IN 20 ANNI 200 MILIARDI DI TASSE IN PIÙ: LA PRESSIONE FISCALE È CRESCIUTA DEL 65%, MOLTO PIÙ DELL'INFLAZIONE. L'EVASIONE FISCALE GALOPPA, SOTTRAENDO ALLE CASSE DELLO STATO 114 MILIARDI DI EURO L'ANNO DI ENTRATE SU UN GETTITO TRIBUTARIO DI 502,6 MILIARDI. IN NESSUN ALTRO PAESE D'EUROPA VIENE RICHIESTO UNO SFORZO FISCALE COME IN ITALIA
Cinzia Meoni per ''il Giornale''
L'imposizione fiscale in Italia è diventata insostenibile, con una pressione al 42,5% (dal 38,3% che era nel 1990) e in costante crescita a prescindere dal colore dei governi.
Inoltre, in questo scenario, l'evasione fiscale galoppa, sottraendo alle casse dello stato 114 miliardi di euro l'anno di entrate su un gettito tributario di 502,6 miliardi, di cui oltre la meta derivanti da Irpef (sul reddito delle persone fisiche) e dall'Iva (una tassa su beni e servizi).
Lo rileva l'Ufficio Studi della Cgia secondo cui, negli ultimi vent'anni, sono stati scaricati sulle spalle dei 41 milioni di contribuenti quasi 200 miliardi di euro in più (198 per la precisione). Un dato ancora più impressionante se lo si raffronta al costo della vita: in vent'anni l'inflazione è aumentata di circa 43 punti percentuali rispetto ai 65 punti in più registrati dalle entrate tributarie. In pratica le tasse sono cresciute del 22% in più del costo della vita.
Ma «l'oppressione» fiscale non solo è pesante, ma è anche piuttosto complessa da gestire. Sono oltre cento le voci che compongono il carico tributario degli italiani: un labirinto in cui è difficile districarsi tra addizionali, bolli, canoni, contributi, diritti, imposte, ritenute. E on mancano nemmeno le «tasse sulle tasse». L'esempio più clamoroso lo subiamo quando ci rechiamo a fare il pieno alla nostra autovettura: la base imponibile su cui si applica l'Iva è composta anche dalle accise sui carburanti.
Prima conseguenza di questa complessità è il costo della burocrazia fiscale in capo agli imprenditori (obblighi, dichiarativi, certificazione dei corrispettivi, tenuta dei registri, etc.) ammonta a circa altri tre miliardi all'anno, senza considerare le tariffe applicate dai commercialisti per la tenuta della contabilità, ma solo tenendo conto di obblighi dichiarativi, certificazione dei corrispettivi e tenuta dei registri.
Non solo: i contribuenti hanno lavorato 154 giorni, fino al 2 giugno, per pagare le tasse, 9 giorni in più rispetto alla media dell'Europa a 28. Gli irlandesi, tanto per dire, festeggiano il «tax freedom day» a soli 86 giorni dall'inizio di ogni nuovo anno. Solo la Francia presenta un numero di giorni di lavoro necessari per pagare le tasse superiore a quello italiano (21 giorni in più prima di poter tirare un respiro di sollievo). Tutti gli altri, invece, hanno potuto festeggiare la liberazione fiscale con un netto anticipo.
«In nessun altro Paese d'Europa viene richiesto uno sforzo fiscale come in Italia» sostiene Renato Mason, segretario della Cgia. In effetti il rapporto tra tasse e Pil vede l'Italia al sesto posto in Europa dopo la Francia (48,7%), la Danimarca (47,3%), il Belgio (46,5%), la Svezia (44,3%) e la Finlandia (43,3%). Un salasso che costa in media ad ogni italiano 12mila euro, tenuto conto anche dei contributi previdenziali.
A giudizio di Mason tuttavia si tratterebbe di una pressione «ingiustificata» tenuto conto delle inefficienze del Paese dai temi della giustizia «lentissimi» a un sistema logistico-infrastrutturale dai «ritardi spaventosi», spese per servizi che, almeno in teoria le tasse dovrebbero supportare.
Di fronte a questa impennata delle tasse non sorprende come l'evasione abbia raggiunto il 16,3% con punte del 24,7 in Calabria, del 23,4 in Campania e del 22,3% in Sicilia. «Dimensioni economiche preoccupati» commenta Paolo Zabeo, coordinatore dell'Ufficio studi della Cgia che riconduce il tasso di evasione al «carico impositivo smisurato».