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ATENE, È GIÀ ECONOMIA DI GUERRA - LE BANCHE SONO ANCORA CHIUSE, LA LIQUIDITÀ È QUASI FINITA E I CONSUMI SONO CROLLATI DEL 70% - PER GLI STIPENDI DEI DIPENDENTI PUBBLICI SI IPOTIZZA LA CREAZIONE DI UNA VALUTA PARALLELA, I COSIDDETTI “PAGHERÒ”
Ettore Livini e Matteo Pucciarelli per “La Repubblica”
I soldi non ci sono. La Bce non riaprirà i rubinetti fino a lunedì compreso. E Atene, obtorto collo, è stata costretta a prolungare la chiusura delle banche fino a venerdì. Il governo non aveva scelta. I bancomat continuano miracolosamente a sfornare i 60 euro di prelievo giornaliero a testa, ma le riserve di banconote sono ridotte al lumicino. La speranza è che un accordo con i creditori in zona Cesarini consenta di sbloccare i finanziamenti e di riaprire le saracinesche del credito (inevitabilmente con gradualità) dall’inizio della prossima settimana.
La crisi di liquidità ha paralizzato l’economia nazionale. I consumi sono crollati del 70%, certificano le camere di commercio. Cinque associazioni industriali (tra cui quella del turismo) hanno scritto al premier Alexis Tsipras scongiurandolo di firmare un’intesa che tenga il paese nell’euro in tempi strettissimi. Le prenotazioni di vacanze dalla Germania sono crollate del 39% dal cinque luglio. Il tam tam di queste ore sotto il Partenone parlava di una delle quattro grandi banche nazionali in forte difficoltà che rischia di saltare senza una schiarita nel fine settimana.
GRECIA - CORSA AGLI SPORTELLI BANCOMAT
Un accordo in tempi brevi è necessario anche per pagare stipendi e pensioni di questo mese. Kathimerini, uno dei più autorevoli quotidiani ellenici, ha scritto ieri che gli uffici contabili dell’esecutivo avrebbero allo studio l’ipotesi di saldarli non in contanti ma con una valuta parallela, i cosiddetti “I owe you” (Iou, “Pagherò”) destinati in quel caso ad affiancarsi alla moneta unica — previa ovvia svalutazione — come valuta in circolazione in Grecia. Il ministero delle Finanze ha seccamente smentito questa ipotesi.
Non ci vorrà molto per capire chi ha ragione: il governo dovrà pagare lunedì prossimo buste paga per 400 milioni di euro ai dipendenti pubblici. Una seconda tranche da 400 milioni dovrà essere sborsata il 27 luglio. Entro fine mese vanno trovati altri 800 milioni per gli assegni previdenziali. Una corsa ad ostacoli da brividi visto che il calendario delle uscite mensili ricorda che Atene per evitare il default dovrà restituire alla Bce 3,5 miliardi il 20 luglio ed — entro il 31 — altri 1,6 miliardi all’Fmi. Impegni impossibili da onorare se in un modo o nell’altro non si scongelerà il piano di aiuti finanziari dell’ex troika.
Il Tesoro è riuscito ieri a collocare sul mercato 1,6 miliardi di bond a sei mesi al 2,97 per cento di tasso per rinnovare un pari importo in scadenza. A comprarli tutti sono state le banche domestiche che hanno interesse a evitare incidenti di percorso che possano portare al crac fino a quando sarà vivo un lumicino di speranza per un accordo con i creditori. Altre strade per finanziarsi — Bce a parte — non ce ne sono.
Il premier intanto incontrerà oggi i partiti d’opposizione per concordare le prossime mosse in questa ultima delicatissima fase di trattative. Il vero nodo però è quello degli equilibri nel suo partito. Perché è sicuramente vero che il voto di domenica scorsa ha rafforzato Tsipras e la sua maggioranza interna, ma tutti sanno che il possibile accordo con l’Europa sarà assai doloroso.
Ci sono due dinamiche da valutare, quindi. Cioè se e come il compromesso tra Grecia e Ue passerà da Syriza. Il comitato centrale di un mese e mezzo fa aveva votato un ordine del giorno in cui si diceva che ogni decisione doveva passare dallo stesso parlamentino interno. Ma i tempi sono ristrettissimi e convocare l’assemblea composta da 201 membri può far perdere tempo prezioso, oltre ovvia- mente a rappresentare un pericolo per la tenuta della “Coalizione della sinistra radicale”. La segreteria si dovrebbe riunire domani, quando i 13 membri decideranno quale sarà il passaggio da fare.
Chi potrebbe sfilarsi, alla fine, è l’ala trozkista del partito, la Dea. Storicamente la più critica e riottosa rispetto alla svolta governista impressa negli anni scorsi da Tsipras. L’amaro calice, loro, potrebbero decidere di non berlo.
Il resto della minoranza riunita nella “Piattaforma di sinistra”, capeggiata dal ministro dell’Ambiente Panagiotis Lafazanis, seppur a malincuore, potrebbe cedere, visto appunto il successo del referendum. Anche se non manca il nervosismo: lo steso Lafazanis due giorni fa ha abbandonato un dibattito televisivo, in polemica con la conduzione considerata troppo faziosa.
«Resta il fatto che su due punti non possiamo cedere — spiega un membro del comitato centrale vicino alla maggioranza — e sono almeno la promessa di una rinegoziazione del debito e allo stesso tempo la predisposizione di un piano per lo sviluppo. Altrimenti la nostra sarà una morte solo rimandata».