letta di maio conte

IL CAMPO LARGO CON LO SFARINAMENTO DEL M5S SI E’ RIDOTTO A UN ORTICELLO. MA IL SOTTI-LETTA CE L’HA UN PIANO B? I TIMORI DI ENRICHETTO SUI PENTASTELLATI (“COME ARRIVANO AL 2023?”) E LA NECESSITA’ DI ALLARGARE A RENZI E CALENDA – L’ALA RIFORMISTA DEL PD PUNTA SULL’ASSE CON DI MAIO - PER L'EX CAPOGRUPPO RENZIANO MARCUCCI I CONTRAENTI DEL PATTO PER UN "NUOVO ULIVO" SAREBBERO IL PD, AZIONE, ITALIA VIVA, LA SINISTRA, LA COMPONENTE LIBERALE DI FORZA ITALIA E...“CONTE? IO VEDO MOLTE SINTONIE CON DI MAIO”

Francesco Verderami per il “Corriere della Sera”

 

ENRICO LETTA

Ha messo a tacere l'area anti-draghiana dopo essere arrivato al Nazareno, ha impresso al partito una netta linea atlantista dopo lo scoppio della guerra, ha riportato il Pd al primo posto con le Amministrative. Ma l'eredità ricevuta dal passato è un'ipoteca sui suoi progetti futuri. E quando l'altra sera ha scorso i dati del M5S, Letta non è riuscito a trattenersi: «Come arrivano all'anno prossimo?».

 

Il leader dem è atterrito dal tonfo di Conte, il «punto di riferimento del progressismo» che gli era stato consegnato da Zingaretti al passaggio di consegne. E che oggi è diventato «un problema». Se alle Politiche il Movimento precipitasse sotto la soglia del 15-12%, la coalizione che Letta sta costruendo non sarebbe competitiva: il «campo largo» rischierebbe di essere più stretto del 40% preso dal Pd di Renzi alle Europee del 2014.

conte letta

 

Vedremo se davvero il segretario democrat non ha «un piano B». Di certo ha spiegato ai dirigenti del partito che «non possiamo cambiare da soli la legge elettorale e non possiamo andare da soli al voto se il centrodestra restasse unito». Perciò deve insistere sull'idea di una coalizione allargata che tenga dentro anche Calenda e Renzi: un'alleanza fondata su un «patto alla tedesca», cioè su temi condivisi. «È la mia responsabilità», ha detto ieri: «Serve un'alleanza convincente e non litigiosa». Ma a parte il rischio di ripetere la performance di Prodi del 2006, quando ci vollero 281 pagine di programma per far nascere l'Unione, non è detto che la somma dei partiti coinciderebbe poi con il loro risultato.

 

ENRICO LETTA 1

Perché la politica non è aritmetica e nemmeno una questione di rapporti personali, come lascia intendere Letta quando chiede a Conte e Calenda di spiegare «perché si considerano nemici assoluti». Il fatto è che Calenda ha costruito il suo consenso escludendo un rapporto «con i populisti» e non c'è dubbio che perderebbe parte dei voti se cambiasse linea.

 

Destino che probabilmente toccherebbe anche agli altri pezzi di centro interessati al progetto del «partito di Draghi senza Draghi». Un'alleanza larga, insomma, potrebbe prosciugare gli alleati del Pd e diverrebbe una formula aggiornata della «Quercia con i suoi cespugli». Il leader di Azione, che lo sa e non intende accettare una posizione ancillare, già anticipa che alle prossime elezioni ci saranno «tre poli, perché c'è un'area del Pd - da Provenzano a Zingaretti - che vuole abbracciare ad ogni costo un Movimento che si sta liquefacendo».

 

GIUSEPPE CONTE CON ENRICO LETTA

Ma allora perché Letta insiste ed è convinto di realizzare «con pazienza» l'alleanza? In fondo, l'appello a una union sacrée per «battere le destre» non sembra fare presa. Ieri, durante un colloquio in Transatlantico, un deputato dem non lesinava critiche verso Conte, ma quando ha pronunciato il nome di Di Maio, il costituzionalista Ceccanti l'ha fermato: «Eh no, Di Maio è fondamentale». La battuta è rivelatrice di un dibattito in corso nel Pd e che l'ex capogruppo Marcucci spiega maliziosamente. A suo dire i contraenti del patto per un «nuovo Ulivo» sarebbero «il Pd, Azione, Iv, la sinistra e la componente liberale di Forza Italia». Quanto a Conte, «deciderà lui. Io vedo molte sintonie con Di Maio».

 

Il gioco è chiaro: bisognerà attendere l'esito del ricorso sulla leadership del Movimento per capire il resto. Il resto del lavoro di Letta riguarda anche il rilancio del suo partito. Il primo posto conquistato alle Amministrative gli ha consentito di nascondere le sconfitte subite a Genova e soprattutto a Palermo. Sulla disfatta nel capoluogo siculo - guidato per dieci anni - lo stato maggiore dem ha avviato un immediato processo di rimozione, assecondato dai media. Come se Palermo fosse un piccolo comune e la Sicilia non sia storicamente la culla di ogni laboratorio politico.

MARCUCCI RENZI

 

Perciò c'è un pezzo consistente del Pd che non accetta di derubricare il caso e tantomeno intende assecondare le tesi giustificazioniste del vicesegretario Provenzano. Raciti dà voce a quanti chiedono che «il partito discuta su quanto è accaduto»: «L'analisi del voto vogliamo limitarla alla questione morale o vogliamo affrontare politicamente il tema del lascito dell'orlandismo?». Le Regionali in Sicilia si svolgeranno in autunno e saranno un anticipo delle Politiche. Confidare nella «sindrome di Dorando Petri» che sta affliggendo il centrodestra, potrebbe non bastare a Letta. «Non faremo regali», ha detto il leghista Calderoli a un dirigente dem: «Quindi scordatevi anche il proporzionale».

di maio conte

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