“LASCIO PROBLEMI” - NEL TESTAMENTO, DON VERZÈ UN MILIARDO DI DEBITI LI CHIAMA “PROBLEMI” - “IO DI MIO NON LASCIO NIENTE, PERCHÉ DI MIO NON HO MAI AVUTO NIENTE. NEPPURE LO STIPENDIO” - BELLE PAROLE CHE SI SCONTRANO CON LA SUA MEGALOMANIA, CHE HANNO A CHE FARE AEREI, BARCHE E PIANTAGIONI IN SUDAMERICA CON LA MISSIONE SANITARIA? –LE PREOCCUPAZIONI SUL VATICANO: “L'OPERA DEVE RESTARE LAICA E LIBERA”…

Mario Gerevini e Simona Ravizza per il "Corriere della Sera"

È preoccupato dell'ingresso del Vaticano e consapevole di lasciare una situazione difficile: «L'Opera deve restare laica e libera». È il 15 agosto 2011 quando don Luigi Verzè prende carta e penna, l'imprenditore Giuseppe Rotelli non è ancora diventato il proprietario del San Raffaele sull'orlo del crac, sotto la Cupola ci sono gli uomini del segretario di Stato Tarcisio Bertone e il prete manager si raccomanda: «Prego che nulla venga mutato».

La calligrafia è elegante. Le sei pagine in cui don Verzè consegna al futuro l'ospedale - fondato nelle campagne ai confini tra Milano e Segrate negli anni Settanta e adesso conosciuto nel mondo - sono quelle del suo testamento, entrato a far parte delle carte sequestrate nel corso dell'inchiesta della Procura per bancarotta: «Miei eredi - scrive il sacerdote - sono i Sigilli (i suoi fedelissimi, soprattutto donne, che vivevano con lui in Cascina, ndr)». È un lungo scritto in cui il fondatore del San Raffaele vuole tramandare la sua eredità morale e spirituale: «Io di mio non lascio niente, perché di mio non ho mai avuto niente - scrive -. Neppure lo stipendio».

Niente soldi, quasi si scusa don Verzè all'inizio del testamento: «Lascio problemi». Ma il prete manager fornisce indicazioni precise su come comportarsi dopo la sua morte, avvenuta lo scorso 31 dicembre: «Mai anteporre il denaro come condizione per fare ciò che vi è richiesto da Dio per l'uomo. L'uomo è l'Opera di Dio»; «Il nostro tema infatti è: medicina = sacerdozio perché ogni ammalato è Gesù che patisce», e ancora: «Soci, consiglieri, docenti, ricercatori e operatori tutti continuino a dare ai Sigilli la stima, l'affetto e la sincera collaborazione di cui hanno onorato me. Dio provvederà e guiderà l'Opera con lumi speciali come ha fatto con me, poveretto, ma credente».

Un combattente fino all'ultimo respiro. I pensieri di don Verzè sono concentrati su quel che sarà, la crisi finanziaria è esplosa, ma lui è ancora convinto di potere segnare il destino della sua creatura: «State uniti e sacrificate qualsiasi cosa all'unione tra voi e nessuno vi batterà - dice ai fedelissimi -. Questo è il segreto per i nuovi successi del San Raffaele che vi consegno».

L'ospedale lo lascia in particolare alla presidente dei Sigilli Gianna Zoppei, l'Università Vita Salute all'altra fedelissima Raffaella Voltolini. Ma c'è anche una richiesta per sé, che racchiude tutta una vita: «Nel Ciborio ho sintetizzato la mia filosofia, la mia teologia sulla incarnazione del Verbo (...). Desidero venir sepolto dietro l'altare della Madonna della Vita nella cappellina già preparata e ciò per continuare a godere della S. Messa e delle preghiere di tutti». Esce di scena don Verzè, citando il motto che ha scandito la sua storia di successi e che è stato anche la causa, forse, della sua rovina: «Sempre Gesù mi ha accompagnato con miracoli ed anche con la croce. Con Lui ho vissuto su questa terra i miei ardimenti cosciente che "Tutto è possibile a chi crede"».
Firma in calce: vostro don Luigi.

 

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