L’ITALIA INTERA APPESA AL “CONGRESSO” DEL PD

1 - IL PD TEME IL FLOP, RISCHIO IMPLOSIONE
Carlo Bertini per "la Stampa"

«Pierluigi non andrà mai in Direzione a chiedere che il Pd mischi i suoi voti con quelli del Pdl in un qualsiasi governo, questo film non verrà mai proiettato su nessuno schermo», garantisce uno dei consiglieri più fidati del leader.

Il momento è grave, «le prossime 48 ore saranno cruciali», racconta uno dei segretari regionali di rito bersaniano che insieme ad una cinquantina di fedelissimi del leader, parlamentari e non, è stato convocato ieri mattina presto da Davide Zoggia in una saletta nei pressi della stazione Termini per un summit di corrente, mirato più che altro a serrare le fila intorno a Bersani. Il quale proprio nel momento clou risulta per paradosso sempre più isolato nel suo partito.

Perché in caso di fallimento del piano A, «se Bersani venisse mai a chiederci di non dare i voti del Pd ad un eventuale "governo del Presidente" il partito si spaccherebbe certo», prevede Paolo Gentiloni. E non solo: se l'unica subordinata del segretario fosse quella di un approdo verso le urne - «piuttosto che governare col Pdl meglio il voto», dicono i suoi - di sicuro non sarebbe questa la soluzione preferita da una buona fetta del Pd.

La fronda trasversale, composta da «lealisti» pronti a mollare il segretario al suo destino, dai 50 renziani che scalpitano, dagli ex Ppi, ex dc e liberal vari, già affila le armi: e pur partendo da posizioni diverse, nel caso si andasse a votare, tutti ormai concordano che «non si andrebbe di certo con Bersani leader». Bensì con Matteo Renzi, che a precise condizioni potrebbe contare anche del sostegno dei suoi storici nemici alle primarie, i «giovani turchi».

«Si è vero, si potrebbe andare con Renzi candidato premier alle urne, ma in un'ottica di accordo con altre forze, Sel e Scelta Civica, per battere Grillo e Berlusconi e nel quadro di un accordo politico condiviso, in cui tutti pagheremmo un prezzo molto alto...», ammette Matteo Orfini insieme ad Andrea Orlando in un angolo del Transatlantico. Facendo capire che il sindaco di Firenze dovrebbe spostare di qualche grado a sinistra la sua linea politica in cambio di un superamento della pregiudiziale contro di lui di una buona fetta del partito.

«Ma se Renzi vuole lanciare un'opa ostile sul Pd, allora andiamo a contarci alle primarie e avrà di fronte un Barca o una Boldrini che sono pure più "nuovi" di lui», avvisano i due leader «turchi». E che le ultime vicende interne, come la nomina del capogruppo alla Camera, abbiano lasciato strascichi e peggiorato il clima intorno a Bersani, lo dimostra il fatto che lo stesso Orlando nei conversari privati, abbia manifestato tutto il suo disappunto per esser stato prima indicato come candidato a quel ruolo, poi scartato senza neanche essere avvisato.

«Certo qualche sfilacciamento c'è stato, è vero che siamo preoccupati», ammettono i bersaniani doc riuniti a conclave prima della salita del loro leader al Colle. Dunque guardando in prospettiva, visto che pochi credono ad una legislatura che duri più di un anno, Renzi è sempre più sugli scudi e quelli che contano nel Pd valutano il sondaggio riservato Swg, secondo cui una coalizione con Sel e i montiani a guida Bersani è quotata al 29 per cento, ma se guidata dal «rottamatore» i consensi salirebbero al 44 per cento, pure lasciando fuori i vendoliani.

Insomma, due domande assillano in queste ore dirigenti e maggiorenti del Pd: se Bersani dovesse fallire, reggerà sulla linea del mai un governo col Pdl? E basta farsi un giro in un Transatlantico per capire che come minimo il Pd rischia di spaccarsi a metà se Bersani dovesse mai portare questo interrogativo al voto nei gruppi o in Direzione.

