GRASSO CHE COLA SU DON VERZÉ - TUTTI SAPEVANO DEGLI INTRALLAZZI AL SAN RAFFAELE E NESSUNO HA MAI DETTO NIENTE (CORRIERE COMPRESO) - REPLICA FURIOSA DELLA PASIONARIA DE MONTICELLI (PROF. DELL’UNIVERSITÀ DEL SAN RAFFAELE): “NON CONOSCE I FATTI. DI QUESTA ACCUSA DI MAFIOSITA’ GLI CHIEDO RAGIONE” - CONTROREPLICA DI GRASSO: “SIAMO TUTTI COLPEVOLI, MA CONOSCO PROFESSORI CHE, CHIAMATI ANNI FA DA DON VERZÉ, HANNO GENTILMENTE DECLINATO L’INVITO” - CHE NE DICE IL PROF. CACCIARI,A LIBRA PAGA DI DON VERZE’ COME LA DE MONTICELLI?...

1 - IL MISTERO DEL SAN RAFFAELE AVVOLTO NEI TROPPI «SI SAPEVA»
Aldo Grasso per il "Corriere della Sera"

«Ma si sapeva». Ogni volta che cerco di commentare con qualcuno le sconcertanti rivelazioni sul caso don Verzé ricevo sempre la stessa risposta: «Ma si sapeva». Dunque, dagli anni 80 si sapeva che il San Raffaele era pesantemente indebitato. Si sapeva che i vertici dell'ospedale ricevevano dai fornitori, in contante, una mazzetta compresa tra il 3 e il 5% che il prete imponeva come condizione per lavorare. Si sapeva che Cal, quel Mario Cal morto suicida e secondo gli inquirenti il vero dominus dell'associazione a delinquere, «non faceva nulla di importante che Verzé ignorasse».

Si sapeva che c'era un losco traffico con il Brasile (da un'inchiesta di Report si è appreso anche che alcuni dirigenti del San Raffaele vi «andavano a ragazzine»). Si sapeva delle spese faraoniche di don Verzé, dal jet privato alla costosissima cupola su cui è issato l'arcangelo Raffaele, dagli hotel di lusso alle numerose ville. Pare si sapesse tutto. Già, ma chi sapeva? Probabilmente Silvio Berlusconi, grande amico e protettore di don Verzé. Probabilmente la Regione Lombardia, che ha sempre ritenuto il San Raffaele l'ospedale di punta «dell'eccellente sanità lombarda» e non ha mai avuto problemi nel concedere importanti finanziamenti per la ricerca e per le cure assistenziali.

Probabilmente Nichi Vendola che nel 2010 (l'altro ieri) ha sottoscritto un accordo con don Verzé per la nascita in Puglia della Fondazione San Raffaele del Mediterraneo. Certamente le banche che hanno coperto il buco economico stimato dalla società di consulenza Deloitte intorno ai 1.476 miliardi. Forse anche la Curia qualcosa sapeva, visto che nel 1973 l'allora cardinale Giovanni Colombo sospese don Verzé a divinis. Forse anche i professori dell'università Vita Salute San Raffaele.

Forse anche la Lega: il San Raffaele non si trova nella fiabesca e incontaminata Padania? Tutti sapevano, tutti erano a conoscenza dei traffici del prete maneggione. Hanno taciuto. Magari perché la Fondazione Monte Tabor non ha l'obbligo di pubblicazione dei bilanci.

Magari perché il San Raffaele è comunque un ottimo ospedale, pieno di ottimi medici. Magari per convenienza. Abbiamo taciuto perché la missione giustifica i mezzi. Crediamo così di avere la coscienza pulita per il solo fatto di non averla usata.

2 - I PROFESSORI DEL SAN RAFFAELE
Lettera di Roberta De Monticelli al "Corriere della Sera"

Sulla prima pagina del Corriere di ieri, Aldo Grasso insinua nei confronti dei professori dell'Università San Raffaele un'accusa di omertà. «Forse» anche loro «sapevano». Sapevano cosa? Che i vertici dell'ospedale ricevevano mazzette dai fornitori come condizione per lavorare? Che c'era un «losco traffico con il Brasile»? Che la Fondazione, cioè l'Ospedale, foraggiava i politici per averne in cambio finanziamenti ingiustificabili?

Questa accusa di mafiosità si spinge fino a far parlare in prima persona plurale il collettivo indifferenziato di questi mafiosi e omertosi: «Abbiamo taciuto perché la missione giustifica i mezzi. Crediamo così di avere la coscienza pulita per il solo fatto di non averla usata».

Poiché la responsabilità morale e penale è personale, ne segue che Aldo Grasso mi sta accusando in prima pagina, non solo di aver «taciuto» (?), ma anche di avere così giustificato questo supposto silenzio. Ebbene, di questa accusa gli chiedo ragione di fronte a tutti i lettori del Corriere, e gli chiedo di rispondermi a viso altrettanto aperto: e come a me, di rispondere a tutte le persone che in questa Università ricercano e insegnano, e alle quali la verità e il rigore stanno a cuore non meno nella loro disciplina che in materia morale e civile.

Aldo Grasso del resto non sembra molto informato sulla separazione amministrativa di Università e Fondazione, e neppure sull'assoluta e dimostrabile estraneità a qualunque origine delittuosa dei fondi per la ricerca, che sono vinti in competizioni nazionali e internazionali. Né sembra informato sulla circostanza che dal giorno dopo il suicidio di Cal è in corso nell'Università una riflessione i cui risultati sono pubblici, consegnati ai verbali dei consigli tenuti dalle tre facoltà, in uno dei quali si avanza nei confronti del Rettore don Verzé una motivata richiesta di dimissioni.

Chiariti questi punti preliminari, vorrei affermare con la stessa chiarezza e decisione che, qualora alla volontà di rinnovamento della sua direzione, che l'Università ha già espresso nelle sue riunioni plenarie, non seguissero, nei tempi richiesti dalle procedure secondo le regole vigenti, azioni e fatti corrispondenti, allora il giudizio della società civile sulla nostra Università avrà la ragion d'essere che l'insinuazione di Aldo Grasso ancora non ha.

Perché una cosa è disconoscere che al Fondatore di questa Università dobbiamo alcuni valori e principi ispiratori del nostro lavoro: questa sarebbe soltanto viltà. Tutt'altra cosa è rifiutare ogni e qualunque gesto di sottomissione a una dirigenza che ha rischiato di infangare l'onore e la vita di tutti noi.

Risposta di Aldo Grasso
Francamente, la reazione di Roberta De Monticelli mi pare del tutto sproporzionata. Nessuno l'accusa di omertà o di mafiosità. La prima persona plurale con cui chiudo il pezzo non è una generica chiamata a correo del «collettivo indifferenziato»; più semplicemente mi ci metto anch'io in quella zona grigia che ha permesso a don Verzé e ai suoi dirigenti di comportarsi come si sono comportati. E comunque, per rispondere a viso aperto, come chiede, vorrei solo dirle: conosco professori che, chiamati anni fa da don Verzé o da qualche suo adepto, hanno gentilmente declinato l'invito.

 

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