14 MILIONI DI ITALIANI NON SANNO CHE SANTO VOTARE - CROLLATO IL BERLUSCONISMO, DILANIATO IL PARTITO DEMOCRATICO, IN MEZZO A TUTTI SPUNTANO RENZI E GRILLO - IL SONDAGGISTA WEBER, PRESIDENTE DELLA SWG: “UN CONTO È MONTI, ALTRO È IL PROFILO DI QUELLI CHE VORREBBERO RICHIAMARSI AL MONTISMO: CASINI, FINI, CORRADO PASSERA... NON SARÀ FACILE PER LORO VENDERE IL PRODOTTO MONTI SENZA LA CERTIFICAZIONE DEL PROFESSORE”….

Marco Damilano per "L'Espresso"

Siamo vincoli o sparpagliati?, si chiedeva negli anni Sessanta Peppino De Filippo, il Pappagone televisivo. Il piccolo schermo era in bianco e nero, il mondo era diviso a metà, di qua o di là del Muro, l'Italia con il partito comunista più grande d'Occidente non faceva eccezione, anzi. Arrivò la tv a colori e poi la Seconda Repubblica, al muro di Berlino si sostituì il muro di Berlusconi, lo spettacolo non è cambiato: pro o anti Silvio, per vent'anni le tribù della politica si sono scontrate così. Fino al 9 novembre 2011. Quando il muro di B. è caduto e ha lasciato il posto al governo di Mario Monti. E i due popoli che erano uniti, vincoli, nei loro accampamenti, si sono sparpagliati.

Quattordici milioni. È il numero di potenziali votanti in transumanza dalle loro tradizionali appartenenze, destra, sinistra, centro, in cerca di casa politica. Berlusconiani delusi, militanti del centrosinistra in uscita, tentati dall'astensione, indecisi. Il 40 per cento del corpo elettorale (alle ultime consultazioni, nel 2008, votarono 38 milioni di italiani). Elettori indignati, nauseati, furibondi per gli scandali, ultimo caso la mangiatoia dei consigli regionali.

Sempre meno propensi a votare per il loro partito tradizionale o semplicemente a tornare alle urne. Voti nomadi, che abbandonano le vecchie frontiere per lanciarsi verso nuove terre promesse. Gli Sparpagliati: saranno loro a fare la differenza: nelle primarie del centrosinistra e poi nel voto del 2013.

Indipendenti, li chiama con il distacco dello scienziato il politologo Roberto D'Alimonte, studioso di sistemi elettorali. «Negli Stati Uniti sono definiti così gli elettori che non si schierano né con i democratici né con i repubblicani. In Italia sarebbe meglio parlare di elettori disponibili, ma c'è il rischio di essere fraintesi», spiega l'editorialista del "Sole 24 Ore" con il pensiero rivolto ai tanti Scilipoti disposti a tutto.

«Il primo grande disallineamento dell'elettorato italiano c'è stato quando dopo l'89, scomparso il pericolo comunista, una parte dell'elettorato del Nord si spostò dalla Dc alla Lega che ottenne nei primi anni Novanta il suo massimo storico. Ora c'è un nuovo scongelamento, il crollo di Berlusconi ha liberato un'area disponibile a scegliere qualcosa di nuovo. Ma gli indipendenti sono anche nel campo democratico. Il Pd è nei sondaggi il partito più grande con il suo 26-28 per cento, ma è un consenso misurato sulla metà degli intervistati che dichiarano di voler andare a votare».

La prima scossa c'è stata alle elezioni amministrative di primavera, quando il crollo del Pdl, la sconfitta della Lega nelle sue tradizionali roccaforti e l'ascesa del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo hanno rivoluzionato la geografia politica. Risultato: lo spaesamento. Mappe da riscrivere, bussole impazzite. E lo sconvolgimento è appena all'inizio. «Nel Lazio rischiamo di ripetere in grande il caso Parma», spiega ad esempio il senatore del Pdl Andrea Augello. «Lì il Pdl fu spazzato via dagli scandali, il Pd pensò di vincere facile per assenza di avversario. E invece ha vinto Grillo».

E in vista del 2013, i leader di sempre sono impegnati a indossare un abito nuovo. Al centro c'è la coppia formata da Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini, entrambi in Parlamento dal 1983, che si propone come alfiere del Monti bis: la riproposizione dopo il 2013 di un governo guidato dall'attuale premier, in testa in tutti i sondaggi di gradimento e in crescita nelle ultime settimane, sostenuto da una lista che rivendica il suo programma.