Tanto per fare due conti in un gruppo di 280 e passa deputati, anche se Franceschini dice no ad una coalizione per governare col Pdl, i suoi uomini sono divisi e sono una quarantina solo alla Camera; Letta ne ha una ventina, Fioroni e Veltroni ciascuno poco meno, la Bindi una decina e i renziani sono un'altra cinquantina. E anche loro, di fronte al bivio, entrerebbero in crisi, ma difficilmente darebbero una mano a Bersani «che con i suoi ci ha portato fin qui, il pasticcio lo hanno fatto loro...».

CIVATI: "NIENTE ACCORDI CON IL PDL ABBIAMO GIÀ DATO CON MONTI"
Carlo Bertini per "la Stampa"

Civati, dopo quello che è successo al Colle, si aspetta che a Bersani venga dato un incarico subito?
«La cosa più probabile è un mandato esplorativo e non un mandato pieno in questa situazione. Ci si augura che venga affidato a Bersani, anche perché quella linea che ha tenuto fin qui ha bisogno di un supplemento di istruttoria, cioè di verificare se sia possibile formare quel governo del cambiamento che rimane la linea del Pd anche dopo le consultazioni»

E cosa prevede possa avvenire ora? Esiste qualche spiraglio con la Lega, visto che lei è stato indicato come uno degli sherpa nel dialogo col Carroccio?
«Non è vero che io lo sia, detto questo è chiaro che ad oggi di possibilità ce ne siano molto poche. Credo sia giusto non sprecare il tempo ma utilizzarlo per capire se sia possibile fare quello che ci siamo ripromessi. Secondo me non è solo un fatto di numeri, ma dell'effetto che può fare un governo di alto profilo ed evito di entrare nel totonomi che è già troppo frequentato. Il week end Boldrini-Grasso ha fatto il suo effetto, perché quelle scelte hanno avuto il plauso dei cittadini. E non c'è un particolare lavoro ai fianchi sulla Lega, niente di paragonabile di quanto fatto con i 5 Stelle».

Non sembra una mossa già da campagna elettorale andare in Parlamento e farsi dire di no dai grillini su un programma così radicale di riforme?
«Più che altro, è una mossa tra due campagne elettorali: una, quella passata, che ha dato un segnale forte di cambiamento che ha lasciato il segno nel paese e anche tra gli elettori del Pd; e la seconda è quella che potrebbe esserci, che noi non vogliamo, ma che avendo scelto una strada così rischiosa si può riaprire anche dopo l'elezione del nuovo capo dello Stato».

Se il tentativo fallisse, il Pd reggerebbe sulla linea del mai un governo con il Pdl?
«Sinceramente spero di sì e penso di sì, abbiamo sempre detto che pasticci non ne faremo e che abbiamo già dato col governo Monti. E non è solo un pregiudizio contro Berlusconi che dopo 20 anni conosciamo bene, ma anche dell'agibilità di un governo con loro. Tanto per fare un esempio, prima di essere eletto presidente del senato Grasso ha già presentato una proposta di legge sulla corruzione e la contraddizione con il Pdl balza subito agli occhi. Sulla legge elettorale poi, gli stessi protagonisti dovrebbero trovare un accordo che non hanno trovato per un anno?»

E se si tornasse alle urne, il candidato sarebbe ancora Bersani o Renzi?
«Credo che dovremmo discuterne e trovare la forma per sceglierlo, magari primarie più aperte e trasparenti possibili. Ma io vorrei capire che tipo di proposta è quella di Grillo. A chi vorrebbe fosse dato l'incarico? Non vogliono Bersani ma chi vorrebbero? Se si riesce a trovare una figura che piaccia a noi e ai 5 Stelle bene, ma vorrei capire che margine ci offrono. Grillo ha tirato giù una saracinesca, almeno provi a discutere con noi un altro possibile premier a loro gradito, come eventualità se dovesse andare male Bersani».

