FINALMENTE UNA TRATTATIVA CHE NON C’è STATA: QUELLA TRA QUIRINALE E I PM DI PALERMO - SIA NAPOLITANO CHE IL PROCURATORE MESSINEO NEGANO CHE CI SIA STATO UN INCONTRO PER ACCORDARSI SULLA DISTRUZIONE DELLE INTERCETTAZIONI DEL PRESIDENTE - LA NOTIZIA ERA USCITA SU “REPUBBLICA” ED ERA STATA DATA PER SICURA DA SCALFARI, CHE L’HA USATA PER CRITICARE ZAGREBELSKY - IL COLLE ANNUNCIA CHE D’ORA IN POI NON PARLERà Più DELLA QUESTIONE STATO-MAFIA…

1- NAPOLITANO INTERCETTATO "NON C'È STATA NESSUNA TRATTATIVA CON LA PROCURA DI PALERMO"
Antonella Rampino per "La Stampa"

Non c'è stata alcuna «trattativa» con la procura di Palermo per l'eventuale distruzione delle intercettazioni casuali di Giorgio Napolitano, che quel tribunale per pubblica ammissione di alcuni suoi magistrati possiede. Il Quirinale, che parla attraverso atti pubblici, ha già fatto sapere, e in un atto formale come un decreto presidenziale, lo scorso 16 luglio come sono andate le cose. È una nota informale di ieri sera, affidata all'agenzia Ansa, che ricorda appunto quel documento ufficiale. Nel quale si dice che il procuratore Messineo il 6 luglio, all'Avvocatura generale dello Stato che il 27 giugno aveva chiesto notizie sulle «conversazioni captate», aveva risposto che «avendo già valutato come irrilevanti» quelle intercettazioni, ne prevedeva «la distruzione da effettuare con l'osservanza delle formalità di legge».

Ma poi -dice ancora il decreto presidenziale- in una nota del 9 luglio, e in un'intervista alla «Repubblica» l'11, il procuratore ha aggiunto che per la distruzione sarebbe occorsa un'udienza apposita, e l'autorizzazione del gip. Dunque, nessuna trattativa, nessuna mediazione: il presidente della Repubblica ha semplicemente seguito le regole, si fa notare al Quirinale. Poiché appresa dai giornali l'esistenza di sue «conversazioni captate» ha chiesto all'organismo competente, l'Avvocatura generale dello Stato, di chiedere al procuratore della Repubblica di Palermo, di informarsi.

La Procura poi risponde per lettera, e proprio il contenuto di quella missiva determina la necessità di rivolgersi alla Corte costituzionale per dirimere un conflitto che investe il presidente della Repubblica, e la tutela delle sue funzioni e dei suoi poteri. E dunque, con il decreto del 16 luglio, Napolitano dà formalmente incarico all'Avvocatura generale dello Stato di scrivere e presentare il ricorso alla Consulta.

In quest'agosto, che Napolitano ha già definito «caldo, e non solo per ragioni meteorologiche», il Quirinale si trova al centro di polemiche al calor bianco, e anche in forma di obiettivo per forze politiche come l'Idv e il movimento di Beppe Grillo. E, raccontano fonti vicine al presidente, invece proprio non si vorrebbe tutto questo fuoco polemico. Per questo -anche- la nota quirinalizia è informale: sulla faccenda del ricorso alla Consulta, della quale non a caso Napolitano disse «non dirò più una parola», non si vuole né replicare, né farsi trascinare nel dibattito. Perché il Quirinale «parla» con atti pubblici. E anche perché si spera che si possa attendere con maggior serenità il responso della Corte costituzionale.

Ma ieri il procuratore di Palermo Messineo aveva dichiarato che «non c'è stata alcuna trattativa con l'Avvocatura dello Stato», come invece «hanno riportato alcuni giornali». E in realtà, la trattativa era stata raccontata dalla «Repubblica», che in un ampio retroscena del 19 scorso aveva ricostruito i passaggi di quella «mediazione fallita», tanto che lo stesso Eugenio Scalfari nel suo editoriale a difesa dell'operato di Napolitano aveva tranquillamente parlato di «trattativa» dell'Avvocatura con la Procura di Palermo, ricordando anzi in aperta polemica con il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky che forse «quel dettaglio gli era sfuggito».

Adesso, di quel retroscena nel quale si specificava che si trattava «della storia vista dal Quirinale di come si arrivò a quel conflitto di attribuzione», resta saldo un solo punto: per Giorgio Napolitano il conflitto d'attribuzione avverso alla Procura di Palermo è stato un atto necessitato. Il modo più lineare e trasparente di risolvere una questione ormai squadernata. E di certo -come sempre- non compiuto a cuor leggero.


