1. PER “CHI” È L’ASSIST DELLE DIMISSIONI DI FASSINA? IL VICEMINISTRO BERSANIANO PENSAVA DI COLPIRE RENZI E INVECE IL SUO ADDIO ACCELERA LA FINE DEL GOVERNINO LETTA! 2. IL ROTTAMATORE NON SOLO NON HA ARRETRATO, MA HA RINCARATO LA DOSE E SE NON CI FOSSE STATO IL TRISTE MALORE DI BERSANI AVREBBE ANCHE RADDOPPIATO LA DOSE 3. ALTRO CHE STABILITÀ, IL GOVERNO HA GIÀ PERSO DUE VICEMINISTRI E CINQUE SOTTOSEGRETARI. LETTA-ALFANO SCOPRONO L’ACQUA CALDA: “RENZI VUOLE ANDARE AL VOTO!” 4. ECCO COME IL DUO EX-DC, MOLLATO ANCHE DA NAPOLITANO, SPERA DI RIMANERE ASSERRAGLIATO A PALAZZO CHIGI: RITARDANDO LA NUOVA LEGGE ELETTORALE E OFFRENDO PIÙ POLTRONE AL PD. MA CHE SE NE FA RENZI DEI MINISTRI DI UN GOVERNO MORIBONDO? 5. LE DIMISSIONI “IRREVOCABILI” DEL SOTTOSEGRETARIO FASSINA? VALIDE SOLO PER LA STAMPA E PER POLEMIZZARE CON RENZI: NEI SITI UFFICIALI DEL GOVERNO NON ESISTONO
1. DAGOREPORT - LE DIMISSIONI "IRREVOCABILI" DI FASSINA? PER I SITI UFFICIALI NON ESISTONO
Ma le dimissioni di Stefano Fassina, comunicate urbi et orbi lo scorso sabato pomeriggio, non erano "irrevocabili" e immediate? Il viceministro all'Economia ha fatto sapere di averle rassegnate al premier Enrico Letta, però stando ai siti ufficiali del governo ancora non risultano.
Basta andare sulle pagine dedicate alla composizione governativa sul portale di Palazzo Chigi "Governo.it" (http://governo.it/Governo/Ministeri/ministri_gov.html) e sul sito del ministero dell'Economia e Finanze (http://www.tesoro.it/ministero/viceministri/) per vedere che Fassina figura ancora come viceministro di Fabrizio Saccomanni. Insomma, "dimissioni irrevocabili" solo per la stampa. A quarantotto ore dall'annuncio, non c'è ancora nessuna presa d'atto ufficiale.
2. LA STRATEGIA DI RENZI PER DEMOLIRE LETTA
Emiliano Liuzzi per "Il Fatto Quotidiano"
Lasciato sul campo il viceministro dell'Economia, Stefano Fassina, si apre un'altra settimana decisiva nella guerra di nervi e muscoli tra Matteo Renzi ed Enrico Letta. Una settimana cruciale e che porta il nome più complesso da pronunciare: legge elettorale. Letta si sposta nell'equilibrismo, Renzi scalcia.
Il primo ci vuole arrivare con un percorso che sia attento ai pesi interni alla maggioranza e alle parole del capo dello Stato, il segretario invece smania e incontrerà tutti i segretari di partito. "Questa è la mia idea, a chi sta bene la porta è aperta, parlo con tutti". Appello rivolto chiaramente a Silvio Berlusconi e a Beppe Grillo.
Un percorso che non prevede scorciatoie. E soprattutto non prevede accordi: Letta e Renzi si parleranno, ma in settimana potrebbero tornare a scontrarsi. Anche perché la strategia del segretario, per chi ancora non ce l'avesse presente, è chiara: dare modo al governo di autodemolirsi. Il primo obiettivo raggiunto è Fassina con il quale è bastato un Fassina chi? per aprire una voragine.
Un pesce piccolo, ma non troppo nella galassia governativa, visto che l'esecutivo è un puzzle molto delicato e appoggiato su una superficie tutt'altro che stabile. E tutti gli uomini dei presidenti, intesi come Letta e Napolitano, hanno pregato Fassina perché non lasciasse.
