L’IMBUTO LIBICO - SONO 700 MILA I MIGRANTI BLOCCATI NEL PAESE. LA GUARDIA COSTIERA DI TRIPOLI HA BLOCCATO IN MARE 14.500 PERSONE IN TRE MESI E LI HA RIPORTATI INDIETRO - UNA VOLTA SULLA RIVA VENGONO CHIUSI IN CAMPI PERMANENTI - PRIMA DI ARRIVARE SULLE COSTE AVEVANO ATTRAVERSANO MILLE CHILOMETRI DI DESERTO
Lorenzo Cremonesi per il Corriere della Sera
Un gigantesco imbuto: questo sta diventando la Libia per i migranti in arrivo dall’Africa. Lo confermano i numeri sempre più risicati degli sbarchi in Italia, ne parlano le autorità di Tripoli, i media locali, i responsabili della guardia costiera che fa capo al governo di Fayez Sarraj. Ora imperativo è cercare di capire cosa avverrà dei respinti e di chi invece non riesce a partire.
Tra loro chi è stato catturato e riportato sulla costa con le motovedette, comprese le quattro consegnate dall’Italia in giugno alla Guardia costiera libica. «Sono oltre 14.500 in tre mesi. Li abbiamo presi durante i nostri pattugliamenti notturni entro le dodici miglia delle acque territoriali. La grande maggioranza al largo dei porti di Sabratha, Zawia e Zuwara», spiega Massud Abdel Samat, ufficiale chiave tra gli operativi dei guardia coste di Tripoli. «Noi li prendiamo. Li consegniamo alla polizia che dalle spiagge li porta in una decina di campi di transito per il riconoscimento, poi vengono trasferiti in campi permanenti», precisa.
A loro si aggiungono le decine di migliaia in attesa da mesi a ridosso delle spiagge della Libia occidentale nel tentativo di racimolare circa 1.000 euro a testa necessari a pagare gli scafisti. E qui sta la grande incognita: quanti sono veramente? «La cifra esatta resta un rebus», dicono al ministero degli Interni.
Un mese e mezzo fa all’ufficio stampa di Tripoli che si occupa della gestione dei campi profughi ci avevano dato alcuni dati parziali per una decina di siti che si aggirava sulle 100 mila persone, per lo più uomini giovani provenienti da Ciad, Sudan, Niger, Nigeria, Mali, Eritrea. Ma il dato è incompleto. Per esempio non comprende la zona di Misurata e neppure Garabulli.
Anche il quadro della regione di Sabratha, vero cuore pulsante del traffico e delle grandi bande criminali, resta complicato. Ci sono inoltre le lunghe colonne di disperati in marcia dai confini meridionali. Circa 1.000 chilometri di deserto che vengono percorsi in periodi che variano in media dalle tre settimane al mese. I servizi d’informazione e i circoli diplomatici occidentali due mesi fa parlavano di «circa un milione di migranti» presenti nel Paese. Adesso pare che la cifra sia scesa a 6-700 mila. Alcuni cercano di tornare ai luoghi di origine. Ma sono pochissimi. La grande maggioranza è bloccata.
La novità rilevante sono però gli accordi e le intese raggiunte negli ultimi mesi tra il governo italiano, con il ruolo centrale del ministro degli Interni Marco Minniti, e quattordici tra sindaci e leader locali distribuiti lungo le rotte migratorie in Libia. Gli ultimi colloqui diretti a Roma e Tripoli hanno visto personaggi influenti quali i sindaci di Sabratha, Zuwara, Bani Walid, Sebha, Ghat. Si tratta di località fondamentali, sia sulla costa ma soprattutto nel cuore del deserto del Fezzan, dove lo stesso governo di Tripoli ha pochissima, se non nessuna, influenza.
«Il fatto nuovo è che sulla costa arriva molta meno gente. Il deterrente funziona. E’ un grande successo: la Libia non è più appetibile come trampolino di partenza per l’Italia. Stiamo rilevando che la migrazione viene ora fermata già nel deserto. Il lavoro dunque si fa per mare. Ma anche tanto su terra», ci dice ancora Abdel Samat.
Nell’entroterra e sulle spiagge nuove unità armate (la stampa parla per esempio della «Brigata 48» a Sabratha) oggi danno la caccia ai barconi pronti a partire. Una situazione che ha come conseguenza diretta la diminuzione degli scontri a fuoco tra scafisti e motovedette libiche. L’ultimo pare sia avvenuto al largo di Sabratha ai primi di luglio. Oggi tuttavia la marina di Tripoli chiede ancora all’Italia mitragliatrici pesanti modello Breda da montare sulle motovedette. Una richiesta che però contraddice le risoluzioni Onu che vietano di inviare armi in Libia.