2- "REPUBBLICA" SMENTITA DA COLLE E PROCURA
Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza

La smentita è secca, inequivocabile e doppia; arriva dal capo dell'ufficio, Francesco Messineo, e più che all'editoriale domenicale di Eugenio Scalfari è rivolta al pezzo di cronaca che ricostruisce i rapporti tra Quirinale e Procura, pubblicato nella stessa edizione di Repubblica: "Non vi è stato mai nessun tentativo di mediazione da parte di alcuno - dice Messi-neo -, l'immagine di una parte che cerca di mediare per evitare un conflitto, mentre l'altra (la Procura) oppone un pregiudiziale netto rifiuto è forse suggestiva, ma infondata".

Nessuna visita degli avvocati dello Stato a Palermo, nessun tentativo di mediazione né di richiesta di distruzione delle intercettazioni con la voce di Napolitano, nessuna spaccatura tra "falchi e colombe" all'interno dell'ufficio del pm palermitano. E ieri arriva anche la correzione del Quirinale, che prende le distanze dalla ricostruzione sbugiardata di Repubblica: "I termini effettivi dei raplo dei fatti. Che Repubblica è accusata di avere mistificato, raccontando in un pezzo di cronaca le vicende che hanno preceduto il conflitto di attribuzione. E cioè un tentativo da parte dell'Avvocatura dello Stato di una moral suasion, portata quasi a compimento grazie alla buona volontà del procuratore e bloccata dai "falchi" Ingroia e Di Matteo.

Sul punto la smentita di Messineo è totale: "Nella realtà l'Avvocatura generale dello Stato - ricorda Messineo - ha inviato una sola lettera chiedendo soltanto conferma o smentita delle dichiarazioni rilasciate dal dottor Di Matteo nella intervista a Repubblica del 22 giugno. Si è data risposta confermando che le dichiarazioni erano state rese ed allegando una nota del dottor Di Matteo che ne chiariva il contenuto e la portata.

A tale lettera non è seguita alcuna comunicazione o interlocuzione e si è successivamente appreso che era stato proposto il ricorso. È quindi assolutamente infondato - conclude Messineo - porti tra l'Avvocatura dello Stato e la Procura di Palermo - si legge in un'Ansa che cita come fonte ambienti del Colle - sono quelli indicati nel decreto del presidente della Repubblica del 16 luglio 2012, consultabile sul sito del Quirinale".

Dopo il duello a colpi di editoriali tra Scalfari e Zagrebelsky, lo scontro al calor bianco tra il Quirinale e la procura di Palermo in cerca della verità sulle stragi lascia il terreno delle opinioni, giuridiche, politiche e strategiche, discordanti, e si accende su quel
che l'Avvocatura dello Stato, prima che il ricorso presidenziale fosse stato redatto, sia andata in visita alla Procura di Palermo ed abbia proposto la distruzione delle registrazioni in questione ricevendo un rifiuto".

Non c'è stata, insomma, alcuna trasferta a Palermo di rappresentanti dell'Avvocatura dello Stato - come ha erroneamente sostenuto Scalfari - e neanche la richiesta di distruggere le trascrizioni che avrebbero "pizzicato" il capo dello Stato al telefono con Nicola Mancino: del resto quale avvocato dello Stato avrebbe messo nero su bianco l'istigazione a commettere un reato, qual è la distruzione di prove al di fuori delle norme in un procedimento penale?

L'unica interlocuzione, avvenuta solo per via epistolare, risale al 10 luglio scorso, quando Messineo ricevette la richiesta dell'Avvocatura dello Stato di chiarimenti sulla presenza - nei brogliacci dell'indagine sulla trattativa Stato-mafia non ancora depositati - di trascrizioni relative a conversazioni telefoniche che avrebbero captato la voce di Giorgio Napolitano.

Siamo appena all'inizio dell'estate, nella prima fase dello scontro tra il Colle e la procura di Palermo che, proprio in quei giorni, aveva depositato le conclusioni dell'inchiesta sulla trattativa, manifestando l'intenzione di chiedere il rinvio a giudizio per dodici indagati, tra cui l'ex presidente del Senato Nicola Mancino - intercettato per mesi in un pressing di telefonate con Loris D'Ambrosio (il consulente giuridico del Quirinale scomparso il 26 luglio per un attacco cardiaco) - nel tentativo di "sfilare" l'indagine sulla trattativa ai pm del capoluogo siciliano. Poco prima Panorama aveva pubblicato indiscrezioni sulla presenza, nel dossier palermitano sulla trattativa, di almeno un paio di telefonate intercettate sull'utenza di Mancino che avrebbero avuto come protagonista Napolitano.

