L'ULTIMATUM DELL'EUROGRUPPO A TRIA: LA MANOVRA DEVE CAMBIARE ENTRO IL 13 NOVEMBRE - SE COSI’ NON SARA’, I GOVERNI DARANNO L’OK ALLA COMMISSIONE PER LANCIARE LA PROCEDURA PER LA VIOLAZIONE DELLA REGOLA DEL DEBITO - MA LA PROCEDURA SLITTERÀ INEVITABILMENTE A FINE GENNAIO - OGGI ALL'ECOFIN VERTICE BILATERALE CON MOSCOVICI
Marco Bresolin per “la Stampa”
Il quinto Eurogruppo da ministro sarà il più difficile per Giovanni Tria. Ad attenderlo a Bruxelles ci sarà il commissario Pierre Moscovici (con il quale oggi è previsto un bilaterale), ma soprattutto i diciotto colleghi che lo metteranno con le spalle al muro.
Con un messaggio molto chiaro: sulla manovra non ci sono interpretazioni possibili. E con un ultimatum: la Finanziaria va riscritta entro il 13 di novembre.
Altrimenti i governi daranno il loro pieno sostegno alla Commissione per lanciare la procedura. Una prima assoluta, visto che non è mai stata aperta una Edp (procedura per disavanzo eccessivo) per la violazione della regola del debito. Ma, nonostante la volontà Ue di accelerare, la tabella di marcia con le misure correttive non potrà diventare operativa prima di gennaio. Nel frattempo la manovra sarà già stata approvata dal Parlamento e diventerà legge dello Stato.
LA LETTERA IN RISPOSTA A MOSCOVICI DI TRIA
LE PROSSIME TAPPE
L'ipotesi di lanciare la procedura già all' Ecofin del 4 dicembre è infatti tramontata. «Non ci soni i tempi tecnici» spiega una fonte Ue. Il calendario non consente scorciatoie. Il governo dovrà rispondere alle richieste della Commissione entro il 13 novembre e non ha alcuna intenzione di anticipare, visto che vuole prendersi tutto il tempo a disposizione. Nel frattempo, l'8 novembre, la Commissione pubblicherà le previsioni economiche, nelle quali misurerà l'entità della «deviazione senza precedenti»: sarà maggiore rispetto all' 1,4% del Pil stimato, visto che le previsioni di crescita (+1,5% nel 2019 secondo il governo) saranno riviste al ribasso.
Dopodiché il passo successivo non arriverà prima del 21 novembre: quel giorno l'esecutivo Ue pubblicherà le valutazioni sui bilanci di tutti i Paesi, Italia compresa, e redigerà il rapporto sul debito tricolore.
Qui - a meno di passi indietro da parte del governo - la Commissione constaterà che, a causa della «deviazione senza precedenti», sono venuti meno i fattori rilevanti che a maggio avevano permesso di evitare la procedura sui conti del 2017. E darà il suo verdetto: l'Italia non ha rispettato la regola del debito. Ma per l'apertura della procedura serviranno ancora alcune tappe. Innanzitutto bisognerà attendere il parere del Comitato economico e finanziario, che avrà circa due settimane per formulare la sua opinione.
IL RINVIO A GENNAIO
A quel punto la Commissione informerà il governo e proporrà all'Ecofin di aprire una procedura, scrivendo nero su bianco tempi ed entità della correzione da imporre all'Italia. Ma tutto ciò non potrà avvenire in tempo per l'Ecofin del 4 dicembre.
La discussione tra i ministri - che devono dare il via libera decisivo - slitterà così a gennaio, a manovra già approvata. Il calendario della presidenza rumena (che guiderà il semestre Ue nei primi mesi del 2019) non è ancora definitivo, ma la riunione dovrebbe essere fissata per il 22 gennaio: solo quel giorno la raccomandazione della Commissione potrebbe essere adottata in via definitiva dal Consiglio dei ministri economico-finanzi. E se l'Italia continuasse a non rispettare la raccomandazione? Scatterebbero le sanzioni: una multa fino allo 0,5% del Pil, ma anche lo stop dei finanziamenti della Bei e il congelamento dei fondi strutturali. Per arrivarci, però, serviranno mesi.
IL CONFRONTO CON I MINISTRI
L'iter rischia dunque di andare per le lunghe, ma all'Eurogruppo di oggi i ministri ribadiranno una cosa molto chiara a Tria: se l'Italia proseguisse per la sua strada, si potrebbero scatenare tensioni sui mercati finanziari con il rischio di ripercussioni sul resto dell' Eurozona. Il ministro proverà a rassicurarli e lo stesso farà il premier Giuseppe Conte nei prossimi giorni, quando incontrerà Jean-Claude Juncker. Ma ormai la fiducia nelle figure «di garanzia» del governo si è ridotta ai minimi.