Lo ha fatto Letta stesso, in primis, e poi il ministro della Difesa Mario Mauro. Ma niente. "Irrevocabile", ha risposto il vice ministro dell'economia che, con ogni probabilità non verrà sostituito. Ma è solo il primo, sicuramente alla nuova segretaria rottamatrice non piacciono né Flavio Zanonato ora all'economia né Mauro.
Renzi, nella mattinata di ieri, ha fatto tutt'altro che il pompiere. Ha risposto a Fassina perché Letta leggesse bene via Facebook: "Meno di un mese fa tre milioni di italiani hanno chiesto al Pd coraggio, decisione, scelte forti", scrive il segretario. "Noi rispondiamo agli elettori del Pd, non alle sue correnti.
Se il viceministro all'Economia - in questi tempi di crisi - si dimette per una battuta, mi dispiace per lui. Io le battute continuo a farle, non diventerò un grigio burocrate. Se si dimette per motivi politici, grande rispetto: ce li spiegherà lui nel dettaglio alla direzione già convocata per il prossimo 16 gennaio, raccontandoci cosa pensa del governo, cosa pensa di aver fatto, dove pensa di aver fallito".
Niente mezze misure. Nessuna voglia di insistere su una battaglia vinta, perché alla fine le dimissioni di Fassina questo sono per Renzi: un modo per far sentire a Letta che il tempo è quasi scaduto, che lui non ci sta a fare il segretario di facciata, che si aspetta una nuova legge per andare a votare in tempi assolutamente brevi.
Chi crede che sia accontenti di un cambio di persone, magari con un ministero di rilievo per Graziano Delrio, ha già una risposta: "Il rimpasto non è una priorità per il governo né tantomeno per il Partito democratico, perché la preoccupazione del Pd sono gli italiani che non hanno un posto di lavoro, non i politici che si preoccupano di quale poltrona possa cambiare. Sono i problemi dell'Italia che interessano al mio Pd, non i problemi autoreferenziali del gruppo dirigente".
Parole definitive, in un certo senso. Che non allargano lo scenario, ma lo costringono a una strada sola.
Il pianeta Letta, per il momento, ha scelto la via del silenzio. Ha parlato Mauro nell'insolita veste di portavoce di Palazzo Chigi: "Non è vero che il segretario del Pd sia disposto ad accordarsi anche con il diavolo pur di avere una nuova legge sul sistema di voto. Lui è disposto ad accordarsi anche con il diavolo pur di avere una nuova campagna elettorale. Vuole la testa di Letta".
Altra voce, sempre nella mattinata di ieri, è stata quella di Pippo Civati che ha accusato il vecchio compagno di rottamazione di eccesso di supponenza e non ha risparmiato critiche a Fassina. Un colpo a destra e uno a manca, in attesa di vedere come andrà a finire.
3. I NUOVI SOSPETTI DI LETTA E ALFANO: "RENZI CI VUOLE PORTARE AL VOTO"
Tommaso Ciriaco per "La Repubblica"
Angelino Alfano riunirà i vertici del Nuovo centrodestra già domani. Ai ministri c'è da trasmettere un allarme: «L'hanno capito anche i muri che Matteo Renzi vuole tornare a votare. Dobbiamo evitare che accada». Nelle stesse ore Enrico Letta, che condivide le stesse angosce del vicepremier, inizierà a consultare i big della maggioranza. Vuole siglare al più presto un patto di coalizione convincente, aggirando il tornado renziano. Pur ostentando in pubblico cauto ottimismo, anche il premier teme che l'escalation in atto possa riavvicinare il voto: «Il governo andrà avanti. Ma andrà avanti, come ho già detto, a patto che sia messo in condizione di operare».
Certo, con Pierluigi Bersani in sala operatoria tutto resta doverosamente sospeso. In giornata Letta potrebbe recarsi a Parma dall'ex segretario democratico. E almeno per un giorno appaiono congelate le accuse feroci per le dimissioni di Stefano Fassina, il ping pong polemico sui diritti civili e la trattativa sul rimpasto. Una tregua reale, ma a termine, perché i tempi stretti impongono scelte nette.