È in quel momento che, su input della segreteria generale del Quirinale, l'Avvocatura dello Stato fa partire la lettera con cui chiede a Messineo di confermare o smentire l'esistenza di intercettazioni che coinvolgerebbero il presidente della Repubblica, facendo esplicito riferimento ad un'intervista pubblicata il 22 giugno precedente dal quotidiano la Repubblica, nella quale il pm Nino Di Matteo sosteneva che "negli atti depositati non c'è traccia di conversazioni del capo dello Stato, e questo significa che non sono minimamente rilevanti"; ma poi, riferendosi alle intercettazioni non ancora depositate, aggiungeva: "Quelle che dovranno essere distrutte con l'instaurazione di un procedimento davanti al gip, saranno distrutte, quelle che riguardano altri fatti da sviluppare saranno utilizzate in altri procedimenti".

Un'intervista, che avrebbe provocato, nelle settimane successive, l'apertura di un procedimento disciplinare da parte del Csm nei confronti degli stessi Messineo e Di Matteo, ma che da subito aveva suscitato la preoccupazione dello staff del Colle intenzionato ad acquisire su quelle bobine in possesso dei pm di Palermo tutte le informazioni possibili.

Ora che Messineo ha smentito la notizia del tentativo di mediazione con il Quirinale, resta da capire da quale fonte provenga questa falsa informazione e perché sia stata messa in circolazione.

 

NICOLA MANCINO E GIORGIO NAPOLITANO jpegNICOLA MANCINO E GIORGIO NAPOLITANO VIGNETTA MANNELLI - NAPOLITANO STIRO MANCINONAPOLITANO INGROIAAntonio Ingroia IngroiaFRANCESCO MESSINEO PROCURATORE CAPO DI PALERMO jpegSCALFARI NAPOLITANOpzcort50 eugenio scalfaripelu21 eugenio scalfariLIBERTA E GIUSTIZIA GUSTAVO ZAGREBELSKY jpegla sala della corte costituzionaleGIORGIO NAPOLITANO SALUTA IL FERETRO DI LORIS DAMBROSIO GIORGIO NAPOLITANO E LORIS D'AMBROSIO

Ultimi Dagoreport

andrea orcel gaetano caltagirone carlo messina francesco milleri philippe 
donnet nagel generali

DAGOREPORT - BUM! ECCO LA RISPOSTA DI CALTAGIRONE ALLA MOSSA DI NAGEL CHE GLI HA DISINNESCATO LA CONQUISTA DI GENERALI - L’EX PALAZZINARO STA STUDIANDO UNA CONTROMOSSA LEGALE APPELLANDOSI AL CONFLITTO DI INTERESSI: È LEGITTIMO CHE SIA IL CDA DI GENERALI, APPENA RINNOVATO CON DIECI CONSIGLIERI (SU TREDICI) IN QUOTA MEDIOBANCA, A DECIDERE SULLA CESSIONE, PROPRIO A PIAZZETTA CUCCIA, DI BANCA GENERALI? - LA PROVA CHE IL SANGUE DI CALTARICCONE SI SIA TRASFORMATO IN BILE È NELL’EDITORIALE SUL “GIORNALE” DEL SUO EX DIPENDENTE AL “MESSAGGERO”, OSVALDO DE PAOLINI – ECCO PERCHÉ ORCEL HA VOTATO A FAVORE DI CALTARICCONE: DONNET L’HA INFINOCCHIATO SU BANCA GENERALI. QUANDO I FONDI AZIONISTI DI GENERALI SI SONO SCHIERATI A FAVORE DEL FRANCESE (DETESTANDO IL DECRETO CAPITALI DI CUI CALTA È STATO GRANDE ISPIRATORE CON FAZZOLARI), NON HA AVUTO PIU' BISOGNO DEL CEO DI UNICREDIT – LA BRUCIANTE SCONFITTA DI ASSOGESTIONI: E' SCESO IL GELO TRA I GRANDI FONDI DI INVESTIMENTO E INTESA SANPAOLO? (MAGARI NON SI SENTONO PIÙ TUTELATI DALLA “BANCA DI SISTEMA” CHE NON SI SCHIERERÀ MAI CONTRO IL GOVERNO MELONI)