 

BERSANI luigi PIERLUIGI BERSANI CON LA BANDIERA DEL PD MATTEO RENZI CON LA MANO NELL'OCCHIOPAOLO GENTILONI CON NIPOTE MATTEO ORFINI Beppe Grillo SILVIO BERLUSCONI pippo-civati

Ultimi Dagoreport

andrea orcel gaetano caltagirone carlo messina francesco milleri philippe 
donnet nagel generali

DAGOREPORT - BUM! ECCO LA RISPOSTA DI CALTAGIRONE ALLA MOSSA DI NAGEL CHE GLI HA DISINNESCATO LA CONQUISTA DI GENERALI - L’EX PALAZZINARO STA STUDIANDO UNA CONTROMOSSA LEGALE APPELLANDOSI AL CONFLITTO DI INTERESSI: È LEGITTIMO CHE SIA IL CDA DI GENERALI, APPENA RINNOVATO CON DIECI CONSIGLIERI (SU TREDICI) IN QUOTA MEDIOBANCA, A DECIDERE SULLA CESSIONE, PROPRIO A PIAZZETTA CUCCIA, DI BANCA GENERALI? - LA PROVA CHE IL SANGUE DI CALTARICCONE SI SIA TRASFORMATO IN BILE È NELL’EDITORIALE SUL “GIORNALE” DEL SUO EX DIPENDENTE AL “MESSAGGERO”, OSVALDO DE PAOLINI – ECCO PERCHÉ ORCEL HA VOTATO A FAVORE DI CALTARICCONE: DONNET L’HA INFINOCCHIATO SU BANCA GENERALI. QUANDO I FONDI AZIONISTI DI GENERALI SI SONO SCHIERATI A FAVORE DEL FRANCESE (DETESTANDO IL DECRETO CAPITALI DI CUI CALTA È STATO GRANDE ISPIRATORE CON FAZZOLARI), NON HA AVUTO PIU' BISOGNO DEL CEO DI UNICREDIT – LA BRUCIANTE SCONFITTA DI ASSOGESTIONI: E' SCESO IL GELO TRA I GRANDI FONDI DI INVESTIMENTO E INTESA SANPAOLO? (MAGARI NON SI SENTONO PIÙ TUTELATI DALLA “BANCA DI SISTEMA” CHE NON SI SCHIERERÀ MAI CONTRO IL GOVERNO MELONI)

giorgia meloni intervista corriere della sera

DAGOREPORT - GRAN PARTE DEL GIORNALISMO ITALICO SI PUÒ RIASSUMERE BENE CON L’IMMORTALE FRASE DELL’IMMAGINIFICO GIGI MARZULLO: “SI FACCIA UNA DOMANDA E SI DIA UNA RISPOSTA” -L’INTERVISTA SUL “CORRIERE DELLA SERA” DI OGGI A GIORGIA MELONI, FIRMATA DA PAOLA DI CARO, ENTRA IMPERIOSAMENTE NELLA TOP PARADE DELLE PIU' IMMAGINIFICHE MARZULLATE - PICCATISSIMA DI ESSERE STATA IGNORATA DAI MEDIA ALL’INDOMANI DELLE ESEQUIE PAPALINE, L’EGO ESPANSO DELL’UNDERDOG DELLA GARBATELLA, DIPLOMATA ALL’ISTITUTO PROFESSIONALE ARRIGO VESPUCCI, È ESPLOSO E HA RICHIESTO AL PRIMO QUOTIDIANO ITALIANO DUE PAGINE DI ‘’RIPARAZIONE’’ DOVE SE LA SUONA E SE LA CANTA - IL SUO EGO ESPANSO NON HA PIÙ PARETI QUANDO SI AUTOINCORONA “MEDIATRICE” TRA TRUMP E L'EUROPA: “QUESTO SÌ ME LO CONCEDO: QUALCHE MERITO PENSO DI POTER DIRE CHE LO AVRÒ AVUTO COMUNQUE...” (CIAO CORE!)

