emanuele fiano e il padre nedo

“IN FAMIGLIA PAPÀ NON PARLAVA MOLTO DEI CAMPI DI STERMINIO. DEL TATUAGGIO COL NUMERO DICEVA: 'LO ANNOTANO I PADRI SMEMORATI, È IL TELEFONO DI CASA” - EMANUELE, FIGLIO DI NEDO FIANO, REDUCE DA AUSCHWITZ: “DEI LAGER SEPPI A 14 ANNI. IN BAGNO TENEVAMO IL PROFUMO DELL’UOMO CHE LO LIBERÒ - IN MIA MADRE RITROVÒ UNA FIGURA FEMMINILE DA AMARE. LA CHIAMAVA "MAMMA". LA SUA L’ABBRACCIÒ L’ULTIMA VOLTA SULLA BANCHINA DI AUSCHWITZ IL 23 MAGGIO 1944"

Silvia Morosi per il “Corriere della Sera” - Estratti

 

«Oggi vi racconterò l’inferno».

 

EMANUELE FIANO

Era questa una delle frasi con cui Nedo Fiano, uno degli ultimi sopravvissuti ad Auschwitz, scomparso a dicembre 2020, iniziava gli incontri con gli studenti nelle scuole.

 

Tra questi, c’era anche chi scrive. L’esperienza della deportazione, insieme con altri undici membri della famiglia tutti sterminati, «lo ha reso un testimone per la vita», racconta al telefono il terzo figlio Emanuele, ex deputato del Pd. «Mio padre era una persona totalmente segnata dal lager, in senso positivo e negativo. A prevalere, poi, è stato il primo aspetto, che ne ha segnato la matrice del comportamento per l’esistenza. Non ha mai avuto paura delle difficoltà, riassunte in quel messaggio imparato nei lager: “È nell’ora più buia della notte che l’alba è più vicina”».

 

 

Terminata la guerra rivide a Firenze un’amica d’infanzia di cui ricordava le lunghe trecce, che divenne sua moglie (Rina Lattes, ndr ). Cosa li ha uniti fino alla morte, a due mesi di distanza?

NEDO FIANO E LA MOGLIE RINA LATTES

«In mamma ritrovò una figura femminile da amare, per la vita. Una persona che poteva prendere il posto di sua madre, abbracciata l’ultima volta sulla banchina di Auschwitz il 23 maggio 1944, con cui ricostruire il nucleo di una famiglia strappata, distrutta. Una donna che chiamava “madre”, e che fu capace di supportare, con amore, un uomo così sofferente, ma anche forte».

 

Che nonno fu?

«Un nonno amorevole che nei nipoti vedeva il ritorno alla vita e il rinnovamento della nostra genia. Come quando mio fratello maggiore si sposò in Israele nel 1973, avevo dieci anni, e tornato si diede da fare per organizzare una casa per lui e la moglie, israeliana. Era la prima volta che tornava in patria: si inginocchiò e baciò la terra davanti alla scaletta dell’aereo, a Tel Aviv. Diceva che se ci fosse stato lo Stato ebraico allora, nulla sarebbe successo...».

 

NEDO FIANO NUMERO TATUATO AUSCHWITZ

Ha avuto bisogno di tempo e distacco per raccontare il suo vissuto: come rispondeva alle «curiosità» di lei bambino sul numero A5405 tatuato sul braccio?

«In famiglia papà non parlava molto dei campi di sterminio: io avevo appreso tutto dai libri in casa e dalle atroci foto che contenevano. Del tatuaggio diceva: “Lo annotano i padri smemorati, è il telefono di casa”. Ha cominciato a raccontare una sera del 1977, in una conferenza in una sala della comunità ebraica.

