L’ITALIA DEI BARATTOLETTI - LA STRUTTURA CHE DOVREBBE DIGITALIZZARE LA BUROCRAZIA NON HA NEANCHE IL SUO SITO INTERNET!

Stefano Sansonetti per La Notizia

Su internet c'è ancora l'indirizzo del Cnipa. Si tratta del Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione, che però è stato cassato nel lontano 2009. Che è rimasto a fare on line in questi anni? Semplice, per reindirizzare gli utenti verso la pagina web di DigitPa, ente nato qualche anno fa proprio sulle ceneri del Cnipa. L'iniziativa venne presa dall'allora ministro della pubblica amministrazione Renato Brunetta.

Peccato che l'anno scorso anche DigiPa sia stato cancellato, per far posto all'Agenzia per l'Italia digitale, lanciata con grandi annunci dall'ex presidente del consiglio, Mario Monti, e dall'ex ministro per lo sviluppo economico, Corrado Passera, per portare il Belpaese nella nuova era digitale. Si dà però il caso che a un anno di distanza dalla sua nascita l'Agenzia non abbia ancora un sito internet tutto suo. Eh sì, perché se si cerca on line l'indirizzo della struttura, si finisce ancora su DigitPa. Che in teoria non c'è più.

Ecco, basterebbe questo a spiegare a che punto sono i programmi per diffondere la digitalizzazione all'interno dei nostri uffici pubblici. E colmare in questo modo quel digital divide amministrativo che si aggiunge a quello più generale del paese.

Un anno di fallimenti
Fosse soltanto il sito, saremmo a cavallo. Il problema dell'Agenzia è che non ha ancora nemmeno uno statuto. O meglio, il documento era arrivato, qualche tempo fa, ma non andava bene in nessuna parte. "E' stato depositato per errore", ha addirittura detto qualche giorno fa in parlamento il nuovo ministro per lo sviluppo economico, Flavio Zanonato.

Il problema, in realtà, è di chi comanda sulla struttura. Il punto è che il governo Monti aveva pensato di distribuirne la governance tra lo stesso dicastero dello sviluppo, quello dell'istruzione e quello della pubblica amministrazione. La conclusione? Troppi galli nel pollaio e la necessità di innestare una precipitosa retromarcia. Il primo statuto è diventato così carta straccia e ora si è in attesa del nuovo.

Zanonato, rispondendo ad alcune interrogazioni in parlamento, ha fatto capire che l'opzione migliore è quella di riferire l'Agenzia alle competenze di un solo ministero. Nel frattempo, però, è passato un anno e molto poco è stato fatto. Il direttore generale della struttura, individuato l'anno scorso, è Agostino Ragosa, ex responsabile Ict di Poste italiane ed ex top manager di Telecom Italia, che a quanto si apprende in questa fase riesce a fare poco o niente. La questione è sicuramente all'attenzione del premier, Enrico Letta

Una montagna di appalti
Eppure in gioco, come ha ricordato La Notizia, ci sarebbe un pacchetto di appalti da 3,5 miliardi di euro per il cosiddetto Spc, ovvero il Sistema pubblico di connettività, in pratica la rete che collega tutte le pubbliche amministrazioni italiane consentendo loro di condividere e scambiare dati. Ora, l'annuncio di questo pacchetto di appalti risale a metà dicembre del 2012.

Ed è solo di ieri la notizia che è stata attivata la procedura della prima gara, quella che riguarda servizi come il trasporto dati in protocollo Ip, sicurezza, comunicazione, calcolo e memorizzazione in ambito cloud. L'annuncio è arrivato dalla Consip, la centrale acquisti del ministero del Tesoro che agisce in coordinamento proprio con l'Agenzia di Ragosa. Peccato che ci siano voluti 5 mesi dalla presentazione per far partire una prima parte del complesso meccanismo.

Che si siano accumulati forti ritardi è anche confermato dal fatto che nei giorni scorsi sempre Consip e Agenzia Digitale, nel fissare la road map delle prossime gare, hanno spiegato che i precedenti contratti saranno prorogati, per un massimo di 24 mesi, fino all'assegnazione delle commesse in via di preparazione.
E chi sono i titolari dei contratti in corso? Facile, tutti i più grossi big delle telecomunicazioni e dell'informatica: Fastweb, HewlettPackard, British Telecom, Wind e Telecom Italia. Gli stessi che, c'è da giurarci, si ripresenteranno ai blocchi di partenza per mettere le mani sui ricchi appalti da 3,5 miliardi di euro. Ritardi permettendo.

 

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