Lo spettro aleggia dalla sera dell'otto dicembre. Troppo sbilanciato il risultato delle primarie democratiche per non provocare uno smottamento. I cinque ministri del Nuovo centrodestra, che più di tutti hanno investito sulla stabilità dell'esecutivo, sono in contatto costante. In apprensione per l'effetto Renzi. La più giovane, Beatrice Lorenzin, lo va ripetendo dal minuto dopo le primarie del Pd: «à chiaro che Renzi proverà fino alla fine a tornare al voto. La partita è tutta qui».
Eppure, il tempo sembra giocare a favore dell'ala governista. La finestra elettorale che consente di votare insieme alle Europee si chiuderà intorno al 25 marzo. E dopo il Porcellum manca ancora una nuova legge. Impensabile tornare dagli elettori con un proporzionale puro - il prodotto della sentenza della Consulta - che a tutti appare garanzia certa di nuove larghe intese. Nonostante gli spazi ristretti, a Palazzo Chigi continuano a valutare comunque lo scenario peggiore, il timing di una crisi improbabile ma ancora possibile.
La fine anticipata della legislatura dovrebbe consumarsi quasi in parallelo a un'approvazione della riforma elettorale a tappe forzate. Stando alla "scaletta" annunciata da Renzi, il nuovo modello otterrà il via libera in commissione alla Camera entro fine gennaio e l'ok dell'Aula entro il dieci febbraio.
Occorrerebbe poi chiudere l'esame in commissione del Senato a inizio marzo e approvare infine la legge in Aula entro il dieci marzo. Tutto d'un fiato, quindi, verso nuove elezioni. Una missione complicata, così almeno la giudicano anche i renziani più "duri": «Magari si potesse - ripetono da giorni - ma i tempi sono quasi impossibili».
Nell'attesa che si chiuda la finestra elettorale, Letta lavora per ritrovare la rotta di una navigazione diventata nelle ultime ore assai perigliosa. A Roma alla vigilia della Befana, il premier ha riunito alcuni suoi consiglieri per tracciare una prima bozza del patto di coalizione.
L'obiettivo è fare la sintesi delle idee della maggioranza. Scelta civica ha già recapitato le proprie proposte a Chigi, il Nuovo centrodestra si appresta a farlo. Dovrà fonderle con i desiderata del Pd, destinati a diventare ufficiali in occasione della direzione nazionale del partito. Solo allora il lavoro potrà dirsi completo.
L'agenda 2014 sarà discussa a partire dal sette gennaio. Sono in programma bilaterali tra Letta e le singole forze politiche, rappresentate da segretari e capigruppo. Il patto al quale si lavora conterrà di certo proposte sul lavoro, la sicurezza, le risorse ai comuni,le riforme costituzionali. E se dovesse allentarsi la tensione sui diritti civili, Letta potrebbe includere anche la regolamentazione delle unioni civili. In formato light e mettendo sul piatto, in una sorta di bilancia tutta politica, nuovi fondi per la famiglia.
La partita elettorale, è noto, sarà gestita in prima persona da Renzi. Al premier tocca intanto sbrogliare definitivamente il caso Fassina. Tenterà ancora di convincerlo a restare al suo posto, sondando fino all'ultimo quanto davvero irrevocabile sia il passo indietro del viceministro. Una defezione vissuta a Palazzo Chigi come destabilizzante e che ha messo in allarme anche il Colle.
Poi sarà il momento del rimpasto. Ancora ieri il segretario dem ha giurato di non essere interessato alle «poltrone». Letta ufficialmente non lo contraddice: «Il problema non è la squadra - ripete - ma le cose da fare assieme». Eppure, il presidente del Consiglio tornerà ad offrirgli l'upgrade dell'unico ministro renziano, Graziano Delrio. La mossa più efficace per "responsabilizzare" il leader dem.