 

Avevo 14 anni. “Mi sono portato dietro una valigia e la aprirò per voi”, disse. Seppi lì i primi particolari di fuga, arresto, deportazione. Fu uno dei primi sopravvissuti a scegliere una comunicazione pubblica: il racconto della Shoah, non solo in Italia, è iniziato molto tardi. Fisicamente, improvvisamente, quel papà su quel palco, da padre privato diventò personaggio pubblico».

 

(...)

A parlare di suo padre è anche un profumo, che ha continuato a tenere stretto.

EMANUELE FIANO COVER

«Sì... quello delle saponette Lifebuoy, all’arancia: le impilava nel bagno, le prendeva a Livorno al mercato degli americani. Gli ricordavano il profumo dell’uomo che lo salvò dal campo, il primo ad entrare nella baracca. Quel profumo di pulito era un filo con il momento della liberazione, la rinascita. Un profumo che, ancora oggi, mi tiene legato a lui in modo inspiegabile: è inciso nelle mie cellule cerebrali. Regalai la stessa saponetta a mio figlio grande, come portafortuna per gli esami universitari, da tenere con sé. E ha funzionato».

 

In un libricino annotava gli incontri nelle scuole e le testimonianze pubbliche: arrivò a contarne quasi mille. Che valore dava alla memoria?

«La sua era la memoria di un sopravvissuto che, come altri, chiedeva di non dimenticare e di non essere dimenticato. Di non dimenticare che tanti erano stati torturati, uccisi, violentati, ma erano sopravvissuti. Anche Primo Levi aveva questo cruccio: quello di non essere creduto, come gli ripetevano le SS».

 

E oggi, a chi è affidata?

«Restano pochi sopravvissuti: ormai siamo nella post-memoria, tenuta viva dalle seconde generazioni e da chi vuole esserne partecipe. Lui, come altri, ci ha affidato il compito di estrapolare delle lezioni dalla memoria, attualizzandole, e trasformarle in un codice morale, di comportamento e giudizio. Ho seguito la sua strada: tra novembre e dicembre ho tenuto 60 incontri, con il piacere di confrontarmi anche con le domande più difficili su quello che accade oggi».

 

EMANUELE FIANO E IL PADRE NEDO

Dopo la liberazione, fu la Milano industriale a offrirgli una nuova occasione. E si lasciò alle spalle una Firenze che non riconosceva più. Cosa hanno rappresentato queste due città?

«Era un uomo straordinariamente aperto al futuro: insegnava a non combattere il cambiamento. Firenze per lui rappresentava l’Europa matrigna, la tomba della nostra famiglia. L’America era il nuovo, una terra vergine rispetto al cancro rappresentato da fascismo e nazismo, la terra dei liberatori. E quando si trasferì a Milano, quella era la città italiana più simile all’America. Poi, quando gli fu offerta la possibilità di un lavoro in America, decise di rinunciare per amore di mia madre».

 

Una domanda che non ebbe mai il coraggio di fare o a cui non rispose?

«Avrei voluto chiedergli di più di suo padre, il nonno Olderigo, fascista, la cui memorialistica è meno enfatizzata nei racconti della nostra famiglia. Mio padre lo vide deperire, invecchiare nel giro di qualche settimana ad Auschwitz, come accadde a Sami Modiano con suo padre. Pensai che parlarne lo avrebbe fatto troppo soffrire».

 

nedo fiano sopravvissuto

Come prese il suo impegno in politica?

«Male. Non la amava, credo in parte, per la vicenda del nonno. Voleva seguissi gli studi fatti in architettura. Poi, quando divenni deputato, si appassionò al mio impegno».

 

E che rapporto aveva con la religione e l’ebraismo?

«Era legato a tradizioni e riti, in chiave laica. Cantava sempre per la comunità in occasione della Pasqua ebraica: era un’emozione poter cantare da uomo libero in ebraico, con la sua voce tenorile. In quel canto riviveva la liberazione dalla schiavitù del popolo e la riconquista di una libertà che a ogni Pasqua va celebrata. Una tradizione rimasta in famiglia».

