LEGA SPACCATA - ALLA MANIFESTAZIONE DI MILANO BOSSI SPARA LA SOLITA MANFRINA “MONTI FUORI DAI COGLIONI” E “ROMA FANCULO”. NON BASTA. LA PIAZZA VUOLE MARONI. MA LUI NON PARLA E NON STRINGE LA MANO NÉ A REGUZZONI NÉ A ROSY MAURO - IL TROTA NON PERVENUTO, FISCHI CONTRO IL “CERCHIO TRAGICO”, SENATÙR INCAZZATO NERO: VITTORIA DUE A ZERO PER I BOBOMARONITI. CHE SI PREPARANO A CONQUISTARE I CONGRESSI REGIONALI DI LOMBARDIA (SALVINI) E VENETO (TOSI). E POI IL PARTITO…

1- LA LEGA FA LA SECESSIONE DA BOSSI: FISCHI E INSULTI SOTTO LA MADONNINA...
Paolo Bracalini per "il Giornale"

«Caro Berlusconi, scegli. O fai cadere questo governo infame, oppure la Lega farà cadere il governo della Regione Lombardia... Ogni giorno ne arrestano uno!». La folla padana esulta, Maroni fa sì con la testa, lo stato maggiore applaude (qualche leghista del Pirellone, per la verità, un po' scosso dalla bomba sparata dal capo).

È «l'idea» che Umberto Bossi aveva promesso per la manifestazione di Milano contro il «governo dei banchieri», molta gente (almeno 35mila, anche se lo staff di Roberto Calderoli dice 75mila), asce, sciarpe marchiate «Barbari sognanti» (i maroniani), parecchia tensione nell'aria.

Dopo i governatori Roberto Cota e Luca Zaia ha parlato il capo, e solo lui. Ha sparato contro Mario Monti (che deve andare «fuori dai c...») e ha chiesto al Pdl di «non tenere il piede in due scarpe», di scegliere tra l'appoggio al governo e l'appoggio della Lega nelle giunte locali.

Poco dopo, nel segreto di via Bellerio, il capo ha un po' ammorbidito il diktat («è un messaggio a Berlusconi perché stacchi la spina a Monti»), ma tutti i colonnelli l'hanno preso molto sul serio, preparandosi all'eventuale rottura, non solo in Lombardia. «Un azzardo dovuto» lo ha definito Giancarlo Giorgetti, capo della Lega lombarda. «Siamo all'11 per cento nazionale - ha detto Bossi dal palco -, abbiamo la forza per vincere da soli» alle prossime Amministrative.

Fischi dai leghisti quando Bossi pronuncia il nome del «buon Berlusconi» (mentre su Alemanno partono proprio gli insulti), ma lui li placa: «Calma, non vorrete che lui e il Pd si mettano d'accordo per fare una legge elettorale che ci faccia fuori? Calma, calma...». Monti va spazzato via perché non pensa al popolo, tanto meno a quello padano: Padania libera, e Roma? «Fanc...».

Fin qui sarebbe un comizio leghista perfetto, ma altri fischi sono risuonati sotto la Madunina, coprendo addirittura la voce del capo. La «pace di Milano», come ha provato a battezzarla il segretario federale alla fine, sembra piuttosto l'inizio di una fase due nella lotta che dilania il Carroccio.

Bossi prende il microfono e affronta subito il nervo scoperto della Lega, la guerra interna tra «barbari sognanti» e «cerchio magico» («Se sei magico, sparisci» recitava uno degli striscioni), che non sarebbe come sembra perché «chi monta il caso sono i giornali di regime». Il segretario federale elogia la «saggezza» di chi ha fatto un passo indietro per il bene maggiore, «la libertà della Padania», «tutti abbiamo fatto un passo indietro, io, Reguzzoni e Maroni». Solo che appena viene scandito il nome dell'ex capogruppo della Camera appena dimessosi - come richiesto dai maroniani a Varese e mille volte prima -, partono i fischi dalla piazza.

Non basta: il capo chiede un suggello fotografico della «pace», una stretta di mano davanti a tutti («basta storie, siamo fratelli»). Ma la stretta non c'è. Reguzzoni si avvicina a Maroni che però non allunga la mano, ed è costretto a stringerla a Bossi stesso. Altri fischi quando, mentre la folla scandisce il nome di Maroni come a dire: fai parlare anche lui, il Senatùr cerca sul palco «la Rosy» (Mauro), suggerendo una stretta di mano fra i due. La piazza fischia, sotto al palco l'esercito degli «insubri» (varese e dintorni) si distinguono per la durezza degli epiteti. Poco prima un cameraman aveva chiesto un bacio tra Rosy e Maroni, ma l'ex ministro ha giocherellato col cellulare lasciando la vicepresidente del Senato nell'imbarazzo.

Ancora fischi a coprire la voce del segretario federale, quando la folla invoca per l'ennesima volta «Maroni, Maroni!» affinché parli, ma non parla. Fischietti a go go, buuu e via così, non contro Bossi ma contro il fatto che Maroni non possa parlare, per via di tanti veti incrociati e del «cerchio magico».

