GIORGETTI VA A DAVOS CON IL CAPPELLO IN MANO, MA GLI INVESTITORI SCAPPANO DALL’ITALIA - IL COLOSSO DEI CHIP, INTEL, HA CONFERMATO CHE NON COSTRUIRÀ UNO STABILIMENTO NEL BELPAESE – ALLA KERMESSE IN SVIZZERA I PAESI COMUNICANO LA LORO STRATEGIA DI SVILUPPO MA QUELLA DELL’ITALIA NON SI VEDE – DAL PALCO MACRON HA RISPOLVERATO GLI EUROBOND, IL PREMIER BELGA, DE CROO, HA PARLATO DI UN GRANDE PIANO INDUSTRIALE UE E GIORGETTI, CHE DOVEVA INTERVENIRE, HA DISERTATO…
Estratto dell’articolo di Filippo Santelli per “La Repubblica”
«Tutti sono qui a Davos per attirare investimenti, l’Italia è qui per vendere il suo debito». Sintetizza così la differenza un manager finanziario europeo. Chiedendo di restare anonimo: non è escluso che un po’ di debito italiano, o qualche pezzo delle aziende di Stato, decida di comprarlo anche lui.
Perché quello che l’Italia mette in vendita in questo momento è considerato merce di qualità, si capisce al World economic forum. Gli investitori internazionali «sono molto interessati» al nostro piano di privatizzazioni, ha detto il ministro Giancarlo Giorgetti mercoledì, la giornata che ha trascorso in cima alle Alpi svizzere incontrando a porte chiuse – ma con fotografie per testimoniare e diffondere – alcuni dei nomi più noti del mondo della finanza. Jamie Dimon, numero uno di JpMorgan, Ray Dalio di Bridgewater, re dei titoli di Stato, Brian Moynihan di Bank of America, manager che con le loro scelte possono spostare miliardi. […]
GIANCARLO GIORGETTI PIERRE GRAMEGNA
Il governo vuole sfruttare questa luna di miele con i mercati per l’obiettivo più urgente, mettere soldi in cassa. Perché quest’anno il Tesoro dovrà collocare oltre 400 miliardi di euro di titoli di Stato, un ammontare record nell’era dell’euro, senza più gli acquisti di emergenza della Bce e con quelli delle famiglie che potranno compensare fino a un certo punto. E perché in vista della prossima manovra bisognerà trovare quasi 16 miliardi solo per rinnovare il taglio del cuneo fiscale e dell’Irpef.
Sarà fondamentale, perché se sui mercati oggi domina l’ottimismo, nell’economia reale molto meno. La media delle stime sulla crescita italiana è di sei decimi, la metà di quanto prevede il governo, e qui i rischi appaiono al ribasso. Il Pil dovrebbe ripartire timidamente nella seconda metà dell’anno, quando la Bce potrebbe tagliare i tassi, ma le guerre o altri choc potrebbero peggiorare il quadro.
Nel frattempo gli investimenti delle imprese sono congelati, nel momento in cui tutto il mondo sta cercando e mobilitando risorse per finanziare la transizione ecologica, quella digitale e nuove politiche industriali. Il fatto che proprio qui a Davos il colosso dei chip Intel abbia confermato che non costruirà uno stabilimento in Italia è un campanello d’allarme: sono soprattutto gli investimenti industriali delle aziende straniere, quelli che portano Pil, posti di lavoro e tecnologia, che gli altri sgomitano per attrarre. Diversi dagli investimenti finanziari che servono a puntellare i conti pubblici.
giorgetti e il superbonus come lsd meme by rolli per il giornalone la stampa
I primi hanno orizzonti più lunghi, necessità diverse. E per assicurarseli bisogna mostrare altro. Andrea Illy, presidente dell’omonima multinazionale del caffè, parla di visione. «L’Italia è stata resiliente, d’altra parte noi italiani facciamo meglio nelle crisi, e questo governo ha limitato i danni. C’è stabilità, ma dove andiamo? Qual è la nostra visione a cinque anni? Abbiamo di fronte macigni come il cambiamento climatico, il tema dell’immigrazione che diventerà sempre più centrale», dice.
Non è certo l’unico posto dove farlo, né certo il più importante, ma al World Economic Forum di Davos tanti Paesi provano proprio a comunicare dove vogliono andare, una strategia di sviluppo. E tra le tante visioni in mostra qui, più o meno convincenti, quella dell’Italia non si vede. «Dove sono gli italiani?», chiede un connazionale che lavora in una grande banca estera.
GIANCARLO GIORGETTI - VINCENT VAN PETEGHEM - CHRISTINE LAGARDE
Sono pochi: qualche azienda di Stato come Enel ed Eni, le due banche Intesa e Unicredit, una manciata di imprese industriali. Soprattutto, si muovono da soli. Altri governi a Davos fanno sistema, affittano – a caro prezzo – uno spazio “nazionale” nella Promenade per mettere la loro bandiera in vetrina, organizzano incontri con le grandi multinazionali dell’industria o del digitale, presenti in massa.
L’anno scorso il nostro governo mandò il solo ministro dell’Istruzione Valditara, disertando invece un appuntamento proprio con i manager Intel, cosa che li spiazzò non poco. Quest’anno ha fatto un passo oltre: è venuto il ministro dell’Economia, ma è rimasto meno di ventiquattrore, il tempo di illustrare il piano di privatizzazioni ai big della finanza.
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«La mia impressione è che l’Italia sia come aggrappata all’iceberg dell’Europa», aggiunge Illy. Iceberg che non si capisce bene dove vada. Al Forum se ne è parlato molto: della necessità di completare il mercato unico, tema su cui è al lavoro l’italiano Enrico Letta, e di tenere il passo nella corsa per la competitività tra Stati Uniti e Cina, argomento del dossier che sta preparando Mario Draghi.
Dal palco il presidente francese Macron ha rispolverato gli eurobond, il premier belga De Croo ha parlato della necessità di un grande piano industriale Ue finanziato con debito comune. […] Doveva intervenire anche Giorgetti, ma è ripartito in anticipo.