 

nedo fiano col figlio emanueleil numero di nedo fiano nei lageremanuele fiano – ritiro del pd all'abbazia di contigliano 25foto di nedo fianoemanuele fianola rabbia di emanuele fianoemanuele fiano con la mascherina

(...)

Ultimi Dagoreport

andrea orcel gaetano caltagirone carlo messina francesco milleri philippe 
donnet nagel generali

DAGOREPORT - BUM! ECCO LA RISPOSTA DI CALTAGIRONE ALLA MOSSA DI NAGEL CHE GLI HA DISINNESCATO LA CONQUISTA DI GENERALI - L’EX PALAZZINARO STA STUDIANDO UNA CONTROMOSSA LEGALE APPELLANDOSI AL CONFLITTO DI INTERESSI: È LEGITTIMO CHE SIA IL CDA DI GENERALI, APPENA RINNOVATO CON DIECI CONSIGLIERI (SU TREDICI) IN QUOTA MEDIOBANCA, A DECIDERE SULLA CESSIONE, PROPRIO A PIAZZETTA CUCCIA, DI BANCA GENERALI? - LA PROVA CHE IL SANGUE DI CALTARICCONE SI SIA TRASFORMATO IN BILE È NELL’EDITORIALE SUL “GIORNALE” DEL SUO EX DIPENDENTE AL “MESSAGGERO”, OSVALDO DE PAOLINI – ECCO PERCHÉ ORCEL HA VOTATO A FAVORE DI CALTARICCONE: DONNET L’HA INFINOCCHIATO SU BANCA GENERALI. QUANDO I FONDI AZIONISTI DI GENERALI SI SONO SCHIERATI A FAVORE DEL FRANCESE (DETESTANDO IL DECRETO CAPITALI DI CUI CALTA È STATO GRANDE ISPIRATORE CON FAZZOLARI), NON HA AVUTO PIU' BISOGNO DEL CEO DI UNICREDIT – LA BRUCIANTE SCONFITTA DI ASSOGESTIONI: E' SCESO IL GELO TRA I GRANDI FONDI DI INVESTIMENTO E INTESA SANPAOLO? (MAGARI NON SI SENTONO PIÙ TUTELATI DALLA “BANCA DI SISTEMA” CHE NON SI SCHIERERÀ MAI CONTRO IL GOVERNO MELONI)

giorgia meloni intervista corriere della sera

DAGOREPORT - GRAN PARTE DEL GIORNALISMO ITALICO SI PUÒ RIASSUMERE BENE CON L’IMMORTALE FRASE DELL’IMMAGINIFICO GIGI MARZULLO: “SI FACCIA UNA DOMANDA E SI DIA UNA RISPOSTA” -L’INTERVISTA SUL “CORRIERE DELLA SERA” DI OGGI A GIORGIA MELONI, FIRMATA DA PAOLA DI CARO, ENTRA IMPERIOSAMENTE NELLA TOP PARADE DELLE PIU' IMMAGINIFICHE MARZULLATE - PICCATISSIMA DI ESSERE STATA IGNORATA DAI MEDIA ALL’INDOMANI DELLE ESEQUIE PAPALINE, L’EGO ESPANSO DELL’UNDERDOG DELLA GARBATELLA, DIPLOMATA ALL’ISTITUTO PROFESSIONALE ARRIGO VESPUCCI, È ESPLOSO E HA RICHIESTO AL PRIMO QUOTIDIANO ITALIANO DUE PAGINE DI ‘’RIPARAZIONE’’ DOVE SE LA SUONA E SE LA CANTA - IL SUO EGO ESPANSO NON HA PIÙ PARETI QUANDO SI AUTOINCORONA “MEDIATRICE” TRA TRUMP E L'EUROPA: “QUESTO SÌ ME LO CONCEDO: QUALCHE MERITO PENSO DI POTER DIRE CHE LO AVRÒ AVUTO COMUNQUE...” (CIAO CORE!)