alessandro giuli bruno vespa andrea carandini

DAGOREPORT – CHI MEGLIO DI ANDREA CARANDINI E BRUNO VESPA, GLI INOSSIDABILI DELL’ARCHEOLOGIA E DEL GIORNALISMO, UNA ARCHEOLOGIA LORO STESSI, POTEVANO PRESENTARE UN LIBRO SULL’ANTICO SCRITTO DAL MINISTRO GIULI? – “BRU-NEO” PORTA CON SÉ L’IDEA DI AMOVIBILITÀ DELL’ANTICO MENTRE CARANDINI L’ANTICO L’HA DAVVERO STUDIATO E CERCA ANCORA DI METTERLO A FRUTTO – CON LA SUA PROSTRAZIONE “BACIAPANTOFOLA”, VESPA NELLA PUNTATA DI IERI DI “5 MINUTI” HA INANELLATO DOMANDE FICCANTI COME: “E’ DIFFICILE PER UN UOMO DI DESTRA FARE IL MINISTRO DELLA CULTURA? GIOCA FUORI CASA?”. SIC TRANSIT GLORIA MUNDI – VIDEO

banca generali lovaglio francesco gaetano caltagirone philippe donnet alberto nagel milleri

DAGOREPORT - DA QUESTA MATTINA CALTAGIRONE HA I SUDORI FREDDI: SE L’OPERAZIONE DI ALBERTO NAGEL ANDRÀ IN PORTO (SBARAZZARSI DEL CONCUPITO “TESORETTO” DI MEDIOBANCA ACQUISENDO BANCA GENERALI DAL LEONE DI TRIESTE), L’82ENNE IMPRENDITORE ROMANO AVRÀ BUTTATO UN PACCO DI MILIARDI PER RESTARE SEMPRE FUORI DAL “FORZIERE D’ITALIA’’ - UN FALLIMENTO CHE SAREBBE PIÙ CLAMOROSO DEI PRECEDENTI PERCHÉ ESPLICITAMENTE SOSTENUTO DAL GOVERNO MELONI – A DONNET NON RESTAVA ALTRA VIA DI SALVEZZA: DARE UNA MANO A NAGEL (IL CEO DI GENERALI SBARRÒ I TENTATIVI DI MEDIOBANCA DI ACQUISIRE LA BANCA CONTROLLATA DALLA COMPAGNIA ASSICURATIVA) - PER SVUOTARE MEDIOBANCA SOTTO OPS DI MPS DEL "TESORETTO" DI GENERALI, VA BYPASSATA LA ‘’PASSIVITY RULE’’ CONVOCANDO  UN’ASSEMBLEA STRAORDINARIA CHE RICHIEDE UNA MAGGIORANZA DEL 51% DEI PRESENTI....

volodymyr zelensky donald trump vladimir putin moskva mar nero

DAGOREPORT - UCRAINA, CHE FARE? LA VIA PER ARRIVARE A UNA TREGUA È STRETTISSIMA: TRUMP DEVE TROVARE UN ACCORDO CHE PERMETTA SIA A PUTIN CHE A ZELENSKY DI NON PERDERE LA FACCIA – SI PARTE DALLA CESSIONE DELLA CRIMEA ALLA RUSSIA: SAREBBE UNO SMACCO TROPPO GRANDE PER ZELENSKY, CHE HA SEMPRE DIFESO L’INTEGRITÀ TERRITORIALE UCRAINA. TRA LE IPOTESI IN CAMPO C'E' QUELLA DI ORGANIZZARE UN NUOVO REFERENDUM POPOLARE NELLE ZONE OCCUPATE PER "LEGITTIMARE" LO SCIPPO DI SOVRANITA' - MA SAREBBE UNA VITTORIA TOTALE DI PUTIN, CHE OTTERREBBE TUTTO QUEL CHE CHIEDE SENZA CONCEDERE NIENTE…