SGARBI RENZIANI – DOMANI IL PREMIER VA A GIRARSI UN MEGA-SPOT ELETTORALE CON MARCHIONNE A MELFI, DOVE CI SONO DA SBANDIERARE I NUOVI ASSUNTI – DIFFICILE CHE POSSA ANDARE ANCHE A MILANO ALL’ASSEMBLEA DI CONFINDUSTRIA
Camilla Conti per il “Fatto quotidiano”
Domani Matteo Renzi visiterà lo stabilimento di Melfi “per vedere in faccia le persone che sono state assunte”. A ricevere il premier dovrebbe esserci l'amministratore delegato di Fca Sergio Marchionne. Caso vuole che lo stesso giorno si tenga a Milano, nella cornice dell’Expo, l’assemblea pubblica di Confindustria dove il premier era atteso. E che forse – a meno di non ricorrere all’uso dell’elicottero – diserterà. Vedremo.
Di certo l’assenza costituirebbe un incidente diplomatico (più o meno doloso) considerate le già complicate relazioni col vertice dell’associazione guidata da Giorgio Squinzi. Il messaggio sarebbe infatti chiaro: Renzi un alfiere degli industriali, da ostentare anche all’estero e soprattutto negli States, l’ha già trovato. E si chiama Marchionne. Il manager che ha guidato nel 2012 la Fiat fuori da viale dell’Astronomia nel suo viaggio verso i garage di Detroit (e quelli di Londra dove il gruppo automobilistico ha la sede fiscale).
RENZI MARCHIONNE ALLA FABBRICA CHRYSLER
Forse è anche per questo – fanno notare nei palazzi della Capitale - che il premier finora si è ben guardato dal mettere bocca nella battaglia per conquistare il trono di Confindustria, quando nel 2016 verrà lasciato libero da Squinzi. Battaglia che è soltanto all’inizio. Le liturgie industriali hanno infatti tempi lunghi e le manovre partono con largo anticipo. Ma c’è già il primo colpo di scena: i voti non si pesano più, si contano. Può riassumersi così l’esito dell’assemblea privata dei soci che si è riunita a Roma all’inizio del mese.
MARIO MONTI TIENE UN DISCORSO ALLO STABILIMENTO FIAT DI MELFI
Un conclave chiamato a nominare il nuovo Consiglio Generale, ovvero l'organo introdotto dalla “riforma Pesenti” che ha mandato in pensione giunta e consiglio direttivo. Adesso il parlamentino confindustriale cui spetterà l’elezione del nuovo presidente funziona così: viene eletto ogni due anni ed è composto da 178 membri. Di questi, però, solo 20 sono scelti tramite i 1.451 voti espressi dall'assemblea generale. 100 sono invece designati dalle associazioni di territorio e di settore, in rapporto alla rispettiva forza organizzativa: chi ha più aziende e dunque più contributi, si prende più seggi.
RENZI MARCHIONNE ALLA FABBRICA CHRYSLER
Assolombarda ne ha 12, seguita da Unindustria Lazio con 7 e da Torino con 5. I romani, i lombardi e i torinesi erano certi che il listone venisse vidimato in assemblea senza intoppi. Stavolta non è andata così. I milanesi capitanati da Gianfelice Rocca , in tandem con i romani guidati da Aurelio Regina, hanno compilato una lista di nomi con l’obiettivo di portarne a casa almeno 18 su 20. Alla fine ne sono passati solo 9, lasciando fuori anche i rappresentanti di big come l’Ibm o Terna.
“Che la musica fosse diversa lo si era intuito all’inizio dell’assemblea quando abbiamo visto il livello altissimo delle iscrizioni al voto: 1.354 su 1.399 aventi diritto. Qualcuno ha telefonato anche alla nonna dicendole di partecipare”, scherza un industriale veneto. E la “ribellione”a certe vecchie logiche è stata trasversale: dalle associazioni del Nord-Est, a quelle del Friuli, della Liguria, ma anche del Centro Italia con Marche e Umbria.
marco staderini aurelio regina
Il risultato è stato un schiaffo al fronte degli aspiranti successori di Squinzi, dallo stesso Rocca a Regina. Il primo - industriale attivo nell'acciaio (con Techint e Tenaris) e nella sanità (Humanitas) - scalpita da mesi (vedi la presentazione del suo libro pubblicato da Marsilio dal titolo “Riaccendere i motori”, quasi un manifesto elettorale), e pare sia apprezzato da Yoram Gutgeld, consigliere economico di Renzi e riferimento del premier all'interno di Confindustriale.
Ma la sua candidatura non sarebbe molto gradita in famiglia. Quanto a Regina, gran tessitore di relazioni, sponsorizzato da Luigi Abete, è stato protagonista a maggio dell’anno scorso di una rumorosa rottura con Squinzi: l’ex numero uno degli industriali del Lazio era vicepresidente e aveva in mano due deleghe pesanti, quelle per lo sviluppo e per l’energia, assunte poi dallo stesso Squinzi.
Ancora è presto per capire chi prenderà il timone di Confindustria il prossimo anno. Nei mesi scorsi erano circolate voci su problemi di salute di Squinzi accompagnate dall’ipotesi di un abbandono prima della scadenza, una volta inaugurato l’Expo. A prenderne il posto – erano i rumors - sarebbe stata provvisoriamente la sua vice Antonella Mansi. Con l’obiettivo di Squinzi, quando scatterà il rinnovo, di confermarla al vertice. La diretta interessata ha sempre smentito e il presidente è ancora in sella.
Quanto al suo successore per ora si può solo affermare con certezza che tutti inizialmente si possono candidare, toccherà poi ai saggi sondare le strutture e portare al voto finale del Consiglio generale solo quei nomi che avranno raccolto in giro per l’Italia il maggior numero di consensi. Nel frattempo, i rapporti di forza sono mutati e le truppe si stanno posizionando. Anche a Firenze – feudo renziano – nelle scorse settimane si è registrata una spaccatura tra “piccoli” e “grandi”, tra l'establishment che finora ha guidato l'associazione e chi vuole innovare.
A rimanere fuori dai giochi è stato Franco Baccani , presidente della sezione pelletteria di via Valfonda, anche lui in lista con i big. Non solo. A sorpresa, fuori anche il rappresentante di General Electric, l'ad Sandro De Poli. Entrambi candidati condivisi con Milano e Roma. Nei 100 del Consiglio generale di Confindustria è finita anche la presidente dell’Unione Industriale di Torino, Licia Mattioli, ma l’ingresso è stato tutt’altro che trionfale perché “blindato” dalla cooptazione che assicura la stragrande maggioranza dei seggi al “sistema”. In realtà, il peso dell’organizzazione torinese ne esce alleggerito, complice l’uscita di Fiat e di numerose aziende dell’automotive. Anche i sabaudi devono rassegnarsi alle nuove liturgie perché l’Avvocato non c’è più e oggi i voti non si pesano, ma si contano.