giorgia meloni intervista corriere della sera

DAGOREPORT - GRAN PARTE DEL GIORNALISMO ITALICO SI PUÒ RIASSUMERE BENE CON L’IMMORTALE FRASE DELL’IMMAGINIFICO GIGI MARZULLO: “SI FACCIA UNA DOMANDA E SI DIA UNA RISPOSTA” -L’INTERVISTA SUL “CORRIERE DELLA SERA” DI OGGI A GIORGIA MELONI, FIRMATA DA PAOLA DI CARO, ENTRA IMPERIOSAMENTE NELLA TOP PARADE DELLE PIU' IMMAGINIFICHE MARZULLATE - PICCATISSIMA DI ESSERE STATA IGNORATA DAI MEDIA ALL’INDOMANI DELLE ESEQUIE PAPALINE, L’EGO ESPANSO DELL’UNDERDOG DELLA GARBATELLA, DIPLOMATA ALL’ISTITUTO PROFESSIONALE ARRIGO VESPUCCI, È ESPLOSO E HA RICHIESTO AL PRIMO QUOTIDIANO ITALIANO DUE PAGINE DI ‘’RIPARAZIONE’’ DOVE SE LA SUONA E SE LA CANTA - IL SUO EGO ESPANSO NON HA PIÙ PARETI QUANDO SI AUTOINCORONA “MEDIATRICE” TRA TRUMP E L'EUROPA: “QUESTO SÌ ME LO CONCEDO: QUALCHE MERITO PENSO DI POTER DIRE CHE LO AVRÒ AVUTO COMUNQUE...” (CIAO CORE!)

alessandro giuli bruno vespa andrea carandini

DAGOREPORT – CHI MEGLIO DI ANDREA CARANDINI E BRUNO VESPA, GLI INOSSIDABILI DELL’ARCHEOLOGIA E DEL GIORNALISMO, UNA ARCHEOLOGIA LORO STESSI, POTEVANO PRESENTARE UN LIBRO SULL’ANTICO SCRITTO DAL MINISTRO GIULI? – “BRU-NEO” PORTA CON SÉ L’IDEA DI AMOVIBILITÀ DELL’ANTICO MENTRE CARANDINI L’ANTICO L’HA DAVVERO STUDIATO E CERCA ANCORA DI METTERLO A FRUTTO – CON LA SUA PROSTRAZIONE “BACIAPANTOFOLA”, VESPA NELLA PUNTATA DI IERI DI “5 MINUTI” HA INANELLATO DOMANDE FICCANTI COME: “E’ DIFFICILE PER UN UOMO DI DESTRA FARE IL MINISTRO DELLA CULTURA? GIOCA FUORI CASA?”. SIC TRANSIT GLORIA MUNDI – VIDEO

banca generali lovaglio francesco gaetano caltagirone philippe donnet alberto nagel milleri

DAGOREPORT - DA QUESTA MATTINA CALTAGIRONE HA I SUDORI FREDDI: SE L’OPERAZIONE DI ALBERTO NAGEL ANDRÀ IN PORTO (SBARAZZARSI DEL CONCUPITO “TESORETTO” DI MEDIOBANCA ACQUISENDO BANCA GENERALI DAL LEONE DI TRIESTE), L’82ENNE IMPRENDITORE ROMANO AVRÀ BUTTATO UN PACCO DI MILIARDI PER RESTARE SEMPRE FUORI DAL “FORZIERE D’ITALIA’’ - UN FALLIMENTO CHE SAREBBE PIÙ CLAMOROSO DEI PRECEDENTI PERCHÉ ESPLICITAMENTE SOSTENUTO DAL GOVERNO MELONI – A DONNET NON RESTAVA ALTRA VIA DI SALVEZZA: DARE UNA MANO A NAGEL (IL CEO DI GENERALI SBARRÒ I TENTATIVI DI MEDIOBANCA DI ACQUISIRE LA BANCA CONTROLLATA DALLA COMPAGNIA ASSICURATIVA) - PER SVUOTARE MEDIOBANCA SOTTO OPS DI MPS DEL "TESORETTO" DI GENERALI, VA BYPASSATA LA ‘’PASSIVITY RULE’’ CONVOCANDO  UN’ASSEMBLEA STRAORDINARIA CHE RICHIEDE UNA MAGGIORANZA DEL 51% DEI PRESENTI....

volodymyr zelensky donald trump vladimir putin moskva mar nero

DAGOREPORT - UCRAINA, CHE FARE? LA VIA PER ARRIVARE A UNA TREGUA È STRETTISSIMA: TRUMP DEVE TROVARE UN ACCORDO CHE PERMETTA SIA A PUTIN CHE A ZELENSKY DI NON PERDERE LA FACCIA – SI PARTE DALLA CESSIONE DELLA CRIMEA ALLA RUSSIA: SAREBBE UNO SMACCO TROPPO GRANDE PER ZELENSKY, CHE HA SEMPRE DIFESO L’INTEGRITÀ TERRITORIALE UCRAINA. TRA LE IPOTESI IN CAMPO C'E' QUELLA DI ORGANIZZARE UN NUOVO REFERENDUM POPOLARE NELLE ZONE OCCUPATE PER "LEGITTIMARE" LO SCIPPO DI SOVRANITA' - MA SAREBBE UNA VITTORIA TOTALE DI PUTIN, CHE OTTERREBBE TUTTO QUEL CHE CHIEDE SENZA CONCEDERE NIENTE…