«Mi è dispiaciuto molto non poter parlare per salutarvi e condividere con voi queste sensazioni» scriverà Maroni più tardi su Facebook, firmandosi «il vostro Barbaro Sognante», ormai marchio di fabbrica. Ma la rinuncia a parlare, una specie di armistizio firmato dalle fazioni in guerra, ha permesso ai maroniani il «due a zero», dopo il Maroni day a Varese: i congressi provinciali e nazionali.

Niente mano al nemico, perché «non doveva finire a tarallucci e vino» dice Maroni ai suoi, ma nemmeno a botte da orbi che avrebbero guastato la tattica, per ora vincente, dei «barbari sognanti». La «pace di Milano» finisce con un Reguzzoni «infuriato» - raccontano - un Maroni decisissimo a nuove conquiste e un Bossi che non ne può più di questo clima, tanto da lasciare spazientito il consiglio federale. Una «pace» pacifica come l'ascia che il mitico Mario Borghezio agitava in piazza Duomo.


2- GELO E ABBRACCI MANCATI IL «CAPO» CEDE SUI CONGRESSI MA LO SCONTRO È SOLO RINVIATO...
Marco Cremonesi per "Corriere della Sera"

Il primo scatto vede insieme Roberto Maroni e Rosy Mauro. I fotografi chiedono l'abbraccio della pace. Lei ci prova, tenta di cingerlo. Ma lui non ci pensa proprio: stringe tra le braccia un'anziana militante, guarda il telefonino e poi si volta con uno sbuffo. Il secondo scatto è di gran lunga più significativo, a modo suo epocale. Umberto Bossi sul palco parla della pace ritrovata nel Carroccio, dice che Maroni e Reguzzoni son stati bravi a fare entrambi «un passo indietro» e li invita ad abbracciarsi. Peccato che dalla piazza parta una bordata di fischi. Lunga, insistita. E pazienza se il leader padano dice che lui non avrebbe mai preso provvedimenti «contro Maroni».

Reguzzoni si dirige verso «l'uomo con gli occhiali rossi», ma l'abbraccio non arriva. L'ex capogruppo, per quel che si può capire, dà una specie di pacca sul petto all'ex ministro che neppure riesce a trasformarsi in una stretta di mano. Il «capo» si volta, cerca e chiede dell'abituale spalla: «Dov'è la Rosy Mauro, è scappata?». Errore. Al nome della vicepresidente del Senato, la bordata di fischi riprende più forte di prima, a dispetto di un Bossi che, visibilmente innervosito, torna a invitare all'unità e a non fare il gioco dei «giornali di regime».

A scanso di ancor peggiori imbarazzi, il figlio Renzo non è neppure salito sul palco. I militanti prendono a inneggiare a Maroni, ma Bossi non molla il microfono. Più tardi, su Facebook, l'ex ministro si dirà «molto dispiaciuto» per non aver potuto parlare ai «barbari sognanti», il nome ormai ufficiale dei suoi sostenitori.

La situazione, insomma, è compromessa. I sostenitori del «cerchio magico» non hanno dubbi: «Maroni - dice uno di loro - ha deciso di prendersi il partito. Bossi in questi giorni ha dovuto ripiegare tatticamente, ma la sfida riesploderà più forte di prima. E ora, non c'è più Marco Reguzzoni da additare come il cattivo: ora dovranno prendersela direttamente con il capo. È soltanto questione di tempo».

Più tardi, in via Bellerio, Bossi viene descritto come «nero». Ma dell'episodio non parla. Affronta il tema dei rapporti con Berlusconi e dà il via libera ai congressi nazionali. Poi, se ne va. Più tradi, tuttavia, tornerà a riunirsi con Reguzzoni e la Mauro. Difficile che non si sia parlato di quanto avvenuto in piazza. In ogni caso, l'imminente convocazione dei congressi è un secondo colpo messo a segno dai maroniani: «Abbiamo vinto due a zero» dice uno di loro.

La preoccupazione, per i sostenitori dell'ex ministro, era che le tensioni potessero spingere Bossi a rinviare i congressi. I due più attesi sono quello lombardo - probabile candidato maroniano, Matteo Salvini - e quello veneto, teatro del big match tra il sindaco di Verona Flavio Tosi e gli uomini di Treviso guidati da Gian Paolo Gobbo. Nessun congresso federale è invece previsto.

La riunione leghista è tornata ad affrontare anche il tema degli investimenti del partito, tra cui quelli in Tanzania. In diversi hanno criticato il tesoriere Francesco Belsito, che da Stefano Stefani è stato addirittura strapazzato. Approvata una nuova tranche di risarcimenti agli investitori della fallita Credieuronord, il federale ha anche chiesto che il comitato amministrativo formato da Roberto Castelli e Piergiorgio Stiffoni vigili sulle operazioni finanziarie presenti e future.

Resta il fatto che, a dispetto del quotidiano La Padania, che per due giorni di fila ha pubblicato in prima pagina la stessa foto inneggiante all'unità leghista, le forze in campo hanno tutt'altro che deposto le armi. Certo, i maroniani hanno dalla loro la stragrande maggioranza della base e i congressi lo dimostreranno. Ma il «cerchio» ha dalla sua un Umberto Bossi che, malgrado i pubblici proclami d'amore nei confronti di Maroni, è sempre più diffidente.

 

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