Il tentativo di colmare il vuoto provocato tra i moderati dal crollo del berlusconismo, simboleggiato plasticamente dal pubblico che accorre agli eventi dei leader centristi, i Mille di Fini ad Arezzo, il raduno dell'Udc a Chianciano: poche facce note, platee anonime selezionate per dare l'impressione di una società civile disposta a impegnarsi, facce e giacche tipiche di un convegno di rappresentanti di categoria più che di una kermesse politica. La stessa tipologia sfoggiata dalla Lega di Roberto Maroni al Lingotto di Torino. E che affollerà i prossimi appuntamenti: l'assemblea di Riccione del nuovo movimento di Giulio Tremonti, la convention di Italia Futura di Luca Cordero di Montezemolo.

Cinquanta sfumature di grigio, con l'illusione di mimetizzare i precedenti fallimenti politici e di intercettare la voglia di montismo. «Ma il gradimento di Monti va al di là del suo governo», spiega Roberto Weber, presidente della Swg. «Un conto è Monti, altro è il profilo di quelli che vorrebbero richiamarsi al montismo: Casini, Fini, Corrado Passera... Non sarà facile per loro vendere il prodotto Monti senza la certificazione del Professore». «La lista Monti sarebbe un'offerta politica nuova, ma non si può fare con il trucco. E non ci sarà», prevede D'Alimonte.

E dunque, in assenza di Monti, l'elettore spaesato e sparpagliato guarda con curiosità al big match nel campo democratico: le primarie per scegliere il candidato premier del centrosinistra, la gara tra Pier Luigi Bersani, Nichi Vendola, Bruno Tabacci e soprattutto il sindaco rottamatore Matteo Renzi. Con il Pdl in via di scioglimento (quotato 15 per cento dopo lo scandalo Fiorito, a rischio scissione tra ex forzisti e ex An), è nei gazebo del Pd che possono formarsi i nuovi schieramenti, mescolarsi i vecchi popoli, come i tedeschi dell'Est e quelli dell'Ovest dopo la caduta del muro di Berlino.

Per la prima volta nel Pd si è fatta drammatica la battaglia sulle regole delle primarie, con il tentativo della dirigenza bersaniana del partito di limitare la possibilità di voto agli elettori del centrosinistra. Albi degli elettori, raccolte di firme, primo e secondo turno, obbligo di registrazione on line. Obiettivo: impedire che la partecipazione alle primarie di ex elettori del Pdl condizionino il risultato, a favore dello sfidante, il sindaco Renzi, che in tutte le piazze d'Italia invita esplicitamente gli ex berlusconiani ad affollare i gazebo del Pd, a sconfinare nelle primarie del centrosinistra. Un corteggiamento che sta producendo il suo effetto.

«Voterò alle primarie della sinistra e darò la mia preferenza a Renzi. E lo farò anche se dovrò recarmi in qualche sezione di partito per iscrivermi in qualche albo», ha scritto sul "Foglio" la politologa Sofia Ventura, intellettuale liberale, che in realtà berlusconiana non è mai stata. Il prototipo dell'elettrice indipendente. Eppure, racconta la studiosa, «su Twitter sono piovuti gli insulti di alcuni militanti e perfino di qualche dirigente del Pd: avamposto delle truppe cammellate della destra, ghost writer di Fini, berlusconiana, fascista... Hanno scritto che non era legittimo che il mio voto, che non viene da sinistra, contasse quanto il loro, che sono nel partito da sempre».

Una reazione benedetta dal quotidiano del Pd. «Ogni soggetto politico, dinanzi a manovre di sabotaggio, deve aggrapparsi all'istinto di sopravvivenza. Ogni campo ha il diritto di organizzare i suoi confini identitari senza incursioni corsare», ha tuonato su "L'Unità" Michele Prospero. Campo, perimetro, confine, nel Pd si sprecano le metafore per segnalare la preoccupazione di tenere unite le truppe al riparo dalle invasioni avversarie. «La nostra gente», la chiama Bersani.

Matteo Orfini, leader dei giovani turchi post-comunisti, la butta sul teologico. «Extra ecclesiam nulla salus», ha dettato sul "Manifesto", come se il Pd fosse una chiesa. «Ma è proprio questo il problema», reagisce Weber. «Il Pd di Bersani esprime un voto di conservazione dell'esistente, ma è incapace di uscire dal suo recinto, non travalica, non recupera gli italiani "anomici" che esprimono una richiesta di cambiamento radicale. E senza intercettare quei voti lì non si vince».

Chi potrebbe farlo? «Monti, se fosse protagonista in prima persona», risponde Weber. «Quella di Casini e Fini è un'operazione di basso profilo: vorrebbero che Monti ci mettesse la faccia, loro portano i parlamentari», concorda Sofia Ventura. «La gente non vuole più vedere le solite facce. E le novità per ora sono Renzi e Grillo», conclude D'Alimonte. In attesa di nuovi arrivati, sono loro i campioni di questa inedita, irriconoscibile Italia elettorale senza frontiere. Sparpagliata.

 

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