1- TRE MILITARI ITALIANI MORTI IN UN INCIDENTE IN AFGHANISTAN, DUE MARO’ DEL ‘’SAN MARCO’’ ARRESTATI IN INDIA RISCHIANO LA PENA DI MORTE PER LA MORTE DI DUE INDIANI: TERMINATO LO SCIOCCHEZZAIO SANREMINO CON MESSIA CANTERINO, TORNA IL PAESE REALE 2- IL MISTERO DELL’OCEANO INDIANO: PERCHÉ, NONOSTANTE GLI ITALIANI ABBIANO COMUNICATO DI ESSERE IN ACQUE INTERNAZIONALI, SONO POI ENTRATI NELL'AREA CONTROLLATA DAGLI INDIANI COSÌ CONSENTENDO IL FERMO DEI DUE MARÒ? E LO HANNO FATTO DOPO IL PARERE CONTRARIO ESPRESSO DALLA MARINA MILITARE DI NON ASSECONDARE LE RICHIESTE DELLE AUTORITÀ LOCALI E DI NON FAR SCENDERE A TERRA I MILITARI. LA PROCEDURA PREVEDE CHE LE DECISIONI A BORDO SIANO PRESE DAL COMANDANTE D'ACCORDO CON LA COMPAGNIA, MA GENERALMENTE IN SITUAZIONI DI EMERGENZA CI SI MUOVE IN ACCORDO CON LE AUTORITÀ MILITARI E CON IL GOVERNO ITALIANO

1- TRE MILITARI ITALIANI MORTI IN UN INCIDENTE IN AFGHANISTAN - UN BLINDATO SI RIBALTA NELL'ATTRAVERSARE UN FIUME
Ansa.it

Tre militari italiani in Afghanistan sono morti in seguito ad un incidente stradale avvenuto nei pressi della localita' Shindand. Lo si apprende da fonti della difesa. I fatti, riferiscono al comando del contingente italiano, si sono verificati questa mattina a circa 20 Km a sud-ovest di Shindand, dove un Lince è rimasto coinvolto in un incidente. Il mezzo appartenente alla Task Force Center con base a Shindand, era impegnato in un'attività "tesa a recuperare una unità bloccata dalle condizioni meteo particolarmente avverse, quando nell'attraversare un corso d'acqua, si è ribaltato intrappolando, al suo interno, tre dei militari dell'equipaggio che sono successivamente deceduti". Sono in corso "tutte le attività possibili per informare le famiglie dei militari".

2- LE RAFFICHE, GLI ORARI, LA ROTTA - I PUNTI OSCURI DELLA VICENDA
Fiorenza Sarzanini per il Corriere della Sera

La terza raffica di avvertimento «è stata sparata in acqua, a prua del peschereccio che non è stato colpito, tanto che ha invertito la rotta e si è allontanato». Così, nella relazione trasmessa due giorni fa ai carabinieri del Ros e alla Procura di Roma, Massimiliano Latorre ricostruisce i momenti cruciali del conflitto a fuoco avvenuto al largo delle coste indiane, relazione che indica gli autori della sparatoria. E nega che l'azione abbia potuto provocare feriti, tanto meno vittime.

Era lui il capo del «nucleo di protezione» imbarcato sulla petroliera Enrica Lexie per contrastare gli atti di pirateria. E proprio lui - adesso accusato insieme con Salvatore Girone dell'omicidio di due pescatori che erano a bordo del St. Antony - firma il rapporto con foto allegate, che servirà al pubblico ministero Francesco Scavo Lombardo a verificare quanto accaduto.

Nel fascicolo sono contenute le testimonianze degli altri cinque soldati presenti a bordo e le conclusioni del responsabile del team. Sono ancora numerosi i dubbi che avvolgono la vicenda, le incongruenze tra la versione fornita dai militari italiani e quella delle autorità di New Delhi. E ruotano attorno a tre misteri: l'orario dell'azione, il luogo esatto dove è avvenuta, l'imbarcazione che ha attaccato la petroliera.

Ma c'è pure un altro interrogativo: perché, nonostante gli italiani abbiano comunicato di essere in acque internazionali, sono poi entrati nell'area controllata dagli indiani così consentendo il fermo dei due marò. E lo hanno fatto dopo il parere contrario espresso dalla Marina Militare.

GLI ORARI DIVERSI
Secondo il report trasmesso a Roma l'allarme scatta alle 11.30 del 15 febbraio mentre la Enrica Lexie si trova a «33 miglia dalla costa sudovest dell'India». La posizione della nave è confermata dai dati forniti dal satellite, attivato da chi era a bordo ma viene contestato dalle autorità locali.

Anche gli orari non coincidono, visto che la polizia indiana colloca gli spari almeno due ore dopo. E questo ha fatto nascere l'ipotesi che i due pescatori siano stati uccisi in un diverso conflitto, anche tenendo conto che quella stessa sera risulta avvenuto un altro attacco di pirateria in un tratto di mare poco distante.

Alla relazione Latorre allega tre fotografie che dovrebbero servire a dimostrare proprio questa divergenza: il peschereccio sarebbe infatti diverso dal St. Antony dei marittimi uccisi. Le immagini risultano però sfuocate, poco chiare e dunque non possono bastare a chiarire il dubbio. Né a confermare il fatto - sottolineato dal marò - che a bordo di quel natante non ci fossero pescatori, ma cinque uomini armati.