alessandro giuli bruno vespa andrea carandini

DAGOREPORT – CHI MEGLIO DI ANDREA CARANDINI E BRUNO VESPA, GLI INOSSIDABILI DELL’ARCHEOLOGIA E DEL GIORNALISMO, UNA ARCHEOLOGIA LORO STESSI, POTEVANO PRESENTARE UN LIBRO SULL’ANTICO SCRITTO DAL MINISTRO GIULI? – “BRU-NEO” PORTA CON SÉ L’IDEA DI AMOVIBILITÀ DELL’ANTICO MENTRE CARANDINI L’ANTICO L’HA DAVVERO STUDIATO E CERCA ANCORA DI METTERLO A FRUTTO – CON LA SUA PROSTRAZIONE “BACIAPANTOFOLA”, VESPA NELLA PUNTATA DI IERI DI “5 MINUTI” HA INANELLATO DOMANDE FICCANTI COME: “E’ DIFFICILE PER UN UOMO DI DESTRA FARE IL MINISTRO DELLA CULTURA? GIOCA FUORI CASA?”. SIC TRANSIT GLORIA MUNDI – VIDEO

banca generali lovaglio francesco gaetano caltagirone philippe donnet alberto nagel milleri

DAGOREPORT - DA QUESTA MATTINA CALTAGIRONE HA I SUDORI FREDDI: SE L’OPERAZIONE DI ALBERTO NAGEL ANDRÀ IN PORTO (SBARAZZARSI DEL CONCUPITO “TESORETTO” DI MEDIOBANCA ACQUISENDO BANCA GENERALI DAL LEONE DI TRIESTE), L’82ENNE IMPRENDITORE ROMANO AVRÀ BUTTATO UN PACCO DI MILIARDI PER RESTARE SEMPRE FUORI DAL “FORZIERE D’ITALIA’’ - UN FALLIMENTO CHE SAREBBE PIÙ CLAMOROSO DEI PRECEDENTI PERCHÉ ESPLICITAMENTE SOSTENUTO DAL GOVERNO MELONI – A DONNET NON RESTAVA ALTRA VIA DI SALVEZZA: DARE UNA MANO A NAGEL (IL CEO DI GENERALI SBARRÒ I TENTATIVI DI MEDIOBANCA DI ACQUISIRE LA BANCA CONTROLLATA DALLA COMPAGNIA ASSICURATIVA) - PER SVUOTARE MEDIOBANCA SOTTO OPS DI MPS DEL "TESORETTO" DI GENERALI, VA BYPASSATA LA ‘’PASSIVITY RULE’’ CONVOCANDO  UN’ASSEMBLEA STRAORDINARIA CHE RICHIEDE UNA MAGGIORANZA DEL 51% DEI PRESENTI....

volodymyr zelensky donald trump vladimir putin moskva mar nero

DAGOREPORT - UCRAINA, CHE FARE? LA VIA PER ARRIVARE A UNA TREGUA È STRETTISSIMA: TRUMP DEVE TROVARE UN ACCORDO CHE PERMETTA SIA A PUTIN CHE A ZELENSKY DI NON PERDERE LA FACCIA – SI PARTE DALLA CESSIONE DELLA CRIMEA ALLA RUSSIA: SAREBBE UNO SMACCO TROPPO GRANDE PER ZELENSKY, CHE HA SEMPRE DIFESO L’INTEGRITÀ TERRITORIALE UCRAINA. TRA LE IPOTESI IN CAMPO C'E' QUELLA DI ORGANIZZARE UN NUOVO REFERENDUM POPOLARE NELLE ZONE OCCUPATE PER "LEGITTIMARE" LO SCIPPO DI SOVRANITA' - MA SAREBBE UNA VITTORIA TOTALE DI PUTIN, CHE OTTERREBBE TUTTO QUEL CHE CHIEDE SENZA CONCEDERE NIENTE…