LEGA-MI TREMENDI - TREMENDINO TREMONTI VIENE MESSO IN MEZZO DA STEFANO BONET, CHE LO ACCUSA DI AVER CONSIGLIATO A BELSITO DI MANDARE I SOLDI ALL’ESTERO - GIULIETTO NEGA - UNA COSA PERÒ È VERA: IL SUO STRETTO RAPPORTO D’AMICIZIA CON BOSSI, TANTO CHE DALL’ESTERNO SEMBREREBBE CHE GIULIO STIA PENSANDO DI TRASFERIRSI A VIA BELLERIO - MA MARONI NON NE SAREBBE FELICE, ANCHE SE FORSE AVREBBE BISOGNO DI UNO COME LUI CHE FA LA PELLE A MONTI…

Stefano Feltri per "il Fatto Quotidiano"

Giulio Tremonti osserva con distacco la crisi della Lega, convinto che alla fine Umberto Bossi sarà ancora il vero leader, ma si indigna per essere stato accostato ai misfatti dell'ex tesoriere Francesco Belsito. "In quei giorni stavo scrivendo i decreti conseguenti alla lettera della Bce, come si può pensare che mi mettessi a dare consigli finanziari a Belsito?". Quando mercoledì sera raccontano a Giulio Tremonti il contenuto dell'informativa della Direzione Investigativa Antimafia di Reggio Calabria, l'ex ministro non ci crede.

Tremonti non è mai intercettato, lo cita Stefano Bonet, uno dei soci dell'ex tesoriere della Lega Francesco Belsito negli investimenti contestati dai pm. Bonet sostiene che Tremonti avrebbe incontrato Belsito l'11 agosto (quel giorno, ricordano le cronache, il ministro era alla Camera a illustrare alle commissioni la manovra d'emergenza). E Belsito, stando ai riassunti della Dia, il 10 gennaio 2012 avrebbe detto che Tremonti e Bossi sapevano dei soldi del partito investiti in Tanzania e che l'ex ministro dell'Economia avallava l'operazione, buona per diversificare "anche in virtù del fatto che fra due mesi l'euro sarebbe saltato", scrivono gli investigatori.

Tremonti detta alle agenzie: "Non ho mai formulato commenti a riguardo, non avendone titolo. Mi riservo di querelare il nominato in oggetto". La presunta approvazione sarebbe avvenuta al momento in cui viene fatto l'investimento, quindi in estate. In privato Tremonti si è sfogato: "Come si può credere che da ministro andassi in giro a evocare il crac della moneta unica mentre lavoravo per salvare il Paese? Se ne fossi stato convinto mi sarei dimesso subito".

L'ex ministro dell'Economia non ha mai fatto mistero di frequentare molto i leghisti ma smentisce di aver mai avuto rapporti con Belsito, sottosegretario del governo Berlusconi alla Semplificazione (il dicastero guidato allora da Roberto Calderoli ). "La Lega è un partito verticale e orizzontale, tutto territorio e leader e il leader è soltanto Umberto Bossi", ha spiegato più volte il ministro che ha sempre coltivato rapporti stretti, anche di amicizia, soprattutto col Senatùr. Il 3 aprile, nonostante l'inchiesta fosse già deflagrata, Tremonti è andato comunque in via Bellerio a fare gli auguri di Pasqua a Bossi.

Se con Calderoli l'ex superministro ha collaborato in diverse occasioni (nel 2003 progettarono la riforma della Costituzione in una baita alpina ), con Roberto Maroni non c'è mai stato feeling. L'ex ministro dell'Interno ha sempre sofferto l'influenza del professore sul partito. Tremonti, in questi anni, si è fatto un'idea precisa di come funziona la Lega: tutto ruota intorno a un capo carismatico, Maroni "piace agli amministratori locali e ai deputati" che hanno trasformato la militanza leghista in una professione e sono preoccupati per il loro futuro ma non trascinerà mai le masse padane, quelle del pratone di Pontida.

E chi ha parlato con Tremonti racconta che il professore non è affatto convinto che l'era di Bossi sia finita: "Vedrete che alla fine il leader sarà sempre lui, gli scandali determinano uno sconvolgimento più all'esterno della Lega che al suo interno, delegittimano l'intera classe politica perché danno l'idea che anche quelli considerati più puri siano come gli altri".

A novembre, circola la voce che Tremonti stia per passare dal Pdl alla Lega, dopo gli scontri con Silvio Berlusconi e dietro pressanti richieste di Bossi. Tutti smentiscono ma i maroniani, nel dubbio, colgono l'occasione per far capire al professore che non sarebbe affatto gradito. Eppure proprio molti maroniani, a denti stretti, ammettono che Roberto Maroni non ha una visione, un sogno da veicolare alla base.

Per quanto improbabile, vista la scarsa affinità personale, Tremonti sarebbe proprio l'ideologo che serve a Maroni. Ieri, per esempio, l'ex ministro del Tesoro ha scritto un corrosivo editoriale sul Corriere della Sera a commento delle performance del governo Monti: zero privatizzazioni, "Liberalizzazioni?... omissis", la spending review è "solo una astrazione materializzata da un nome" e l'esecutivo è esposto al rischio che il mercato ritiri la fiducia concessa ai tecnici "facendo venir meno la sua stessa fondante ragion d'essere". Una sentenza capitale, scandita dalla risalita dello spread.

A 64 anni, con la reputazione di quello che ha fatto il possibile per arginare il disastro berlusconiano e guardato ora con più indulgenza visti i risultati non strepitosi dell'esecutivo tecnico, Tremonti pensa al suo futuro. Le ipotesi di un suo movimento personale per ora non trovano conferme. Quando deve fare previsioni sul prosieguo della sua carriera dice sempre che "io in politica sono ancora impegnato, con il Pdl".

Intanto presenta il suo libro Uscita di sicurezza (Rizzoli), incontri ovunque, soprattutto nei piccoli centri, ore di dibattiti televisivi sulle emittenti locali. Prove da politico di territorio. Chissà, magari proprio in una Lega sempre guidata da Bossi, se la diagnosi del ministro è corretta e Maroni non ce la farà a completare la successione.

 

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