NESSUNO SI SALVA DA SOLO - LA PRODUZIONE INDUSTRIALE TEDESCA E’ RALLENTATA COME MAI DAL 2009 - LE FALLIMENTARI ITALIA E FRANCIA VALGONO 153 MILIARDI DI EXPORT CRUCCO: A COLPI DI AUSTERITY SPROFONDA ANCHE LA MERKEL
Federico Fubini per “la Repubblica”
Questa non è la Champions League, ma rivelerà pur qualcosa dello stato attuale dell’euro il rischio che il 2015 dell’Italia e del resto dell’area dipendano da un’avversaria della Juve. L’Olimpiakos è così amata in Grecia che il premier Antonis Samaras è tentato di candidare a capo dello Stato il presidente del club, Vangelis Marinakis.
Idee del genere possono farsi strada in una nazione che ha appena perso un quarto del proprio reddito: Samaras non ha i voti in parlamento per imporre un presidente a inizio 2015 e ora rischia elezioni anticipate, nelle quali Syriza di Alexis Tsipras sarebbe favorita. A sua volta, un governo di sinistra radicale promette una conferenza per ripudiare il debito greco (inclusi i 30 miliardi prestati dall’Italia). Di qui uno dei possibili choc oggi nei radar della Banca centrale europea, nella lista degli eventi capaci di rimettere a nudo la fragilità di questa tregua sui mercati.
renzi in bici con maglietta radio deejay
Altri choc minacciano di arrivare da angoli insoliti della mappa. Ieri è emerso che in agosto la produzione industriale tedesca ha registrato la caduta più brusca dal 2009, l’anno peggiore per la Germania dal dopoguerra. È la conferma di una serie di dati negativi per il Paese leader d’Europa, dove gli indici di fiducia delle imprese sono in calo già da cinque mesi. Non era imprevedibile.
Pubblico e privato insieme, l’economia tedesca oggi investe 150 miliardi in meno rispetto all’inizio del secolo. In più risultano fermi o in contrazione due Paesi che, insieme, per l’export tedesco valgono cinque volte la Russia, più del doppio della Cina e quasi il doppio degli Stati Uniti: Francia e Italia, destinazione di 153 miliardi di vendite del made in Germany solo nel 2013.
Nessun Paese in Europa è così forte da potersi isolare. «In assenza di interventi significativi i Paesi europei rischiano di avvitarsi in una spirale di stagnazione e deflazione », ha scritto Pier Carlo Padoan pochi giorni fa. Continua il ministro dell’Economia, chiaramente pensando (anche) all’Italia. «Una disoccupazione elevata e una crescita nominale piatta (inclusa inflazione zero, ndr) rendono più difficile la sostenibilità del debito.
È la prima volta che un ministro finanziario europeo si arrischia a riconoscere quanto peraltro è evidente: se si continua così, la stabilità finanziaria è di nuovo in dubbio. Anche se la spia rossa degli spread resta spenta, l’Europa ha bisogno di un compromesso i cui elementi peraltro sono già quasi tutti sul tavolo.
Soprattutto fra Germania, Francia, Italia diventa ogni giorno più urgente ricostruire una fiducia senza la quale lo scenario descritto da Padoan rischia di avverarsi. E senza compromesso, anche la Bce resterà paralizzata al momento di dare il suo contributo determinante per bloccare la spirale di cui Padoan ha tanta paura.
Gli elementi del compromesso sono quasi tutti sul tavolo, rigorosamente in ordine sparso. Il 29 ottobre la Commissione europea uscente, quella guidata da José Manuel Barroso, deciderà come reagire alle leggi di stabilità e ai piani sui conti di Francia e Italia di qui al 2017.
A Parigi si è già rassegnati all’idea che la procedura per deficit eccessivo avanzerà verso possibili multe e la manovra il 2015, che rinvia il risanamento, verrà respinta: il governo francese dovrà riscriverla, cioè aprire un negoziato basato su tagli di tasse in vigore subito compensati da tagli di spesa da approvare per legge adesso e da far scattare nei prossimi anni. Quanto all’Italia, salvo modifiche inserite nei prossimi giorni, la legge di stabilità non dovrebbe essere rimandata al mittente dalla Commissione Ue.
Anche Matteo Renzi però sa che il Paese ormai rischia molto seriamente di finire in una procedura del Fiscal Compact per l’aumento del debito o per «squilibri macroeconomici eccessivi». Con queste procedure aperte, i governi di Roma e Parigi saranno più vincolati da Bruxelles rispetto al passato, e lo saranno sempre di più.
Né Barroso e il commissario Ue Jyrki Katainen - come emerso anche nella sua audizione all’Europarlamento ieri - sono disposti a trattamenti di riguardo per i Paesi più grandi. Persino la Germania potrebbe ricevere un richiamo europeo (non però una procedura) per il surplus commerciale eccessivo, in modo da dare l’idea che la Commissione Ue resta un arbitro equanime per tutti.
Fra gli elementi sul tavolo per un compromesso europeo non c’è un aumento degli investimenti pubblici di Berlino, malgrado il deficit zero e i tassi zero dell’indebitamento che servirebbe per finanziarli. C’è invece - se davvero prenderà forma - la riforma del lavoro di Renzi.
Qui conta una disciplina meno rigida sui licenziamenti economici per i nuovi contratti permanenti, ma soprattutto l’ipotesi di far prevalere la negoziazione dei salari in azienda, come già in Spagna o in Germania: non è un caso se la cancelliera Angela Merkel ieri ha segnalato il suo interesse per l’evoluzione in Italia.
Sempre le scelte dei Paesi malati dell’area euro si stanno fissando di fatto (anche) in Europa e la contropartita sarebbe evidente. Padoan stesso l’ha accennata: acquisti massicci di titoli di Stato da parte della Bce, per contrastare la deflazione e disinnescare il rischio di un ritorno in crisi finanziaria. Ma è su questo che l’accordo resta lontanissimo, anche perché l’Italia dovrà dare alla Germania molte più garanzie sul proprio comportamento futuro. Gli elementi di un compromesso sono tutti sul tavolo: la mano per assemblarli insieme, a quanto pare, non ancora.