UN JEB AL MENTO PER JEB - IL CANDIDATO PER LA NOMINATION REPUBBLICANA VIENE UCCELLATO DALLE DOMANDE SULLA GUERRA IRAQ DEL 2003 VOLUTA DAL FRATELLO GEORGE - LUI E’ COSTRETTO A RIPUDIARLA (“FU UN ERRORE”) MA LE SUE QUOTAZIONI SONO IN CALO
Federico Rampini per “la Repubblica”
La maledizione del cognome ha colpito, e forse affondato, Jeb Bush. Dopo Hillary Clinton, anche l’altro candidato “dinastico” alla Casa Bianca si trova invischiato in un passato indelebile, ingombrante, imbarazzante. In questo caso è la guerra in Iraq, l’invasione del 2003 voluta da George W. Bush sulla base di una clamorosa bugia: le presunte “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein. Un falso storico, presentato con solennità all’Onu da Colin Powell allora segretario di Stato; una montatura che fu poi smascherata.
marco rubio con jeb bush e mitt romney
Per Jeb la trappola scatta sotto forma di fuoco amico. Quando meno se l’aspetta, il candidato per la nomination repubblicana subisce l’agguato proprio ad opera della Fox News, la rete televisiva di destra posseduta da Rupert Murdoch. La brillante e aggressiva anchorwoman Megyn Kelly inchioda Jeb con la domanda tranello: «Sapendo ciò che sappiamo oggi, lei avrebbe ugualmente ordinato l’invasione dell’Iraq nel 2003?».
Bush s’impappina clamorosamente, scivola su un quesito che era prevedibile e sul quale si presumeva fosse preparato. Risponde in modo obliquo, come se non avesse capito la domanda: «Sì, lo avrei fatto, così come lo fecero Hillary Clinton e quasi tutti gli altri sulla base dell’intelligence disponibile». Insomma tenta di tirare la palla in calcio d’angolo, ricordando ai telespettatori che la Clinton all’epoca votò in favore della guerra.
Ma il sotterfugio non funziona. Intanto perché la Clinton su quel voto si giocò la nomination democratica del 2008, che andò a Barack Obama soprattutto per via del voto pacifista (Obama era stato contrario fin dall’inizio all’invasione dell’Iraq). E poi da allora Hillary ha fatto ampiamente autocritica. Ma è possibile che Jeb non abbia capito la domanda? La Kelly lo ha invitato a rispondere «sulla base di ciò che sappiamo oggi», cioè al netto delle bugie del fratello George.
La gaffe insegue Jeb per cinque interminabili giornate. Tutti lo assalgono, infieriscono su quell’autogol. È ancora un giornalista di destra, Sean Hannity, che lo costringe a ritornare su quella risposta. Jeb ci riprova, si corregge senza correggersi veramente: «Non so quale sarebbe stata la decisione. È tutto ipotetico. Furono fatti degli errori, come capita sempre nella vita, e nella politica estera».
george bush senior con i figli george w e jeb jpeg
Non c’è neppure bisogno di un assalto democratico, ci pensano gli altri candidati repubblicani ad avventarsi su Jeb per capitalizzare il suo infortunio. Il più netto è Rand Paul, da sempre un isolazionista: «La guerra fu un errore e io lo pensai subito». Ted Cruz, beniamino del Tea Party: «Tutto il teorema della guerra in Iraq era basato sulle armi di distruzioni di massa e il pericolo che venissero usate. Perciò sulla base di quel che so oggi naturalmente la risposta è no, non andava invaso».
Al termine di una settimana di attacchi concentrici, Jeb ha tentato di mettere fine al suo calvario. Con l’ennesima rimasticazione: «No, non sarei an- dato a invadere l’Iraq. Però il mondo oggi è più sicuro per effetto di quella guerra ». Un altro pasticcio, il tentativo di difendere l’operato del fratello, pur ammettendo che la giustificazione della guerra non regge.
usa03 george jeb bush balano signore
Il disastro oggi fa precipitare le quotazioni di Jeb. Come non bastassero le auto- contraddizioni multiple, davanti a giornalisti “amici”, in un evento pubblico una studentessa lo contesta accusando suo fratello di avere creato le premesse per la nascita dello Stato islamico. Un video che diventa immediatamente virale e costringe il terzo dei Bush a fare marcia indietro sull’invasione irachena. E’ un duro colpo per quell’immagine che Jeb aveva curato di se stesso: il politico moderato, saggio, pragmatico, pieno di esperienza.
L’ex governatore della Florida pensava di essere l’uomo giusto per riportare il partito repubblicano nell’alveo della tradizione centrista di suo padre, con aperture a sinistra su temi come l’immigrazione. I grandi tesorieri dell’establishment conservatore, i capitalisti generosi di donazioni, gli avevano staccato assegni con tanti zeri. Nella corsa alla raccolta di fondi, così importante in vista del 2016, lui era partito in testa infliggendo ampi distacchi a tutti gli inseguitori. Ora anche l’establishment ci ripensa, ha il sospetto di avere sbagliato giudizi.
Altro che il padre, è il fantasma del fratello che non vuole mollare Jeb. Eppure quest’ultimo aveva detto, proprio a una cena di raccolta fondi: “I am my own man”, sono l’uomo di me stesso, insomma sono indipendente e autonomo. Era stato un tentativo di troncare il dibattito su George W., sulle guerre, su un presidente che dal 2001 al 2008 seppe coagulare l’odio della sinistra insieme con il disprezzo della destra radicale: il Tea Party nacque anche come reazione al salvataggio di Wall Street voluto da George W. e dal suo segretario al Tesoro Hank Paulson, un conto da 700 miliardi per il contribuente.
“I am my own man”, Jeb lo ha detto soprattutto per smarcarsi dalla politica estera di suo fratello. Poi però si è circondato degli stessi neoconservatori, tra cui Paul Wolfowitz, come consiglieri strategici. Sul ruolo della Fox News ora fioccano teorie del complotto. Si ricorda il precedente di Mitt Romney: Murdoch si convinse che era il cavallo sbagliato, ma troppo tardi. Ora forse ha voluto eliminare il ronzino prima ancora che scendesse in pista.
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