in cui Israele avrebbe dovuto scegliere fra essere un grande Paese democratico ma multietnico, o ebraico ma segregazionista. Sharon scelse la terza ipotesi di un Israele più piccolo, ebraico e democratico. Ma l'impresa è rimasta incompiuta. Come il destino d'Israele.

 

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