LE TRE RAFFICHE
Per cercare di accertare la verità si torna dunque ai momenti dell'avvicinamento. Secondo quanto riferisce il rapporto «è il radar a segnalare la barca che viaggia in rotta di collisione e i militari presenti a bordo si dispongono per reagire. Vengono messe in atto le procedure previste in questi casi.

Quando il natante è a 500 metri di distanza vengono sparati i primi «warning shots», ripetuti quando si trova a 300 metri e infine a cento». Latorre specifica che gli ultimi vengono rivolti verso lo specchio d'acqua «senza colpire l'imbarcazione». Completamente diversa la ricostruzione fatta dalle autorità indiane secondo le quali «sul peschereccio ci sono i segni di 16 proiettili, mentre quattro sono andati a segno e hanno ucciso i due marittimi». Una tesi ritenuta incredibile dalle autorità diplomatiche e investigative italiane perché significherebbe che tutti i colpi a disposizione sono stati sparati ad altezza d'uomo.

L'ORDINE NON RISPETTATO
In queste ore la magistratura sta valutando l'ipotesi di inviare una squadra investigativa in India, che lavori in stretto contatto con la diplomazia italiana. Le indagini sono affidate al colonnello del Ros Massimiliano Macilenti che sta già acquisendo la documentazione presso i comandi militari e presso la società armatrice anche per verificare se siano stati loro a decidere di far entrare nel porto di Kochi la Enrica Lexie .

La Marina aveva espresso parere contrario, così come aveva raccomandato di non far scendere a terra i militari. E invece si è deciso di assecondare le richieste indiane. La procedura prevede che le decisioni a bordo siano prese dal comandante d'accordo con la Compagnia, ma generalmente in situazioni di emergenza ci si muove in accordo con le autorità militari e con il governo italiano.

Adesso bisognerà dunque verificare se davvero sia stato l'armatore a ordinare di abbandonare le acque internazionali e con chi sia stata condotta la trattativa. Un negoziato che, al momento, si è concluso nel peggiore dei modi.

3- QUEL TRIANGOLO DI MARE A ORIENTE DOVE SI PERDONO LE NAVI - OLTRE ALLA NATO, CI SONO RUSSI, CINESI, IRANIANI, SUDCOREANI, INDIANI. TRA LE GANG UNA VOCE: ATTENTI AI RUSSI
Guido Olimpio per il Corriere della Sera

I mari caldi compresi tra l'India e la Somalia sono come un «Triangolo delle Bermude» orientale. Si può morire per una raffica di mitragliatrice, spazzati via da una tempesta o sparire in un giorni di calma piatta. Troppe le insidie. La più immediata e diretta è quella dei pirati somali. Una minaccia cronica diventata più aggressiva che ha portato alla presenza costante di una flottiglia internazionale.

Oltre alla Nato, ci sono unità russe, cinesi, iraniane, sudcoreane e indiane. Ognuno ha le sue regole di ingaggio e i propri sistemi. Non sempre ortodossi. Proprio un'unità inviata dall'India è stata protagonista, nel novembre 2008, di un caso controverso. La fregata «Tabar» ha preso a cannonate il peschereccio thailandese «Ekawat Nava 5» che era finito in mano ai pirati somali.

Quindici marinai sono morti e l'unico superstite è stato recuperato dopo giorni al largo dello Yemen. Per gli indiani si è trattato di un atto di legittima difesa mentre per i thailandesi di un tragico errore. Incidenti provocati anche dalla tattica dei predoni che usano un buon numero di mercantili catturati come navi madre, con gli equipaggi trasformati in scudi umani.

Alle aggressioni si replica in ordine sparso e non mancano risposte sbrigative. Tra le gang si è sparsa la voce di stare attenti ai russi. In un paio di casi, i pirati catturati dalle unità inviate da Mosca, sono andati incontro a un destino ignoto. Invece che finire ammanettati sotto coperta, i banditi sono stati messi su un canotto e abbandonati alla loro sorte. Scene da film d'avventura, ma terribilmente vere. Altri pirati, dopo essere stati sopraffatti da combattivi equipaggi asiatici che hanno usato armi di fortuna, sono stati «buttati ai pesci».

Reazioni estreme nei confronti di briganti diventati sempre più crudeli. Con lunghi periodi di prigionia segnati dalle torture. Di recente il capitano di una nave thailandese ha subito l'amputazione della mano come forma di pressione sull'armatore. Violenze di gang furiose per le buone difese adottate sui mercantili e ostacolate dall'attività di interdizione della flottiglia internazionale.

Nel 2011, infatti, il numero degli assalti conclusi con la cattura del vascello è sceso verticalmente. Ed è cresciuto il numero dei predoni uccisi o catturati. Ogni tanto dai villaggi somali arrivano notizie - difficili da verificare - sulla scomparsa di interi team di attacco. Famoso un episodio nell'ottobre del 2009 quando gli «anziani» di una località somala hanno denunciato la sparizione di 30 uomini partiti in caccia con i barchini.

Due le ipotesi. Fatti fuori oppure traditi dal monsone, altro nemico insidioso per chi si avventura a queste latitudini. I pirati lo sanno e infatti riducono le sortite. Ma ora la stagione cattiva è appena finita e loro sono tornati al loro safari marino.

 

MASSIMILIANO LATORRE MASSIMILIANO LATORRE INDIA MASSIMILIANO LATORRE E SALVATORE GIRONE MASSIMILIANO LATORRE INDIA MASSIMILIANO LATORRE E SALVATORE GIRONE INDIA MASSIMILIANO LATORRE E SALVATORE GIRONE MASSIMILIANO LATORRE

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